sabato 16 novembre 2013

L'appello di Marchesi


A lezione di Resistenza
Concetto Marchesi nel 1943

Il 9 novembre del 1943 – settanta anni fa – il rettore dell’Università di Padova prendeva la parola per una inaugurazione di anno accademico senza precedenti. L’oratore era il grande latinista Concetto Marchesi, il rito si celebrava in una città occupata dai tedeschi e quella data era l’inizio di un tempo turbinoso che sarebbe culminato ventitre giorni dopo, il 1° dicembre, con l’altrettanto memorabile appello dello stesso Marchesi agli studenti, affinché partecipassero alla guerra di liberazione contro il nazifascismo. Una pagina di storia emblematica, che non riguarda soltanto l’antico ateneo patavino, ma riflette il dramma della scelta di una nazione.
Del catanese Concetto Marchesi, che aveva allora 65 anni, erano note le idee comuniste. Iscritto al Pci dal 1921; allontanatosi dalla politica attiva nel ventennio fascista, nel 1931 non fece parte dell’esigua pattuglia di docenti universitari che rifiutarono di firmare il giuramento di fedeltà. Motivò tale atto con una direttiva del partito clandestino, che non voleva lasciare estromettere dal contatto con gli studenti i pochi professori di fede comunista. Un’analoga preoccupazione spinse anche Benedetto Croce e il Vaticano a consigliare ai propri amici di piegarsi al diktat considerandolo una odiosa formalità. La dittatura trionfante non aveva ancora conosciuto le incrinature provocate dalla guerra di Spagna e dalle leggi razziali; restò l’umiliazione profonda a cui un’intera categoria di docenti venne condotta. Nel frattempo lo studioso catanese aveva pubblicato numerosi saggi e commenti ai classici latini nonché la Storia della letteratura latina (1925-27) su cui si sono formate più generazioni di studenti. A chi leggeva quelle pagine si apriva una visione per molti versi inedita della cultura classica, legata alla storia, alla vita civile, alla concreta umanità degli autori. E così, per fare solo un esempio, il Catilina sallustiano appariva come «il capo di un’agitazione popolare repressa nel sangue […] il condottiero disperato di poche forze rivoluzionarie, caduto in una ferocissima battaglia».
E battaglia feroce era quella che incombeva sull’Italia. All’inizio del 1943 Marchesi è di nuovo attivo politicamente: il Pci lo coinvolge quale proprio rappresentante nelle consultazioni tra le forze antifasciste e nei contatti con la monarchia, sollecitata a sbarazzarsi di Mussolini. Dopo il 25 luglio è nominato rettore di Padova (e fu l’unica defascistizzazione del governo Badoglio: docenti antifascisti andarono a reggere altri atenei). All’indomani dell’8 settembre Marchesi si dimette, ma il ministro dell’educazione della repubblica di Salò, Carlo Alberto Biggini, che risiede a Padova, respinge le dimissioni. È un frangente difficile: si stabilisce un precario compromesso, in base al quale il rettore tenta di preservare l’Università dalle intromissioni del comando tedesco. Di fatto, l’ateneo padovano diventa sede di organizzazione del CLN e della resistenza ancora in germe; ma l’ambiguità della situazione è considerata rischiosa dal centro dirigente del Pci. In questo quadro si arriva alla inaugurazione del 9 novembre, cui non sono ammesse autorità esterne tranne Biggini: scoppiano incidenti fra studenti e milizie universitarie fasciste, le quali vengono allontanate grazie anche all’energico intervento del rettore. Dichiarando aperto l’anno accademico «in nome di questa Italia dei lavoratori, degli artisti, degli scienziati», «in queste ore di angoscia, tra le rovine di una guerra implacata» Marchesi rivendica «la custodia civile dell'Ateneo padovano», come «un tempio inviolato»; ed esalta la lotta dei lavoratori: «il lavoro ha sollevato la schiena […] e lo schiavo di una volta ha potuto anche gettare via le catene che avvincevano per secoli l'anima e l'intelligenza sua. […] Una moltitudine di coscienze è entrata nella storia a chiedere luce e vita e a dare luce e vita».
Molti dei presenti (fra cui c’era l’azionista Silvio Trentin, uno dei padri della Resistenza) ricorderanno quell’episodio come una inequivocabile manifestazione antifascista. Ma il governo di Salò tenta di riparare allo scacco presentando il fatto sulla sua stampa come un avallo al progetto di socializzazione della repubblica fascista. La direzione del Pci (Longo a Milano, Amendola a Roma) contrasta con veemenza la posizione di Marchesi: questi rasenta l’espulsione dal partito. Drammatico scontro fra due istanze nello stesso campo, che hanno entrambe le proprie ragioni e le proprie responsabilità cui fare fronte. Il dissidio è presto risolto dal precipitare degli eventi, con il giro di vite imposto dai tedeschi: pochi giorni dopo Trentin è imprigionato e Marchesi sfugge all’arresto entrando in clandestinità. Prima di riparare in Svizzera scrive un appello agli studenti, che, datato 1° dicembre, incomincerà a circolare qualche giorno dopo. Rivolgendosi ai giovani con l’autorevolezza del rettore (che contestualmente si dimetteva dalla carica), cioè di colui che li aveva rappresentati con fierezza il 9 novembre, spiega loro che l’apparente tregua è finita; che l’università non è più «immune dall'offesa fascista e dalla minaccia germanica». «Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall'ignavia, dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell'Italia e costituire il popolo italiano. […] Studenti: mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta assieme combattuta. Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l'oppressore disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l'Italia dalla schiavitù e dall'ignominia».
L’appello suscitò un’eco enorme: diffuso dalla stampa antifascista clandestina, riprodotto dai giornali dell’Italia liberata (ebbe ampio risalto sulla «Gazzetta del Mezzogiorno»), fu trasmesso ripetutamente da Radio Londra. Si trattò, di fatto, del primo manifesto della Resistenza armata. Il suo autore si sarebbe poi distinto per il durissimo attacco a Giovanni Gentile (in cui molti videro una «sentenza» nei confronti del filosofo fascista, che sarà ucciso dai partigiani) e, dopo la Liberazione, come membro della Costituente e parlamentare del Pci fino alla morte (1957), non di rado autonomo dalle posizioni ufficiali del partito. Basterebbero però le intense parole dello storico appello ai giovani per indicare in lui uno dei fondatori della nuova Italia.
Pasquale Martino
«La Gazzetta del Mezzogiorno» 9 novembre 2013

Immagini: Marchesi parla all'inaugurazione del 9.11.1943 (dal sito della Associazione Concetto Marchesi, che si ringrazia).
Facciata dell'Università di Padova.