mercoledì 2 agosto 2023

Strage di Bologna. Autori, vittime, depistaggi e un libro

Bellini, i mandanti, i NAR e un perdono tradito: La strage di Bologna di Paolo Morando (Feltrinelli) .


La bomba esplosa nella stazione di Bologna quarantatre anni fa, alle 10,25 del 2 agosto 1980, ha rappresentato con le sue 85 vittime il più grave attentato terroristico compiuto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Per l’orrendo crimine sono stati condannati con sentenza definitiva i neofascisti Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (ergastolo) e Luigi Ciavardini (trent’anni), cui in seguito si sono aggiunti, in primo grado, gli ergastoli per Gilberto Cavallini e Paolo Bellini. Tutti sono terroristi neri, giudicati responsabili di numerosi altri delitti. Per depistaggio delle indagini è stato condannato con sentenza definitiva il capo della loggia massonica P2 Licio Gelli. Nel 2020 la procura di Bologna ha concluso una ulteriore e complessa indagine indicando nei defunti Gelli e Federico D’Amato (direttore negli anni ’70 dell’ufficio Affari riservati del Ministero dell’Interno) i mandanti e organizzatori, con altri, della strage.    

Il lungo iter giudiziario, alcuni importanti sviluppi del quale sono ancora in corso, è raccontato, con accuratezza che nulla toglie alla leggibilità, da Paolo Morando nel libro La strage di Bologna. Bellini, i Nar, i mandanti e un perdono tradito (Feltrinelli 2023). L’autore, giornalista, ha pubblicato con Laterza Prima di Piazza Fontana. La prova generale (2019) e L’Ergastolano (2022), sulla strage di Peteano: ricostruzioni di cui il volume su Bologna è in qualche modo il completamento, quasi a configurare una sorta di trilogia che ripercorre il decennio delle trame nere e della strategia della tensione che ha insanguinato l’Italia, dalla bomba della Banca dell’Agricoltura di Milano a quella deflagrata nella sala d’aspetto del grande nodo ferroviario emiliano.

L’ingente materiale documentale accumulato in decenni di inchieste – Morando ne dà conto, con riferimento particolare agli sviluppi recenti – ha fatto emergere e delineato con crescente chiarezza il quadro degli obiettivi perseguiti e il senso politico dell’esecrando fatto di sangue: una pattuglia di killer spietati, professionisti del terrorismo nero, fu l’esecutore del crimine; l’azione fu coadiuvata da una rete diffusa di estrema destra eversiva con agganci internazionali; i manovratori appartennero a quel ganglio di poteri che trovava un punto di incontro nella P2, scoperta nel 1981, attivissima negli anni precedenti (erano tutti iscritti alla loggia segreta i componenti del “comitato di crisi” governativo durante il sequestro Moro nel 1978) e anche dopo. La grande operazione stragista, in linea con la strategia della tensione nonostante il contesto diverso, aveva lo scopo di destabilizzare gli equilibri politici e produrre un drastico restringimento della democrazia in Italia.

Dai medesimi ambienti provenne un tenace tentativo di depistaggio (incentrato sulla presunta alternativa di una “pista palestinese”) nonché l’appoggio a una campagna innocentista volta a scagionare Mambro e Fioravanti, i quali si sono sempre dichiarati non colpevoli della strage, mentre hanno riconosciuto numerosi altri omicidi. Campagna che – coinvolgendo invero anche personalità di sinistra e del partito radicale – ha di certo agevolato la situazione alquanto paradossale per cui, condannati entrambi a otto ergastoli, i due ergastolani hanno visto estinta la loro pena dieci anni fa, dopo aver goduto di molti anni di semilibertà. E oggi Fioravanti, da libero cittadino, rilancia la pista “alternativa” proponendo la colpevolezza di una delle vittime della strage, Mauro Di Vittorio, additato dai depistatori quale estremista di sinistra potenzialmente pericoloso; e ciò, dopo aver ottenuto per sé e per la Mambro, sua moglie, il generoso perdono della sorella di Mauro, Anna, e aver usufruito di una magnanima lettera di Anna Di Vittorio per sostenere la richiesta di libertà della Mambro. È la meschina vicenda del “perdono tradito” cui Morando dedica la seconda parte del libro.


Un altro paradosso ci sembra risiedere nel fatto che la destra parlamentare, invece di limitarsi a rivendicare un’estraneità e un abisso incolmabile fra sé e quella esperienza stragista, abbia voluto  distinguersi nel sostegno alla tesi innocentista e, più in generale, “revisionista”, accreditando la “pista alternativa”. È difficile fare i conti fino in fondo con un passato che, piaccia o no, interseca il proprio. Tanto nefando ed empio è quel crimine che si vorrebbe togliergli, e far dimenticare, l’etichetta di destra. Che però resta, e i tribunali smontano ogni altra ipotetica matrice. 

Doveroso è infine ricordare le vittime, i loro nomi, la loro storie. Lo fa il libro di Morando, per alcune di esse; lo fanno, nelle proprie pagine in rete, l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage e gli Archivi «per non dimenticare», per tutte le persone uccise. Vittime di ogni parte d’Italia, e anche straniere, perché il 2 agosto migliaia di persone transitavano per quella stazione diretti alle località di vacanza. Bari conta sette cittadini uccisi, il più altro numero dopo la città di Bologna. Due famiglie baresi furono decimate. Perirono Vito Diomede Fresa (62 anni), Errica Frigerio (57) e il loro figlio Francesco Diomede Fresa (14); si salvò la figlia Alessandra che non era partita. Furono dilaniate Silvana Serravalli (34 anni) e le nipoti Patrizia Messineo (18) e Sonia Burri (7); sopravvissero i genitori di Silvana, la sorella e il cognato che erano con lei. Cadde Giuseppe Patruno (18 anni), si salvò suo fratello; avevano accompagnato in stazione due turiste straniere. Tutti volevano trascorrere giorni sereni; morirono inopinatamente per una mostruosa congiura politico-criminale che comportava il cinico sacrificio di molte persone innocenti.

Pasquale Martino

Il testo è la versione estesa di un articolo apparso su "La Gazzetta del Mezzogiorno" il 2 agosto 2023