mercoledì 20 novembre 2013

Bari 1968

Le gesta delle Fucine Meridionali
 
 
Le Fucine Meridionali erano una fabbrica metalmeccanica del gruppo a partecipazione statale Efim-Breda (Efim: Ente finanziario imprese meccaniche), che comprendeva a Bari anche la Radaelli Sud, la Breda Hupp, l’Isotta Fraschini e la Motori Breda, oltre alla Termosud di Gioia e alla Ferrosud di Santeramo. Lo stabilimento occupava piú di cinquecento operai distribuiti nei reparti meccanica, fonderia e forgia. La vertenza s’era iniziata ai primi di maggio, con la richiesta di equiparare le condizioni degli operai delle Fucine con quelle dello stabilimento di Sesto S. Giovanni, appartenente allo stesso gruppo e di uguale tipologia. La produttività della fabbrica barese era aumentata negli ultimi anni, sicché i lavoratori avevano piú di una ragione di rivendicare un miglioramento delle loro condizioni generali. La piattaforma sindacale includeva una rivalutazione del cottimo, l’attribuzione dei premi di produzione, la modifica delle qualifiche professionali (e delle conseguenti basi retributive), l’adeguamento degli ambienti di lavoro (pesantemente nocivi, specie nella fonderia), l’indennità sostitutiva della mensa; ultimo punto erano i «rapporti umani e diritti sindacali», poiché il regime di fabbrica era autoritario e la gestione del personale era incurante di diritti e bisogni.

Il 7 e il 14 maggio i lavoratori attuarono due scioperi di 24 ore, ma non ottennero l’apertura di un serio negoziato; quindi passarono immediatamente a una forma di lotta piú incisiva, peculiare nel biennio ’68-69: lo «sciopero articolato», che si svolgeva a rotazione nei reparti, un’ora per ciascuno. Era un sistema di sciopero che intaccava in misura minima il salario ma infliggeva danni devastanti alla produzione. La direzione aziendale denunciò l’illegalità di questa forma di lotta, e contrattaccò prendendo di mira i delegati sindacali della commissione interna: il segretario dell’organismo fu licenziato in tronco, ad altri tre membri furono comminati provvedimenti disciplinari e un quinto ricevette una diffida. Cinque su sette delegati furono colpiti. La prima reazione dei lavoratori fu un'altra astensione dal lavoro di 24 ore, attuata il 22 maggio; la direzione replicò ancora a muso duro, mettendo in atto la serrata della fabbrica il 24 e il 25 maggio. A questo punto, il 27 maggio alle ore 14, alla fine del primo turno di lavoro, gli operai occuparono la fabbrica. La richiesta non era piú soltanto l’accoglimento in toto della piattaforma rivendicativa, ma anche la revoca di tutti i provvedimenti disciplinari.

La Breda Fucine Meridionali nel 1962 (foto dal sito ufficiale)
L’occupazione delle Fucine Meridionali durò 47 giorni (dal 27 maggio all’11 luglio): fu una grandissima prova di forza, l’inaugurazione e il vero atto costitutivo del movimento operaio nelle fabbriche baresi. Secondo la «Gazzetta del Mezzogiorno» (28.5.1968) gli occupanti erano quattrocento (dunque, la stragrande maggioranza dei lavoratori). Erano tutti uomini, per lo piú giovani sulla trentina d’anni. Scattò subito una campagna di solidarietà: delegazioni di lavoratori della Pignone Sud e della Breda Hupp portarono cibo, sigarette, coperte e altri generi di conforto; furono avviate sottoscrizioni in molte fabbriche. Le mogli degli occupanti furono ricevute ripetutamente nel Comune, e ottennero aiuti, latte e zucchero per i bambini, buoni viveri, erogazioni straordinarie tramite l’ufficio assistenza. Il consiglio comunale di Bari e il consiglio provinciale approvarono ordini del giorno di solidarietà. La domenica il parroco della Cattedrale, sacerdote attento alla questione operaia, celebrava la messa dentro la fabbrica occupata.

Una pattuglia di studenti universitari si recò alle Fucine fin dal primo giorno di occupazione. Apparve subito che l’incontro non sarebbe stato facile. Gli studenti avevano contatti soprattutto con giovani operai di sinistra, alcuni dei quali sarebbero diventati quadri dirigenti della Fiom, della Cgil e del Pci. Ma l’occupazione era rigorosamente chiusa e gli estranei vi erano ammessi eccezionalmente; la direzione unitaria di Cgil Cisl Uil era rigida e ben organizzata. Diverso e piú spontaneo diventerà il rapporto negli scioperi dell’autunno ’68, quando la presenza degli studenti sarà necessaria per rafforzare i picchetti operai davanti alle fabbriche (come era accaduto alla Fiat di Torino). Per le Fucine il «movimento studentesco in lotta» organizzò volantinaggi di solidarietà e fu presente nei cortei cittadini a sostegno della vertenza. A parecchi quel ruolo sembrò puramente accessorio e decorativo; tanto che in seguito alcuni si espressero severamente in termini di «deflusso del movimento studentesco».

