domenica 17 novembre 2013

Benedetto Petrone


Trent'anni dopo.
Storia di un libro e di una città

Il libro-inchiesta Le due città fu pensato e scritto in poco più di due mesi, dal settembre al novembre del 1978, e fu pubblicato alla vigilia del primo anniversario del delitto Petrone. Il progetto maturò all’interno di un gruppo di parecchie decine di giovani (i più grandi dei quali erano trentenni), che avevano, tutti quanti, vissuto «i giorni di Benedetto Petrone» ed erano, all’epoca dei fatti, militanti del Movimento Lavoratori per il Socialismo, una organizzazione della sinistra extraparlamentare, filiazione del Movimento Studentesco della Statale di Milano e di altre organizzazioni regionali. Usciti dal Mls nei mesi estivi del 1978, avevano dato vita alla Libreria Cooperativa, una sorta di centro polivalente che voleva essere a un tempo libreria, copisteria, associazione culturale e casa editrice. Il primo volume pubblicato dalla cooperativa fu, appunto, Le due città.  
Ci lavorò materialmente un collettivo di cinque-sei persone, che raccolsero la rassegna stampa e realizzarono alcune interviste. In questo ambito fu esaminato e discusso il dattiloscritto dei capitoli man mano che questi venivano stesi e poi dati alle stampe. I materiali dell’inserto fotografico  furono scelti fra le moltissime foto che circolavano; l’indicazione degli autori fu omessa un po’ per superficialità e un po’ perché si riteneva che tutto facesse parte di un grande epos collettivo e fondamentalmente anonimo. Molti scatti prescelti erano di Giuseppe (Fidel) Belviso, il quale a buon diritto ebbe a lamentarsi sommessamente con i compagni della cooperativa per non essere stato citato. Gli ultimi giorni furono convulsi: la correzione delle bozze fu troppo rapida e alcuni refusi fastidiosi sopravvissero.
Non c’è notizia, a nostra memoria, di quante copie furono stampate e quante vendute. Certo è che il libro si può considerare un successo, peraltro imprevisto, per il suo «valore d’uso» rivelatosi duraturo: è rimasto l’unica ricostruzione sufficientemente ampia dei fatti, cui hanno attinto nei decenni seguenti quanti erano interessati a conoscere la vicenda, compresi numerosi giornalisti. Le copie del libro, divenute nel frattempo introvabili, sono passate di mano in mano e spesso sono state integralmente fotocopiate, in una sorta di circuito underground che ha contribuito a perpetuare la memoria storica. Più volte, negli anni, si è parlato di una riedizione senza che questa avesse a realizzarsi.


