Sertorio

Otto anni in Spagna

Appiano, Le guerre civili I, 108-115
Traduzione inedita di Pasquale Martino


[108]  Del complesso degli eventi relativi all’età di Silla restava aperta la guerra di Sertorio. Essa durò otto anni e fu tutt'altro che facile per i Romani, dato che non si combatteva solo contro gli Iberici, ma, ancora una volta, fra Romani stessi e contro Sertorio. Questi aveva ottenuto il governo dell’Iberia; poi combattendo con Carbone contro Silla aveva occupato la città di Suessa durante una tregua, dopodiché era fuggito e aveva raggiunto la sua provincia. Avendo con sé un esercito portato dall’Italia, e un altro avendone raccolto in Celtiberia, affrontò i governatori in carica prima di lui, che per riguardo a Silla non gli cedevano il comando, e li cacciò dall’Iberia; anche contro Metello, inviato da Silla, si batté con valore. Famoso per la sua temerarietà, formò un consiglio di trecento persone prendendole dagli amici che aveva con sé, e diceva che questo era il senato romano: il nome di senato voleva essere un oltraggio nei confronti di quello vero. Morto Silla, e dopo di lui Lepido [77 a.C.], acquistò un altro esercito di Italici, portatogli da Perpenna, il luogotenente generale di Lepido: c’era da aspettarsi verosimilmente che avrebbe realizzato una campagna contro l’Italia, se il senato, impaurito, non avesse inviato in Iberia un altro esercito e un altro generale in aggiunta al primo. Si trattava di Pompeo, ancora giovane, ma già famoso per le azioni che aveva compiuto sotto Silla in Libia e nella stessa Italia.

[109] Questi affrontò con coraggio la scalata delle Alpi; non ripercorse però la via dell’impresa annibalica, ma si scavò un altro passaggio in mezzo alle sorgenti del Rodano e dell’Eridano; i due fiumi nascono dalle Alpi non lontano l’uno dall’altro, ma il primo scorre in Gallia, al di là delle Alpi, e sfocia nel mar Tirreno, l’altro scorre al di qua delle Alpi fino allo Ionio, prendendo il nome di Po invece che di Eridano.
Appena Pompeo arrivò in Spagna subito Sertorio gli distrusse un’intera legione, uscita a far foraggio, con tutte le bestie da carico e gli inservienti; poi, sotto gli occhi dello stesso Pompeo, saccheggiò e devastò la città di Laurone. Durante la presa della città una donna, con atto inconsueto, strappò gli occhi con le dita al suo violentatore. Era un’intera coorte che notoriamente si gloriava di tali azioni: Sertorio, informato dell’accaduto, la mandò tutta a morte, benché fosse composta da Romani.

[110] Allora sopraggiunse l’inverno, i combattenti si separarono. All’inizio della primavera [75 a.C.] mossero gli uni contro gli altri, Metello e Pompeo dai Pirenei, dove avevano trascorso l’inverno, Sertorio e Perpenna dalla Lusitania. Si scontrarono nei pressi di una città chiamata Sucrone. Sebbene si verificassero, a ciel sereno, spaventoso fragore di tuoni e bagliori inspiegabili, i contendenti da sperimentati praticanti di guerre non vi badarono e, impassibili, si procurarono l’un l’altro grande strage: finché Metello da un lato mise in fuga Perpenna e ne saccheggiò l’accampamento, Sertorio dall’altro vinse Pompeo, che riportò una pericolosa ferita di lancia alla coscia. Questa fu la conclusione della battaglia.
Sertorio aveva una cerva bianca, addomesticata e in libertà. Questa scomparve, e Sertorio, giudicando la cosa di cattivo augurio, era di malumore e se ne stava inattivo, per giunta schernito dai nemici per via della cerva. Ma poi questa fu vista correre per i boschi; allora si rianimò anche Sertorio e di là a poco si lanciava in scaramucce contro i nemici, quasi come primizia offerta alla cerva.
Non molto dopo si combatté una grande battaglia a Segontia, da mezzogiorno a sera. Da un lato Sertorio, combattendo con la cavalleria, ebbe ragione di Pompeo e gli uccise circa seimila uomini perdendone circa la metà; ma Metello, contemporaneamente, distrusse a Perpenna qualcosa come cinquemila uomini. Il giorno successivo alla battaglia Sertorio radunò molti indigeni in aiuto, e nel tardo pomeriggio piombò inaspettatamente sull’accampamento di Metello: l’intenzione, piuttosto audace, era di bloccarlo con un fossato, ma il fulmineo arrivo di Pompeo lo dissuase da questa pretesa.
Tali furono le operazioni di questa estate; poi nuovamente si separarono diretti ai quartieri d’inverno.

