mercoledì 3 maggio 2017

Valentino Parlato

Il comunista che venne dall'Africa
Ricordi baresi sul giornalista e intellettuale che fondò «il Manifesto»

Valentino Parlato è stato un personaggio popolare. Quel sorriso spontaneo, amabile e ironico, lo sguardo arguto e accattivante, una certa aria dimessa, lo rendevano simpatico; e qualche intervista televisiva o apparizione in un talk show lo hanno fatto conoscere anche al di fuori del mondo della sinistra, al quale apparteneva per vocazione ostinata. Era facile incontrarlo nelle manifestazioni, a Roma, oppure per strada, la sigaretta sempre fra le dita; era facile mettersi a parlare con lui. Ma spesso lo si vedeva in altre parti d’Italia, a discutere di politica e cultura. Molti lo ricordano a Bari, al Bif&st dello scorso anno. Anche a me è successo di parlare con lui varie volte, ma quella che mi è rimasta più impressa è la volta che, tanti anni fa (nel 1982), gli telefonai alla sede del «Manifesto» – il quotidiano di cui era il direttore – per proporgli di pubblicare la mia ricostruzione della rivolta degli edili di Bari, nel ventennale. Mi dette una risposta scettica, che probabilmente – mi venne poi da pensare – era la prima risposta che dava a tutti, nella sua responsabilità di direttore (è tornato a esserlo ripetutamente, per il quotidiano che aveva contribuito a fondare). Pochi giorni dopo, a sorpresa, il «Manifesto» uscì col mio servizio in un paginone, cosa che mi riempi di orgoglio. Il «quotidiano comunista», e Parlato con i cofondatori, erano punti di riferimento ammirati, quasi mostri sacri (sebbene questa definizione non si adatti una figura cordiale). 
Non c’è spazio qui per raccontare la sua storia lunga e intensa, e altri lo faranno molto meglio di me. Un paio di cose vanno però ricordate, che ci riguardano da vicino. Il giovane Parlato fu il curatore di una raccolta assai fortunata di scritti di Gramsci sulla questione meridionale (Editori Riuniti, 1966), in collaborazione con il non dimenticato Franco De Felice, barese di adozione e valoroso storico del movimento operaio. I due firmarono anche la densa introduzione del volumetto, che aiutò la generazione del ’68 ad avvicinarsi al grande pensatore sardo e ad appassionarsi a un meridionalismo teoricamente agguerrito e nient’affatto lamentoso. Parlato – che ha vissuto a lungo ad Agrigento – era un giornalista dell’«Unità» e di «Rinascita», uno studioso di economa politica e un curatore di volumi di classici del pensiero economico (Adam Smith) e marxista (Engels, Lenin). Ma la svolta arriva con la nascita del «Manifesto», che nel 1969-71 è ancora una rivista mensile, e si pubblica a Bari, per la casa editrice Dedalo di Raimondo Coga: un pioniere della nuova editoria di saggistica “militante” che nel capoluogo pugliese può contare pure su De Donato e Laterza. E nel 2015, alla morte di Coga, sarà non a caso proprio Parlato a scrivere sul «Manifesto» una bella commemorazione dell’editore barese. Intanto, sulla rivista eretica, Parlato scrive di economia nell’ottica del fenomeno storico che si va imponendo: la nuova lotta operaia, la giovane generazione dell’Autunno Caldo. Arriva però lo scontro col suo partito, la radiazione di tutto il gruppo dal Pci. Ed ecco l’avventura grande: il «Manifesto» quotidiano che sarà voce e specchio di un mondo operaio, studentesco e intellettuale mosso da fervide speranze specialmente nel decennio ’70.
Il tratto eterodosso e anticonformista gli era sempre stato congeniale. Pochi anni fa, quando la coalizione occidentale intervenne contro Gheddafi, Parlato si distinse dal coro non certo per difendere il despota ma per criticare le ragioni dell’intervento militare, per mettere in guardia dagli effetti (che si sono puntualmente verificati) della distruzione di un sistema di compromesso cui si sostituiva il caos programmato. Valentino conosceva bene la storia della Libia e amava quel paese: era nato a Tripoli, sotto il dominio italiano; lì era diventato comunista: per questa sua appartenenza politica, nel 1951 l’amministrazione controllata dagli inglesi lo espulse dalla ex colonia. Il suo itinerario nasceva in qualche modo eccentrico, lo conduceva in Italia e in Europa a partire dagli orizzonti di un altro continente che stava rivendicando la propria libertà.

Pasquale Martino   

«La Gazzetta del Mezzogiorno», 3 maggio 2017