lunedì 18 novembre 2013

Seneca

La graziosa seduzione della tirannide


 
Il nuovo imperatore non aveva ancora diciassette anni compiuti. Quando, affiancato dal prefetto dei pretoriani Afranio Burro, l’adolescente Nerone Claudio Druso Germanico Cesare comparve sulla scalinata del palazzo che racchiudeva le spoglie del defunto regnante, i soldati della guardia lo acclamarono per primi, obbedendo alla disposizione ricevuta. Alcuni esitarono, cercando con lo sguardo se nel gruppo uscito dal palazzo vi fosse Britannico, il figlio del vecchio Claudio appena morto; molti pensavano che a quel fanciullo, e non a Nerone ch’era stato adottato, toccasse la successione. Ma non lo videro. Fecero buon viso a cattivo gioco e si unirono al saluto. Quindi il prefetto, i tribuni e i liberti più influenti scortarono fino alla caserma dei pretoriani il ragazzo che si apprestava a regnare su Roma. Nerone parlò ai militari, che di nuovo lo acclamarono imperatore. Infine il principe fu accompagnato a tenere un discorso di fronte al senato, che approvò il suo titolo.
Accanto a Nerone, moralmente se non fisicamente, c’era in quel momento l’uomo che da cinque anni gli faceva da maestro. Questi, Lucio Anneo Seneca, aveva ispirato il modello di principato al quale era stata improntata l’educazione del futuro erede al trono. Lui, oratore di talento, aveva scritto i discorsi di investitura pronunciati dal nuovo sovrano davanti ai pretoriani e al senato. Doveva essere allora (54 d.C.) più prossimo ai sessant’anni che ai cinquanta, e la sua vita era stata già ricca di onori e di contrarietà. Aveva atteso a lungo questo momento, e ora l’intellettuale pervenuto al vertice del potere si apprestava a indirizzare i primi atti dell’imperatore suo allievo. In qualche misura, quello che si inaugurava poteva dirsi il principato di Seneca.


Pasquale Martino
da La graziosa seduzione della tirannide. Con il testo integrale del "De clementia" di Seneca, Palomar, Bari, 2003