Il caro immaginar


Il luogo dell'anima


Mi restano dentro, mi fanno viaggiare nel pensiero, i luoghi dove natura e cultura s’incontrano in una dimensione indefinibile e unica. Architettura e cielo, pietra e storia. I luoghi vissuti, ove una bancarella di frutta colora l’aria tagliata da un vocio di bambini, a qualche metro da sonnolente forme murarie. Il Marais e il Portico di Ottavia, Gerusalemme e Istanbul.
Il luogo d’elezione, del ritorno e del rapimento, è la mia Bari Vecchia. Soprattutto il suo confine alto, la Muraglia. Sospeso e lungo, accompagnato dal mare ora immobile e ammantato di scaglie luminose, ora in subbuglio, oscurato da nembi in corsa. Da lì tu guardi il dorso della possente fortezza di San Nicola, i campanili, le navi lontane che scivolano. Ho avuto il privilegio di andare lì ogni giorno per cinque anni, di vivere quegli spazi ad ogni ora della giornata. Radici ritrovate, infanzie rifiorite, atmosfere di vitalità inattesa. Deserta e metafisica nei tempestosi pomeriggi d’inverno, la via della Muraglia si popola all’improvviso nei sentori primaverili: di turisti in piccole pattuglie che scorrono occhieggiando, poi in truppe avanzanti dietro stendardi; di coppiette evase da scuola, che si baciano appoggiate al muretto; di frotte allegre di piccoli scolari coi cappottini leggeri, guidati da maestre solerti, che salutano in modo professionale.
Quando è la festa del Santo, la via è percorsa da pellegrini eccitati e devoti, e il muro in basso è assediato da friggitori e ambulanti. Le sere d’estate, famiglie passeggiano a cercare il fresco, mentre sotto si arrostiscono gnemeridde, e più tardi brigate di ragazzi annoiati vi si avventurano distanziandosi dalle piazze della movida. Di lì, quando è mattino, scendi verso i vicoli sparsi: bifore appese e chianche, sonorità e profumi,  crocicchi e portoni davanti ai quali si accende il pensiero; di qui passavamo infiammati ai nostri anni ribelli, e di qui è passata la storia: cortei di marinai e corteggi di vescovi e regine, assorte camminate di musicisti e comitive di operai indignati. E risali sulle antiche mura, muovi i passi verso il porto di barche e attracchi, che ti fa sognare di isole greche e approdi  dalmati. E pensi a quelli che qui arrivarono e arrivano con lunghe speranze nel cuore, delusi, stranieri senza riscosse. Sulle mura, tornando indietro, incontri di sera i giovani artisti, le forme geniali e dolenti che a volte illuminano uno spazio per loro, animano di slanci la strada e il muretto. Dallo slargo del Fortino, proteso nella luce e nel vento, e poi dalla lieve discesa, guardi l’estrema spianata di Bari Vecchia, e la città nuova che brulica; le vele e i palazzi, il teatro negato; il lungomare in fuga verso l’orizzonte, che fu sequestrato e poi con battaglia liberato. E nel sollievo dell’aria che ti circonda, tu senti il distacco da quel groviglio d’amore e d’ombra, magnifico e disperato, e senti l’intima unione che ti avvince a quello strano labirinto di uomini e donne.

Pasquale Martino

Questo scritto è stato pubblicato in forma ridotta dal "Corriere del Mezzogiorno" del 25 giugno 2009.
La fotografia di via Venezia a Bari è di Antonio Federici, che ringrazio.




Oltre il giardino


In principio era il Verde (poco, come in tutta Bari). Andavi a piazza Umberto, lato Ateneo, come in una disadorna oasi extramurale dell’Università, per prendere una pausa dall’atmosfera affumicata delle aule. (L’altro giardino, piazza Cesare Battisti, alle spalle dell’Ateneo, era una giungla aliena; l’isola di Giurisprudenza e Lingue era di là da venire.)  La vasca della fontana era spesso prosciugata, desolatamente secca. Dal lato di via Crisanzio il bar – c’è ancora – metteva tre o quattro tavolini fra le aiuole. Ma sedersi là era un lusso. Uno sparuto gruppetto incominciò a darsi appuntamento alle panchine dalla parte di via Sparano (percorsa dalle automobili); furono detti «i panchinari», quasi perdigiorno, ma sono diventati seri professionisti. Man mano, altre comitive e famiglie della sinistra rivoluzionaria si abituarono a stazionare fra quelle macchie erbose. E mentre gli anni ’70 prendevano la rincorsa, il plumbeo monumento equestre di Umberto I si colorò di scritte inneggianti a Gaetano Bresci; negli instabili assembramenti fiorirono amori, solidarietà e pensieri politici; qualcuno, alla ricerca di un senso, trovò allucinogeni. Studenti e proletari, femministe e emarginati (migranti non ce n’erano) si incrociavano in combinazioni strane e a volte belle. Alcuni si aggiravano persi in se stessi come monadi. Quando tra quegli alberi si accese una rissa fra compagni (che per fortuna si spense senza feriti) era ormai l’inizio della fine.  