[111] Nell’anno successivo, mentre correva la centossettantaseiesima olimpiade [74 a.C.], due province si aggiunsero ai Romani per disposizione testamentaria: la Bitinia e Cirene, la prima per lascito di Nicomede e la seconda di Tolomeo, il re Lagide, soprannominato Apione. Ma divamparono anche piú guerre: questa di Sertorio in Iberia, quella di Mitridate in Anatolia, quella dei pirati nell’intero mare, un’altra a Creta contro gli stessi Cretesi, e quella dei gladiatori in Italia, anch’essa improvvisa e insieme violenta. Sebbene la loro attenzione dovesse dividersi fra tutte queste guerre, ugualmente inviarono anche in Spagna altre due legioni dell’esercito, con le quali e con tutto il resto Metello e Pompeo scesero di nuovo dai Pirenei verso l’Ebro; Sertorio e Perpenna marciavano loro incontro dalla Lusitania.

[112] Proprio allora molti uomini di Sertorio passarono a Metello: irritato da ciò, Sertorio si lasciò andare ad azioni crudeli e barbariche ai danni di molti acquistandosi odio. Gli uomini dell’esercito specialmente lo accusavano perché dappertutto prendeva come guardie del corpo, al posto loro, dei Celtiberi, e affidava il servizio di sicurezza a quelli, avendone allontanato i Romani: non sopportavano l’accusa di infedeltà, anche se prestavano servizio sotto un nemico dei Romani. Anzi proprio questo li rodeva piú di ogni altra cosa: per Sertorio erano stati infedeli verso la patria, e ora venivano giudicati poco affidabili anche da lui; non ritenevano giusto che la diserzione di alcuni gettasse la colpa su quelli che erano rimasti al loro posto. E con questo pretesto anche i Celtiberi li insultavano perché inaffidabili. Nonostante ciò non maturavano la decisione di abbandonare Sertorio perché non mancavano i vantaggi: non c’era allora un altro capo militare piú esperto e piú fortunato. Motivo per cui anche i Celtiberi lo chiamavano, per la rapidità di esecuzione, Annibale, che consideravano il generale piú audace e piú insidioso mai stato presso di loro.
Appunto mentre lo spirito dell’esercito nei confronti di Sertorio era di tal genere, gli uomini di Metello assalirono molte città che obbedivano a lui e gli si sostituirono nel dominio degli abitanti. Mentre Pompeo assediava Palanzia e iniziava a disporre tronchi di legno sotto le mura, si mostrò Sertorio e fece cessare l’assedio; tuttavia Pompeo fece in tempo ad incendiare le mura e si ritirò verso Metello. Sertorio fece riparare le mura crollate, poi piombò sugli uomini accampati in località Calagurris e ne uccise tremila. E questi furono gli avvenimenti di quest’anno in Iberia.

[113] Nell’anno successivo [73 a.C.] i generali romani presero maggior coraggio e avanzarono spericolatamente contro le città sottoposte a Sertorio: gliene portarono via molte, altre ne investirono coi loro assalti, eccitati dal risultato. Tuttavia non si scontrarono in battaglia campale, ma ripeterono lo stesso tipo di combattimento; finché l’anno dopo [72 a.C.] i due generali romani di nuovo avanzarono con ardire ancora piú grande, mentre Sertorio, cui ormai un dio sconvolgeva la mente, rallentava volontariamente gli sforzi nell’azione, e stava per lo piú in ozio perdendo il tempo con donne, in feste e bevute. Per cui subiva continui insuccessi. Cosí diventò estremamente collerico per i sospetti piú svariati, e ferocissimo nelle punizioni e diffidente verso tutti, nessuno escluso. Di conseguenza anche Perpenna, che spontaneamente lo aveva raggiunto con molte truppe dopo la ribellione di Lepido, incominciò a temere per sé e con dieci uomini lo provenne nel complotto. Ma una parte di questi uomini venne denunciata: alcuni furono condannati, altri fuggirono, e Perpenna, che inaspettatamente non era stato scoperto, affrettò ancora di piú i tempi dell’azione. Invitò a un banchetto Sertorio, che dappertutto si portava appresso i suoi armigeri;  dopo aver ubriacato lui e la scorta, disposta tutta intorno alla sala, li uccise al termine del pranzo.  

