sabato 12 marzo 2016

Monumenti a Budapest

Nazismo, Shoah, comunismo
la memoria controversa dell’Ungheria


F. 1. Monumento al soldato sovietico.
F. 2. Memoriale per le vittime dell'occupazione tedesca












«Gloria agli eroi sovietici della Liberazione»: il grande monumento al soldato sovietico (fotografia 1) domina il lato nord della piazza della Libertà (Szabadsag ter) nel centro di Budapest. Esso riporta i nomi dei militari caduti nella battaglia con cui l’Armata rossa liberò la capitale ungherese nel 1945. Il combattimento, protrattosi per mesi e conclusosi il 13 febbraio con la resa tedesca, fu uno dei più duri che si siano svolti nel perimetro di una grande città europea durante il Secondo conflitto mondiale. Il monumento dunque commemora un episodio cruciale della guerra antinazista. Sebbene i russi si siano macchiati del sangue ungherese nel 1956, il complesso monumentale non è stato abbattuto dopo il 1989, e si può dire che esso sia l’unica opera memoriale del quarantennio comunista rimasta intatta in città (molte statue sono state invece trasferite in un apposito parco nella zona sud di Buda o nell’ampio spazio che il Museo Nazionale riserva al periodo della repubblica popolare). Gruppi di estrema destra ne hanno chiesto più volte la rimozione, ma, nonostante l’attuale governo di destra, l’Ungheria non ha soppresso l’emblema di una pagina tragica e inquietante della sua storia, che racconta la vittoria di un’armata straniera contro gli occupanti tedeschi spalleggiati delle formazioni magiare filonaziste delle Croci frecciate. Vero è che alla liberazione contribuì anche la resistenza ungherese, attiva da mesi, erede dell'opposizione antinazista degli anni precedenti, in cui s'era distinto il partito comunista clandestino.    




F. 3. Installazioni davanti al memoriale
Il governo di Viktor Orban, però, ha realizzato nel 2014 un'altra opera lungo il lato sud della stessa piazza: il «Memoriale per le vittime dell’occupazione tedesca» (fotografia 2), in cui si vede l’aquila imperiale germanica piombare addosso all’arcangelo Gabriele simbolo dell’Ungheria inerme. Il monumento è stato oggetto di aspre critiche da parte di numerose associazioni e della comunità ebraica: esso infatti suggerisce una lettura storica auto-assolutoria, come se l’Ungheria fosse stata una vittima innocente, e molti ungheresi oltre agli stessi governanti non fossero stati complici del nazismo. Il governo del reggente Miklos Horty fu alleato della Germania e dell'Italia fascista, attuò politiche antisemite e prese parte attiva all'aggressione contro l'Urss; nel 1944, quando le sorti della guerra volgevano a sfavore dei tedeschi, Horthy tentò di sganciarsi dalla mortale alleanza; i nazisti lo prevennero, invadendo l'Ungheria dove instaurarono un governo fantoccio. Fu in questo ultimo anno di guerra che vennero intensificati i massacri di ebrei, attuati soprattutto dai nazisti magiari.  


F. 4. Scarpe sul Danubio
La contestazione del monumento voluto da Orban si è concretizzata in una serie di installazioni poste davanti allo stesso (fotografie 2 e 3), con esposizione di immagini, oggetti, scritte che si riferiscono appunto alle responsabilità del nazismo tedesco-ungherese. Le installazioni richiamano il memoriale delle «scarpe sul Danubio» (fotografia 4), realizzato nel 2005 dagli artisti Gyula Pauer e Can Togay, sulla sponda del fiume a Pest tra il ponte delle Catene e il palazzo del Parlamento, per ricordare gli ebrei sterminati dalle Croci frecciate nelle ultime e convulse settimane di guerra. Le vittime venivano legate a gruppi di tre, una di esse veniva uccisa con un colpo di pistola alla testa e tutto il gruppo veniva gettato in acqua. 
F. 5. Foto nel museo della Sinagoga
La memoria della Shoah è custodita anche nel museo della Grande Sinagoga e nell'annesso cortile, dove vengono commemorati i «giusti» (fra i quali l'italiano Giorgio Perlasca) che si prodigarono per salvare gli ebrei ungheresi. Una immagine fotografica esposta nel museo (fotografia 5) documenta l'identificazione propagandistica comunisti-ebrei, che era un tema fondante della narrazione nazista, pienamente accolto dalla destra antisemita magiara. Quest'ultima aveva contrastato la repubblica dei consigli di Bela Kun (1919) denunciandone il carattere  «giudaico-bolscevico» (una «baldoria ebraica», scatenata dalla «canaglia ebraica disfattista»: così si esprimono alcuni personaggi del romanzo di Ferenc Körmendi, Un'avventura a Budapest). A fondamento di tale campagna propagandistica si adduceva l'adesione di numerosi israeliti alla rivoluzione (lo stesso Bela Kun aveva il padre ebreo): motivo per cui i neofascisti odierni, riuniti nel movimento Jobbik, non solo non condannano l'Olocausto, ma pretendono che gli ebrei si scusino per le vittime dei comunisti nel '19. Si ricordi che quella di Budapest era una delle più estese e integrate comunità ebraiche d'Europa. 

F. 6. Statua di Imre Nagy
F. 7. Statua di Imre Nagy













A Budapest non mancano i monumenti che ricordano la rivoluzione del 1956, soffocata dall'intervento militare sovietico. il più suggestivo è probabilmente la statua di Imre Nagy, che lo raffigura mentre, appoggiato al corrimano di un ponte, guarda verso il palazzo del Parlamento (fotografie 6-7). Nagy, esponente di spicco del partito comunista ungherese, fu primo ministro nel '56, destituito dai sovietici, arrestato e poi condannato a morte. Fu riabilitato nel 1989 e onorato con un solenne funerale pubblico. 
Il regime comunista era finito con una transizione pacifica e indolore, come in quasi tutti i paesi dell'Europa orientale. E va rammentato che, trent'anni prima, la tragedia della rivoluzione stroncata aveva almeno consigliato al gruppo dirigente comunista post-'56, guidato da Janos Kadar, l'attuazione di una cauta politica di riforme, di amnistia e di aperture democratiche. 



Pasquale Martino
marzo 2016  

Le fotografie sono di Maria Vittoria De Padova. 
    
Postilla del dicembre 2018
L’ungherese senza pace.


La statua di Imre Nagy viene ora rimossa per decisione dell’attuale premier di estrema destra, lo xenofobo e fascistoide Orban, che gode dell’appoggio dei fascisti. Perché – dice – Nagy era “un comunista” (cosa vera ed evidente), e “un agente dell’Urss” (cosa non provata, e comunque non certo nel 1956!) e poco importa se difese l’indipendenza dell’Ungheria a prezzo della vita. Al posto della statua, vuole mettere un monumento alle vittime del “terrore rosso” durante la rivoluzione del 1919. Già i neofascisti ungheresi pretendono per quelle vittime le scuse degli “ebrei”, applicando la già richiamata equazione “giudeo=comunista”. L’ossessione antiebraica continua ad animare la destra magiara i cui progenitori si distinsero come strumenti dell’Olocausto. La memoria pubblica di Budapest è in perpetuo rifacimento, «somigliante a quella inferma / che non può trovar posa in su le piume».