Si imbastirono a ripetizione trattative lunghe e stremanti in prefettura e anche a Roma presso il ministero del lavoro, ma la posizione intransigente dell’azienda e dell’associazione delle industrie pubbliche, l’Intersind, era irremovibile, specialmente riguardo al ritiro dei provvedimenti disciplinari. Il 6 giugno i lavoratori delle aziende a partecipazione statale effettuarono uno sciopero generale di 24 ore in tutta la provincia. Un corteo di almeno cinquecento persone attraversò le vie di Bari. Un secondo sciopero con le stesse caratteristiche si tenne il 18 giugno, e di nuovo i lavoratori manifestarono nella città. Questa volta parteciparono anche gli operai della Firestone Brema, che il 29 maggio avevano scioperato per una vertenza aziendale. [...]
 
Nella vertenza delle Fucine la resistenza della controparte incominciava a scricchiolare. La direzione dispose che il pagamento delle spettanze maturate dagli operai fino al 26 maggio (il giorno precedente l’occupazione) fosse effettuato presso l’ufficio regionale del lavoro, nella speranza di dividere il fronte e di svuotare l’occupazione; gli operai che non aderivano all’occupazione andarono subito a riscuotere, gli occupanti invece vi si recarono alla spicciolata e a turno, senza sguarnire il presidio interno. Poi la direzione fece filtrare la notizia – prima di avanzare la proposta al tavolo di trattative – che il licenziamento del segretario della commissione interna si sarebbe potuto convertire in trasferimento presso un’altra azienda, e che Cisl e Uil sarebbero state d’accordo; ma queste ultime smentirono immediatamente, ribadendo la posizione unitaria concordata la Cgil.

Intanto uno sciopero nazionale di solidarietà previsto per il 28 giugno fu sospeso perché la trattativa era stata riaperta, e definitivamente fissato per il 12 luglio in caso di nuova rottura. L’8 luglio si riuní un’assemblea sindacale intercategoriale per preparare lo sciopero. All’alba dell’11 luglio, in extremis e alla vigilia dello sciopero generale, dopo dieci ore di trattative notturne fu raggiunto l’accordo per la vertenza delle Fucine. L’intesa prevedeva: la maggiorazione dei guadagni di cottimo; la definizione transattiva degli aumenti (da 21,25 lire l’ora per gli operai specializzati a 16,75 lire l’ora per i manovali comuni); la liquidazione a ogni dipendente di 85 mila; un anticipo di 11.300 lire sul premio incentivante; in piú, 30.000 lire per ciascun operaio da rimborsarsi in dodici rate mensili a partire da settembre. Era un risultato importante sul piano economico: a parte gli altri emolumenti, l’aumento orario avrebbe accresciuto la busta paga mensile di 7.600 lire per l’operaio specializzato e di 6.700 lire per il manovale comune (allora il salario non superava di molto le settantamila lire mensili, all’incirca). Poi c’erano alcuni impegni: a ridefinire tempi e tariffe del cottimo; ad esaminare le richieste che sarebbero state presentate per il passaggio di qualifica; ad affrontare e risolvere entro dicembre la questione della salute e della nocività negli ambienti di lavoro. Riguardo alle relazioni sindacali, la direzione accettava il distacco giornaliero, a turno, di un componente della commissione interna, per i controlli relativi all’ambiente e alla salute. Infine i provvedimenti disciplinari a carico dei quattro membri di commissione interna, quantunque non revocati, non sarebbero stati iscritti nelle cartelle personali; l’operaio licenziato sarebbe stato collocato in un’altra azienda del gruppo Efim-Breda e avrebbe goduto di una indennità extracontrattuale di 500.000 lire. Questi ultimi punti consentivano alla direzione di salvare la faccia.

La stessa mattina dell’11 luglio gli operai approvarono l’accordo e l’occupazione delle Fucine Meridionali ebbe termine.
L’impresa senza precedenti di quei lavoratori sarebbe rimasta a lungo nella memoria operaia, perdurando miticamente anche nell’immaginario del movimento giovanile di sinistra (se è vero che negli anni ’90 la prima esperienza di «centro sociale occupato autogestito» a Bari – antecedente rispetto al Coppolarossa di Adelfia – si scelse il nome di Fucine Meridionali). Soprattutto, la novità fu la compattezza dimostrata dai lavoratori, nonostante le differenti appartenenze sindacali e tendenze politiche, e le oggettive divisioni indotte dal notevole ventaglio gerarchico di qualifiche (operai specializzati, operai qualificati, operai comuni di prima, operai comuni di seconda, manovali comuni), le quali, a dispetto di ciò, spesso non corrispondevano alle mansioni effettivamente svolte. 


Pasquale Martino

da: Bari 1968. Storia di un anno impavido, Laterza, Edizioni della Libreria, Bari, 1968