(133 a.C.)
Nella
sollevazione di Aristonìco trova sbocco, per certi versi in modo originale, un
complesso di istanze e motivazioni diverse. In primo luogo c’è la rivolta degli
schiavi, connessa alle insorgenze servili che accomunano il bacino
mediterraneo. A essa si aggiunge la protesta dei nullatenenti, che incontra
difficoltà a incanalarsi nell’azione politica del ‘partito del demo’: questo
nelle città greche non può per il momento ‘smarcarsi’ davvero dall’oligarchia
dominante senza essere accusato di sovversione antiromana; inoltre le forme e
le dinamiche politiche proprie delle città greche riguardano solo una parte
minoritaria del territorio attalico: i poveri delle città non greche, dei
villaggi anatolici e delle campagne non possono che affidare le loro sorti alla
figura carismatica di un re giustiziere. Queste forze sociali vengono unificate
dall’appello ‘nazionale’ antiromano, dal sentimento legittimistico e
indipendentistico che coinvolge una parte dei coloni militari, dei quadri
dirigenti dell’esercito, e forse, della stessa classe possidente. Le vittorie
militari di Aristonìco si possono spiegare con la presenza al suo fianco di
militari di professione; anche se non bisogna dimenticare che gli schiavi
siciliani, forti soltanto del loro tirocinio di briganti (oppure qualcuno di
loro, da libero, era stato un capo militare?), furono in grado da soli di
contrastare con successo le armate di pretori e consoli. Il carattere plurale
delle basi sociali dei movimenti antiromani - pur caratterizzati da una forte
componente delle classi subalterne - era presente sia nella ribellione della
Lega Achea sia nelle guerre dei pretendenti (Falso Filippo e Falso Perseo): in
quella di Aristonìco cresce, fino a divenire caratterizzante, il peso dei
diseredati e, fra questi, degli schiavi; ce lo suggerisce la concomitanza con
la rivolta di Sicilia: una coincidenza di cui era consapevole già Diodoro
(Posidonio?).
Il
movimento di Aristonìco è, in questo senso, un unicum. E’ la lotta di un
pretendente che non si limita a utilizzare, in funzione ausiliaria o
sussidiaria, gli schiavi e i poveri ai quali vengono promesse, rispettivamente,
la liberazione e provvedimenti di giustizia sociale, ma che ha come principale
base e supporto – almeno da un certo momento in poi – proprio le istanze di
schiavi e poveri. Naturalmente è ozioso discettare se Aristonìco credesse con
sincerità nel riscatto degli oppressi o facesse un uso strumentale della loro
rabbia: la questione è insolubile, allo stato delle nostre conoscenze, ed è
anche irrilevante. Quello che importa, ai fini della storia sociale e politica,
è che un tale movimento sia esistito, e che abbia trovato espressione nella
lotta di un pretendente. Tuttavia vorremmo molto sapere se in questo movimento
contraddistinto da elementi nuovi e originali esistesse una parziale coscienza
di tale novità; in particolare, se e in che misura si facesse strada una
cosciente elaborazione del tema dell’eguaglianza, connesso all’idea della
liberazione degli schiavi e della redistribuzione delle ricchezze, che
certamente motivava la presenza delle masse.
La notizia più straordinaria è per noi quella che è tramandata dal solo Strabone, quasi en passant: Aristonìco dette ai suoi seguaci, poveri e schiavi, il nome di “Eliopoliti”. Cittadini di Heliopolis, la Città del Sole (Helios): un appellativo denso di connotazioni, di fascino e anche di mistero. Sebbene la tesi che esso si riferisca a una città esistente abbia trovato qualche fautore, si tratta di una supposizione manifestamente infondata: le città che ebbero nome Eliopoli furono altrove, né si può pensare a una località non altrimenti attestata. Non priva di suggestione è l’ipotesi avanzata da Lukas Holstenio, valoroso erudito del XVII secolo: la definizione di Eliopoliti alluderebbe alla dura realtà dei poveri senza tetto, che abitano ‘sotto il sole’ e si riscaldano ai suoi raggi. Un’immagine che ricorda il discorso di Tiberio Gracco in Plutarco: “Quelli che per l’Italia combattono e muoiono, possiedono solamente l’aria e la luce e null’altro, e senza casa, senza fissa dimora, vanno errabondi coi loro figli e le mogli” (Tiberio Gracco, 9). La chiave ideologica per l’interpretazione del termine Heliopolitai appare ineludibile, quand’anche dovesse trattarsi, come qualcuno ipotizza, del nome convenzionale dato da Aristonìco al suo accampamento o quartier generale, o a una sorta di città-ghetto che egli avrebbe concepito per concentrarvi i dannati della terra suoi seguaci. I nomi non sono scelti a caso, e il valore simbolico-ideologico di una “Città del Sole” nella civiltà antica pare del tutto evidente.
Pasquale Martino
I cittadini del sole. Rivolta e utopia a Pergamo, La Città del Sole, Napoli, 2004, pp. 61-62