lunedì 18 novembre 2013

Bari antifascista

Michele Romito

 


Aveva quarant’anni o poco più, quando, a ridosso del ’68, Michele Romito incontrò quasi naturalmente i giovani baresi che contestavano la scuola autoritaria e scendevano in piazza al fianco degli operai. In Bari Vecchia, la sua città, dalla quale raramente si allontanava, quei ragazzi a loro volta s’imbatterono in un uomo possente, simpatico e diretto, che aveva tante cose da raccontare della sua vita difficile e ribelle – tutte in dialetto barese stretto, e se non capivi dovevi arrangiarti a imparare – ed ebbero in lui una sorta di padre: quel padre-compagno, uomo del popolo, di cui andavano alla ricerca per rinascere dopo aver dato addio alla vita del conformismo borghese. Soprattutto, scoprirono increduli e quasi per caso (Michele non se ne vantava) un fatto straordinario: all’età di quindici anni quell’uomo aveva fatto un gesto semplice e immenso. Il 9 settembre del 1943, mentre i tedeschi tentavano di occupare Bari Vecchia e, per essa, il Porto, si era armato di sei bombe a mano di un piccolo reparto di militari italiani che si opponevano ai nazisti (altra vicenda da raccontare) e aveva colpito un mezzo blindato, incendiandolo e chiudendo così alla colonna tedesca l’accesso alla città vecchia. Bari si era salvata col il suo porto strategico, che sarebbe servito di lì a poco agli Alleati per proseguire la guerra al nazifascismo.    

Trent’anni dopo la città si era dimenticata dell’antifascismo e perfino di se stessa. Non ricordava questi fatti, tanto meno li celebrava. Erano confinati in una memoria “di parte”, o, per essere più espliciti, comunista; questo era l’ambiente di Romito, operaio portuale nonché manovale dai molti mestieri, quasi sempre saltuari. Ma quel partito, forte a Bari Vecchia e diffidente verso il resto della città, non bastava a Michele; incominciò a frequentare i giovani “rivoluzionari” – sorpresi e orgogliosi per questa sua scelta – nei quali sentiva forse l’affinità degli impulsi di protesta, del rifiuto di adeguarsi all’ingiustizia quotidiana.



Poi ebbe inizio un’altra storia. A metà degli anni 70 arrivò la medaglia, che fu appuntata sul petto di Michele Romito in una grande manifestazione dell’ANPI al Teatro Piccinni. Furono i primi passi di un cammino lungo e non privo di ostacoli, di progressiva riappropriazione della memoria da parte di Bari, di riscoperta della sua storia antifascista: fino al riconoscimento delle medaglia d’oro alla città, consegnata dal presidente Napolitano. Michele era ormai un protagonista riconosciuto. Le scolaresche lo intervistavano, era sempre presente nelle manifestazioni del 25 aprile e del 9 settembre. Gli ultimi anni non avevano certo cambiato in meglio la sua esistenza: viveva una vecchiaia poverissima e dignitosa, di salute malferma, nel cuore della città, nel “quartiere” di san Marco dei Veneziani; la vita dura non gli aveva risparmiato nulla. Fra pochi giorni cadrà il primo anniversario senza di lui, il partigiano ragazzo della battaglia di Bari.
Due mesi fa, a fine giugno, l’ultima sua uscita pubblica è stata la felice partecipazione a un meeting di quegli ex giovani della “Puglia ribelle”, i suoi figli-compagni di quarant’anni fa. È stato riabbracciato e applaudito con molta commozione, quest’uomo vigoroso e povero, che ha fatto la storia di Bari.


Pasquale Martino
Questo ricordo è stato pubblicato dal "Corriere del Mezzogiorno", settembre 2009.
Nella fotografia: Michele Romito sfila con la medaglia in una manifestazione dell'Anpi.