Pasquale Martino
In Oltre il Giardino. Una piazza, una città, percorsi fotografici a cura di Daniele Trevisi, Edizioni dal Sud, Bari, 2013. La foto è tratta da questo volume. 





dal sito di Beautiful Afrique
Makeba che venne qui
A Zensile Makeba di Johannesburg
6 novembre 2009


 

Sei venuta a lasciare i tuoi giorni
nel vento, qui, in un imbuto maligno,
dove perduta si stringe la grande
carovana dal continente antico,
e sospesa in un estraneo margine
spaurita attende. Quando
di qui a cent’anni, di soprassalto,
ci saremo destati dall’incubo
che feroce ha noi in pugno, a chi di noi
ci sarà, sconsolata vergogna
si svelerà di questo paese
l’aver estorto il grido
che ti ha chiamata a questa sorte,
magnifico angelo dei tormentati,
l’aver fatto svanire una dea
nel dolore. E forse un’ira muta,
o un aspro orgoglio prenderà alla gola
chi sarà lí al risveglio
nel sapere che a questa latitudine
ha sfolgorato fiero
l’ultimo tuo baleno, Atena Nera.




Dell'amore
Giorgio Vasari, Dante 
con Cavalcanti, particolare
Omaggio a Guido Cavalcanti
2004

Me lo chiede una donna: e dunque voglio
qui dire di un fenomeno potente,
così crudele che è chiamato amore,
e fa pensare a morte.
Impàri chi non crede.
Chi ha conoscenza ascolti:
non spero cognizione in menti rudi.
Scienza e filosofia
danno la prova che rivela amore
dove s’insedia, donde è generato,
qual è il potere suo e l’essenza, quali
i movimenti che amare dispiega.

L’anima sensitiva
è luogo proprio ove s’apprende amore.
Un corpo opaco si fa trasparente
se lo penetra luce:
ma amore dalle oscurità di Marte
prende costituzione e si deposita.
Si crea nel tempo e nasce per natura
quale appetito che non è ragione,
dalla contemplazione di una forma.
Sciolto dall’intelletto
è potenza sensibile perfetta.
Sovrasta la ragione nel giudizio
di ciò ch’è il proprio bene.
Chi è in suo dominio vive nell’errore.

Da sua potenza spesso segue morte
per tenuità di spirito vitale:
nella smania infelice
non c’è chi possa dire d’esser vivo.
Ma morire, non altro,
anche è la vita che lo disconosce.

È dismisura che mai non comprende
riposi, e muta il riso in pianto, e il viso
fa che si trascolori
e si desti paura
di reggere la vista dell’amato.
Fuggevole, è sovrano nei magnanimi.
E sempre si rinnova
generando sospiri, e stringe l’animo
a non staccare gli occhi
dall’instabile oggetto
del desiderio, e un’ira ribollente
che intendere non può chi non la prova
nega di assecondare ogni altro impulso,
di potersi distrarre per sollievo.
La saggezza si eclissa, molta o poca.

E questo limite svela manifesta
la sua presenza, il colpo d’una freccia
che leggiadra bellezza
ha scagliato: lo spirito
trafitto ora a null’altro sa e può ambire
che alla sua ricompensa.

Non è cosa visibile
in sé, non è reale
forma esistente che lo fa procedere.
Non ha colore, sostanza palpabile,
proviene dall’oscuro e non ha luce:
questo è amore che vuole
conquistare una volta il contraccambio.



 





Borghi antichi
1994

Eco di lastre sotto i tacchi, bianche
levigate da molti secchi d'acqua
e strofinacci, in vicoli salmastri.
Arcaici mascheroni su portali,
bifore mute pendenti sopra archi
nell'ombra, e slarghi azzurri intorno ad absidi
e geometrie di pietra, grifi e sfingi.
Ceste d'alghe e di fichi, corse nude
di bambini e palloni, parlottìo
da usci e davanzali, mura in fuga
verso scogli e gabbiani, verso il vento.


La fotografia di Santa Scolastica a Bari Vecchia è di Antonio Federici, che ringrazio.