giovedì 24 marzo 2016

Turi Toscano

Quaranta anni senza di lui. 
Quando il movimento diventò politica.
Milano e la Puglia, una storia degli anni '70 

Il 24 marzo ricorrono quarant’anni dalla morte di Salvatore Toscano, uno dei più singolari dirigenti della nuova sinistra degli anni ’70. La sua scomparsa nel 1976, a soli 38 anni, in seguito a un incidente stradale, troncò di colpo un cammino e fu un drammatico presagio del tramonto di un’epoca politica. Oggi su «Repubblica» molti che lo incontrarono firmano una testimonianza. Rievocarne la figura è anche contribuire alla comprensione di un’età tuttora controversa.  
Salvatore (Turi) era stato con Mario Capanna il leader del movimento studentesco dell’università statale di Milano. Nato ad Acireale, arrivò nel capoluogo lombardo dopo aver militato nel Psiup. Il suo riferimento formativo – su cui scriverà un saggio – era Rodolfo Morandi, grande organizzatore socialista, paladino dell’unità a sinistra e dell’identità operaia. A Morandi si ispirarono i padri del neomarxismo come il Panzieri dei «Quaderni rossi», ma Toscano lo interpretava soprattutto come un’alternativa rigorosa a Togliatti, che a suo giudizio aveva inteso l’unità antifascista in modo verticistico e compromissorio. Un modello che oggi può apparire irrimediabilmente datato: il leninismo morandiano integrato dal maoismo; il quale ultimo peraltro, con la sua idea di protagonismo delle masse, esercitò una vasta suggestione a sinistra. Motivi di cui era intessuta la cultura politica del tempo: una lingua comune, una koinè. Nel grande sogno – quando perfino la questione meridionale sembrava sul punto di essere superata – l’emigrato siciliano era oltretutto simbolo di un Sud che ribalta il suo destino e va a conquistare il Nord (Toscano è, come si ricorderà, il cognome dei Malavoglia di Verga).  

L’importanza di Turi Toscano sta soprattutto nell’aver guidato con fermezza il Movimento studentesco a diventare forza politica garante dell’agibilità democratica in una Milano scossa dalla strategia della tensione, dall’eversione neofascista e dall’uso spregiudicato della violenza da parte della polizia. La pedagogia di Toscano trasmetteva un concetto complesso della politica, in cui si dovevano analizzare a fondo tutte le contraddizioni in atto e comporre alleanze fondate su processi concreti. E così alle manifestazioni del Movimento partecipavano gli operai in sciopero, impiegati, intellettuali, interi segmenti sindacali e sezioni del Pci; un bel pezzo di quella che poi si sarebbe chiamata la società civile. Era la lotta contro la «fascistizzazione», ovvero contro la tendenza delle classi dirigenti a risolvere la crisi sociale con un giro di vite liberticida. Era il fronte antifascista che si ricostituiva dal basso per difendere e attuare la Costituzione nata dalla Resistenza. Un fronte che non escludeva di incidere sulle scelte dei partiti, ma solo in direzione di un governo di sinistra (quello del 51%, per intenderci) e non del «compromesso storico» perseguito dal Pci.
Un tale progetto richiedeva ormai una organizzazione di tipo partitico: il Movimento lavoratori per il socialismo nacque nel febbraio 1976, eleggendo Toscano segretario. Mancava un mese alla morte. A lui si dovevano acquisizioni rilevanti: l’adesione di un gruppo prestigioso di partigiani messi ai margini dal Pci, quali Giuseppe Alberganti e il critico d’arte Raffaele De Grada; il coinvolgimento di parecchie forze sparse in tutta Italia, fra le quali spiccava la maggior parte del Circolo Lenin di Puglia (e il Mls fu particolarmente forte a Bari e a Lecce); un sistema di comunicazione e produzione culturale che annoverava il settimanale «Fronte Popolare» (promotore di festival nazionali, uno dei quali si svolse a Bari nel ’77), un paio di riviste, e inoltre artisti e musicisti, una casa editrice e una rete di cooperative librarie che sorsero anche in Puglia. 

Alcuni deficit erano visibili e si sarebbero rivelati appieno dopo il ’76. Un pensiero “difensivo”, che riepilogava una grande narrazione ma diffidava del cambiamento e delle esplorazioni; il femminismo venne recepito – con qualche eccezione – in modo inadeguato, come un “settore”; il terrorismo brigatista, alacre già a metà anni ’70, fu visto come variante strumentale del disegno reazionario, senza coglierne fino in fondo l’autonomia e il devastante potenziale di disorientamento. Tuttavia Toscano e il Mls educarono a respingere come una provocazione l’attrattiva della lotta armata. A Toscano non si può addebitare quello che avvenne dopo, in nessun senso. Si può dubitare che egli – così sferzante nel ’76 contro i vertici del Pci – avrebbe deciso dopo un biennio l’inversione di avvicinamento, da cui, col Pdup di Magri, venne la confluenza nel partito comunista a metà anni ’80, quasi alla vigilia del suo scioglimento. Ma i tempi erano cambiati. La rincorsa del decennio ’68-’78 era finita, e si trattava di pilotare un difficile ripiegamento che consentisse spazi di azione politica nelle mutate condizioni. Altri fecero scelte diverse. Restava una storia di uomini e donne che avevano condiviso una speranza e una pratica ritrovandosi sotto il segno del Mls: ne parla per esempio il compianto Luca Rastello nel suo Piove all’insù (Bollati Borghieri, 2006) che alcuni considerano il migliore romanzo italiano sulla gioventù di sinistra degli anni ’70.   

Pasquale Martino

«La Gazzetta del Mezzogiorno», 24 marzo 2016

L'articolo è qui in versione integrale, un po' più ampia di quella stampata dal quotidiano.
Grazie ad Antonio Volpe per le due immagini principali, che riproducono le pagine di «Repubblica» e della «Gazzetta».