A lezione di Resistenza
Concetto Marchesi nel 1943
Il 9 novembre del 1943 – settanta anni fa – il rettore dell’Università
di Padova prendeva la parola per una inaugurazione di anno accademico senza
precedenti. L’oratore era il grande latinista Concetto Marchesi, il rito si
celebrava in una città occupata dai tedeschi e quella data era l’inizio di un
tempo turbinoso che sarebbe culminato ventitre giorni dopo, il 1° dicembre, con
l’altrettanto memorabile appello dello stesso Marchesi agli studenti, affinché
partecipassero alla guerra di liberazione contro il nazifascismo. Una pagina di
storia emblematica, che non riguarda soltanto l’antico ateneo patavino, ma
riflette il dramma della scelta di una nazione.
Del catanese Concetto Marchesi, che aveva allora 65 anni, erano note le
idee comuniste. Iscritto al Pci dal 1921; allontanatosi dalla politica attiva nel
ventennio fascista, nel 1931 non fece parte dell’esigua pattuglia di docenti
universitari che rifiutarono di firmare il giuramento di fedeltà. Motivò tale atto
con una direttiva del partito clandestino, che non voleva lasciare estromettere
dal contatto con gli studenti i pochi professori di fede comunista. Un’analoga
preoccupazione spinse anche Benedetto Croce e il Vaticano a consigliare ai
propri amici di piegarsi al diktat considerandolo una odiosa formalità. La
dittatura trionfante non aveva ancora conosciuto le incrinature provocate dalla
guerra di Spagna e dalle leggi razziali; restò l’umiliazione profonda a cui
un’intera categoria di docenti venne condotta. Nel frattempo lo studioso
catanese aveva pubblicato numerosi saggi e commenti ai classici latini nonché la
Storia della letteratura latina
(1925-27) su cui si sono formate più generazioni di studenti. A chi leggeva
quelle pagine si apriva una visione per molti versi inedita della cultura
classica, legata alla storia, alla vita civile, alla concreta umanità degli
autori. E così, per fare solo un esempio, il Catilina sallustiano appariva come
«il capo di un’agitazione popolare repressa nel sangue […] il condottiero
disperato di poche forze rivoluzionarie, caduto in una ferocissima battaglia».
E battaglia feroce era
quella che incombeva sull’Italia. All’inizio del 1943 Marchesi è di nuovo
attivo politicamente: il Pci lo coinvolge quale proprio rappresentante nelle
consultazioni tra le forze antifasciste e nei contatti con la monarchia, sollecitata
a sbarazzarsi di Mussolini. Dopo il 25 luglio è nominato rettore di Padova (e
fu l’unica defascistizzazione del governo Badoglio: docenti antifascisti
andarono a reggere altri atenei). All’indomani dell’8 settembre Marchesi si
dimette, ma il ministro dell’educazione della repubblica di Salò, Carlo Alberto
Biggini, che risiede a Padova, respinge le dimissioni. È un frangente
difficile: si stabilisce un precario compromesso, in base al quale il rettore
tenta di preservare l’Università dalle intromissioni del comando tedesco. Di
fatto, l’ateneo padovano diventa sede di organizzazione del CLN e della
resistenza ancora in germe; ma l’ambiguità della situazione è considerata rischiosa
dal centro dirigente del Pci. In questo quadro si arriva alla inaugurazione del
9 novembre, cui non sono ammesse autorità esterne tranne Biggini: scoppiano
incidenti fra studenti e milizie universitarie fasciste, le quali vengono
allontanate grazie anche all’energico intervento del rettore. Dichiarando aperto
l’anno accademico «in nome
di questa Italia dei lavoratori, degli artisti, degli scienziati», «in queste ore di angoscia, tra
le rovine di una guerra implacata» Marchesi rivendica «la custodia civile
dell'Ateneo padovano», come «un tempio inviolato»; ed esalta la lotta dei
lavoratori: «il
lavoro ha sollevato la schiena […] e lo schiavo di una volta ha potuto anche
gettare via le catene che avvincevano per secoli l'anima e l'intelligenza sua. […]
Una moltitudine di coscienze è entrata nella storia a chiedere luce e vita e a
dare luce e vita».
Molti dei presenti (fra cui c’era l’azionista Silvio
Trentin, uno dei padri della Resistenza) ricorderanno quell’episodio come una inequivocabile
manifestazione antifascista. Ma il governo di Salò tenta di riparare allo
scacco presentando il fatto sulla sua stampa come un avallo al progetto di
socializzazione della repubblica fascista. La direzione del Pci (Longo a
Milano, Amendola a Roma) contrasta con veemenza la posizione di Marchesi:
questi rasenta l’espulsione dal partito. Drammatico scontro fra due istanze
nello stesso campo, che hanno entrambe le proprie ragioni e le proprie
responsabilità cui fare fronte. Il dissidio è presto risolto dal precipitare
degli eventi, con il giro di vite imposto dai tedeschi: pochi giorni dopo
Trentin è imprigionato e Marchesi sfugge all’arresto entrando in clandestinità.
Prima di riparare in Svizzera scrive un appello agli studenti, che, datato 1°
dicembre, incomincerà a circolare qualche giorno dopo. Rivolgendosi ai giovani
con l’autorevolezza del rettore (che contestualmente si dimetteva dalla
carica), cioè di colui che li aveva rappresentati con fierezza il 9 novembre,
spiega loro che l’apparente tregua è finita; che l’università non è più «immune
dall'offesa fascista e dalla minaccia germanica». «Una generazione di uomini ha
distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria. Traditi dalla frode, dalla
violenza, dall'ignavia, dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventù
operaia e contadina, dovete rifare la storia dell'Italia e costituire il popolo
italiano. […] Studenti: mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi
maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta assieme combattuta. Per la
fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l'oppressore
disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate
l'Italia dalla schiavitù e dall'ignominia».
L’appello suscitò un’eco enorme: diffuso dalla stampa
antifascista clandestina, riprodotto dai giornali dell’Italia liberata (ebbe
ampio risalto sulla «Gazzetta del Mezzogiorno»), fu trasmesso ripetutamente da
Radio Londra. Si trattò, di fatto, del primo manifesto della Resistenza armata.
Il suo autore si sarebbe poi distinto per il durissimo attacco a Giovanni
Gentile (in cui molti videro una «sentenza» nei confronti del filosofo
fascista, che sarà ucciso dai partigiani) e, dopo la Liberazione, come membro
della Costituente e parlamentare del Pci fino alla morte (1957), non di rado autonomo
dalle posizioni ufficiali del partito. Basterebbero però le intense parole dello
storico appello ai giovani per indicare in lui uno dei fondatori della nuova
Italia.
Pasquale Martino
«La Gazzetta del Mezzogiorno» 9 novembre 2013
Immagini: Marchesi parla all'inaugurazione del 9.11.1943 (dal sito della Associazione Concetto Marchesi, che si ringrazia).
Facciata dell'Università di Padova.