Il libro è senza dubbio datato. Non certo perché è un testo nettamente orientato a sinistra, ma  perché, in primo luogo, risente troppo della fresca e particolare militanza politica dei suoi autori, la quale tende a invadere il punto di vista della narrazione, nonostante sia pure evidente lo sforzo di assumere un’ottica più imparziale e di tenere conto di tutte le visuali all’interno della sinistra. In secondo luogo, a distanza di tanti anni si avverte la mancanza, nel libro, di un capitolo finale che nel novembre 1978 non poteva ancora essere scritto, ma che oggi non può essere ignorato: quello della vicenda giudiziaria relativa al delitto.
Il primo processo Petrone si aprì il 13 novembre 1978, proprio nei giorni in cui appariva il libro. Imputati erano il solo Giuseppe Piccolo (latitante) per l'omicidio di Benedetto e per il ferimento di Franco Intranò, mentre altri sette fascisti (in libertà provvisoria) erano imputati soltanto per favoreggiamento. Pochi giorni dopo, la notizia dell’arresto di Piccolo in Germania determinava il rinvio del processo a nuovo ruolo, in attesa dell’estradizione. Questa fu disposta dalle autorità tedesche soltanto nel settembre del 1979 e il nuovo procedimento, apertosi a novembre, andò avanti per un paio d’anni fra perizie psichiatriche e tentativi di suicidio del principale imputato. Il dibattimento, svoltosi nel marzo del 1981, si concluse con la condanna di Piccolo a 22 anni e a pene molto miti per i coimputati. Nell’estate del 1984 nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto un suicidio riuscito tolse di mezzo Giuseppe Piccolo. 
Non è questa la sede per esaminare i contenuti e le dinamiche del processo (materia che non è mai stata studiata né raccontata). Basti dire che, a nostro avviso, non fu resa giustizia a Petrone, a Intranò e alla città, perché non furono individuate le responsabilità morali e politiche del delitto. «Non è stato un omicidio politico»: la frase che chiude il libro riassume efficacemente la chiave di lettura che della vicenda fu data a Bari negli anni seguenti. In questo senso, davvero, le città continuarono ad essere due: quella borghese, tradizionale e «di destra», aliena dal conflitto sociale e politico, la quale considerava i giovani neofascisti (escluso il «forestiero» e ambiguo Piccolo) propri rampolli troppo esuberanti; e quella «di sinistra», apparsa negli anni ’60 e ’70, conflittuale e  minoritaria, che si identificava nel giovane Petrone quale modello di impegno civile e politico per il cambiamento.
Certo, fra le due città vi sono state incursioni reciproche, contaminazioni e convivenze. È in questi interstizi che si dipana la storia di lunga durata della lapide commemorativa, testimone di una verità che l’«altra» città non ha mai voluto riconoscere, fino ad anni recenti. Il libro racconta, nel finale, quando e come la lapide fu apposta. Può essere interessante sapere che un paio d’anni dopo essa fu distrutta da un atto vandalico, presumibilmente compiuto da fascisti. Ne fu immediatamente ricollocata una uguale nello stesso posto, ma il testo era leggermente cambiato. La firma «gli antifascisti di Bari» fu modificata con «gli antifascisti e i democratici di Bari», e la dizione «18 anni, operaio, comunista», sorta di sintetico e razionale curriculum biografico, fu sostituita da quella descrittiva e lievemente più banale di «operaio comunista 18 anni». Da allora la lapide non è stata più toccata. Davanti ad essa in ogni anniversario gruppi di studenti e di giovani di varie formazioni politiche di sinistra hanno manifestato e deposto fiori.
Da qualche anno anche l’Amministrazione Comunale di Bari e poi la Regione Puglia hanno fatto proprio questo appuntamento. Il Comune ha intestato una strada a Benedetto Petrone, qualificando il  giovane, nella targa toponomastica, come «vittima della violenza neofascista»; il che è avvenuto contro il parere della Società di Storia Patria, che considera inappropriato il termine «neofascista» (ma d’altra parte non approva nemmeno il termine «fascista», per la buona ragione che «il fascismo è finito nel 1945»). La targa di via Benedetto Petrone – una strada decentrata – è già stata danneggiata da ignoti*.
Nei «giorni di Benedetto Petrone» tanti giovanissimi, attoniti, si ritrovarono in una moltitudine mai enumerata prima, sconfinata, a perdita d'occhio. E provarono in un modo mai provato prima il senso della morte e il valore della vita. Attoniti come tanti anni dopo i loro figli, i giovanissimi di Genova di fronte alla morte di Carlo Giuliani e al «macello» della scuola Diaz.
Anche quei giorni, «i giorni di Benedetto Petrone», corrono il rischio di essere aspirati nella superficialità delle evocazioni e nell’almanacco delle rievocazioni degli «anni di piombo», risucchiati in una irresponsabile censura della violenza della politica, una censura comminata pure alle vittime perché esse non subirono "volentieri" l'aggressione. Un azzeramento delle differenze e delle storie individuali e collettive dentro il clamore di una lotta tra Stato e terrorismo che ha minimizzato o addirittura cancellato la lotta che ha opposto – dentro le scuole, le fabbriche e i centri sociali –   il movimento antifascista ed operaio al terrorismo brigatista. La stessa lotta combattuta contro il neofascismo e le sue connivenze dentro lo Stato, il sistema di collaborazione tra le organizzazioni clandestine della destra, insieme a esponenti di primo piano del Movimento sociale italiano, e le strutture deviate e semiclandestine dei servizi segreti, di Gladio e della loggia P2, così come sono state accertate dalla Commissione parlamentare d’indagine sulle stragi presieduta dal senatore Pellegrino.
Questo libro, di nuovo editato trent’anni dopo, si rivolge anche al giovane di allora che, come Aramis in Vent’anni dopo di Alexandre Dumas, oggi risponde: «Ah, caro D’Artagnan, noi fummo costretti a ingoiare anche l’ingratitudine dei grandi, lo sapete!».

Pasquale Martino
Nicola Signorile

Postfazione a Le due città. I giorni di Benedetto Petrone, riedizione (Manni, San Cesario di Lecce, 2007) del volume pubblicato nel 1978 dalla Libreria Cooperativa, Bari, con questa dicitura: "Questo libro è il frutto di un lavoro collettivo, coordinato da Pasquale Martino con la collaborazione di Nicola Signorile".
 * Nel 2009 il Comune di Bari, per iniziativa del Comitato 28 Novembre, ha spostato l'intitolazione di Benedetto Petrone alla strada che collega la Città Vecchia alla Nuova, da Piazza Chiurlia a Corso Vittorio Emanuele II.

Immagini: 1) Manifestazione del 29 novembre 1977, dopo l'assassinio; 2) funerali di Benedetto Petrone; 3) lapide in Piazza Libertà .