[114] Immediatamente l’esercito si sollevò contro Perpenna con gran tumulto, rabbioso, passando subito dall’odio all’amore per Sertorio: come fanno tutti, che depongono il risentimento contro i morti, non avendo piú fra i piedi la persona molesta, e tornano a ricordarne pietosamente il merito. Tenendo anche conto della situazione in cui si trovavano, non avevano stima di Perpenna che giudicavano poco pratico, non all’altezza, pensando invece che il solo Sertorio sarebbe stato la loro salvezza; perciò erano maldisposti verso Perpenna, e con loro anche gli indigeni, soprattutto i Lusitani, che erano quelli con cui specialmente Sertorio aveva avuto a che fare.
Poi fu aperto il testamento di Sertorio: c’era scritto il nome di Perpenna come erede; allora tutti gli animi furono ancor piú invasi dalla collera e dall’odio verso Perpenna, che risultava aver commesso una tale infamia ai danni di chi era stato non solo suo capo e generale, ma anche amico e benefattore. Ed erano giunti vicino alla manifestazione violenta: sennonché Perpenna, correndo dall’uno all’altro, corruppe qua, promise là, impaurí con minacce; uccise anche qualcuno, come deterrente per altri. Presentatosi di fronte alle truppe in adunata, le lusingava demagogicamente; liberò i soldati arrestati da Sertorio e rilasciò gli ostaggi agli Iberi. In questo modo riuscí a trarre dalla sua le truppe, che gli obbedivano in quanto comandante (grado che di fatto ricopriva subito dopo Sertorio), conservando però una certa ostilità nei suoi confronti. Perpenna, preso coraggio, si dimostrò crudelissimo nelle punizioni, e fece uccidere tre delle personalità che erano fuggite con lui da Roma, e anche suo nipote.


[115] Mentre Metello si dirigeva verso altre parti dell’Iberia (non sembrava infatti rischioso lasciare Perpenna al solo Pompeo), per alcuni giorni Pompeo e Perpenna si saggiarono con scaramucce, senza muovere il grosso degli eserciti; il decimo giorno scoppiò una battaglia campale. Avevano scelto di risolvere tutto con una sola operazione: Pompeo disprezzava Perpenna come comandante, Perpenna sapeva di avere a che fare con un esercito che non gli sarebbe stato fedele ancora per molto, per cui venne all’attacco con quasi tutte le sue forze. Pompeo ottenne rapidamente la vittoria su un comandante mediocre e su un esercito dal morale intaccato. Si verificò una fuga in massa, e Perpenna si nascose sotto un cespuglio, temendo i suoi uomini piú dei nemici. Alcuni cavalieri lo presero e lo trascinarono da Pompeo, mentre i suoi lo insultavano come assassino di Sertorio, e lui gridava che avrebbe rivelato a Pompeo molte cose sul partito dell’eversione a Roma; forse era vero, o forse lo diceva per arrivare vivo davanti a Pompeo. Ma questi mandò avanti l’ordine di ucciderlo prima che arrivasse alla sua vista, evidentemente temendo che rivelasse qualcosa di inaspettato e diventasse fonte di altri turbamenti a Roma. Sembrò un atto assolutamente saggio da parte di Pompeo, e contribuí anch’esso alla sua ottima reputazione. 
Questa fu la fine della guerra in Spagna, che coincise con la fine di Sertorio; si ritiene infatti che, vivo Sertorio, non sarebbe stata conclusa cosí rapidamente né cosí facilmente. 

Testo: Loeb Classical Library.