mercoledì 20 novembre 2013

Tacito


La fine di Otone, l'imperatore dei due gesti


Busto dell'imperatore Otone

Fra le molte pagine drammatiche che si leggono nelle Storie, presentiamo quelle che narrano la fine dell’imperatore Otone, all’indomani della battaglia di Bedriaco contro le legioni fedeli a Vitellio (14 aprile 69). Il racconto  (Historiae II, 46-49) pur incentrato sulla figura individuale del principe, è animato da movimenti corali, da azioni e voci di soldati e ufficiali del campo otoniano, a Brescello. È qui, infatti, che Otone attende l’esito della battaglia, ed è qui che si consuma l’atto finale della tragedia. Tutta la campagna militare era stata condotta dai suoi uomini all’insegna di una foga ansiosa, impressa personalmente dal principe. Dopo alcuni successi nella Gallia Cisalpina, e sebbene il piú esperto generale otoniano, Svetonio Paolino, consigliasse di temporeggiare, si era arrivati a impegnarsi nello scontro campale a Bedriaco, contro due eserciti vitelliani comandati da Valente e da Cecina. Alcune voci riferirono l’improvvisa voglia delle truppe contrapposte di trovare un compromesso in extremis per evitare il bagno di sangue. Ma si venne allo scontro e fu la rotta degli otoniani.
Tacito ritrae Otone in attesa del responso campale: non tradisce nervosismo ed è fermo nei propositi che ha concepito a seconda dell’esito. Lo raggiunge dapprima la notizia della sconfitta, quindi arrivano le frotte dei suoi legionari sbandati. A questo punto egli dichiara una decisione inusitata: quella di porre fine alla guerra e di rinunciare al potere. Nell’ultimo giorno di vita Otone dà prova di un lato insospettato della sua personalità, per altri versi rosa da un’ambizione senza scrupoli. La sua scelta non è obbligata: la sconfitta non è irrimediabile e – come gli viene ricordato dai soldati che tumultuano attorno a lui – truppe fresche stanno giungendo in appoggio. Ma Otone è irremovibile. Ed è consapevole che questo sarà il primo esempio di rinuncia da parte di un contendente che potrebbe ancora vincere (penes me exemplum erit: II, 47, 5). Probabilmente «scatta» in lui quel disgusto della guerra civile che, secondo Svetonio, lo accompagnava fin dal principio, quando aveva sopravvalutato la possibilità di detronizzare Galba senza colpo ferire. Certo è – commenta Tacito – che sarà ricordato dai posteri «per due gesti (l’uccisione di Galba e il suicidio), il primo abietto, il secondo eccelso» (duobus facinoribus, altero flagitiosissimo, altero egregio: Historiae II, 50). 

Memorabili le ultime scene: mentre Otone è in raccoglimento nella sua tenda, l’angoscia che pervade la truppa sgomenta si scarica contro i senatori e le personalità del seguito, che stanno lasciando l’accampamento; il principe deve intervenire per farli partire sani e salvi. Quindi dorme tranquillamente tutta la notte, e all’alba del giorno dopo si uccide, vibrando fieramente un solo colpo con il pugnale che aveva già preparato la sera prima. Il funerale è semplice e austero: i pretoriani, che lo amavano, trasportano il corpo fino al rogo e baciano la ferita e le mani. Quel giorno e nei giorni successivi, a Brescello e in altri accampamenti, numerosi soldati imitano l’imperatore togliendosi la vita.   

Pasquale Martino

da: Tacito, Antologia di passi tratti dalle opere storiche e dal Dialogus de oratoribus, a cura di P. Martino, D'Anna, Messina-Firenze, 2008