sabato 23 novembre 2013

Che cos'è l'antifascismo

Ecco perché non possiamo non dirci
antifascisti

Noi, per la Costituzione e contro il fascismo che non è mai finito

 


I tentativi più o meno recenti di rifondare su basi nuove la nostra repubblica – anche quando erano sinceri e meno compromessi con scopi di politica contingente – si sono sempre scontrati con l’impossibilità di definire un quadro di valori condivisi altrettanto forti e profondi quanto quelli che hanno presieduto alla nascita dell’Italia repubblicana nel 1945-46. In altri termini, non sono mai riusciti nonostante tutto a soppiantare nella coscienza civile il riferimento all’antifascismo, patrimonio ideale e religione laica che è a fondamento del patto costituzionale. Erra decisamente chi crede che l’antifascismo si caratterizzi solo in negativo, come un “anti qualcosa”, e poiché questo qualcosa – il fascismo – non esiste più (un presupposto peraltro falso), anche l’antifascismo sarebbe da riporre fra i vecchi arnesi che non hanno ormai ragion d’essere. In verità l’antifascismo, ben lungi dal rappresentare soltanto un episodio di opposizione politica, è stato una grande rivoluzione storica e un processo costituente che dura nel tempo: quel cammino tormentato che – attraverso la drammatica svolta della Resistenza – ha condotto gli italiani a dotarsi di una legge fondamentale, scritta da un’assemblea costituente che era mancata al Risorgimento. L’antifascismo di oggi è la prosecuzione consapevole e attiva di quel patto e il suo tramandarsi alle nuove generazioni. Esso significa operare ininterrottamente per l’attuazione pratica dell’utopia costituzionale: il disegno di pacifica convivenza, di libertà di pensiero, di diritti del lavoro e della cittadinanza, di uno Stato che non sia punitivo o neutrale rispetto ai più deboli, che intervenga per rimuovere gli impedimenti all’esercizio dei diritti. Questo disegno di democrazia in movimento non può vivere senza memoria: non può dimenticare nemmeno per un istante le infamie della dittatura e della guerra, delle leggi razziali e della persecuzione, delle stragi e dei crimini contro l’umanità. Tutto ciò che è avvenuto potrebbe avvenire ancora (ammoniva Primo Levi): e di fatto avviene in parte, e se non ricompare in forma così atroce e vasta come nel passato è solo perché (e fin quando) gli anticorpi dell’antifascismo restano vivi nella società. Le subculture del fascismo non sono scomparse: la miscela di intolleranza, razzismo, xenofobia, antisemitismo, omofobia, mitologie della violenza e della morte (cui si sono aggiunti l’islamofobia, il negazionismo e altro ancora) è una sopravvivenza nient’affatto innocua, sottesa a molteplici forme di azione, talvolta violente, sempre minacciose. Essa è capace di produrre improvvise esplosioni di sconvolgente efferatezza, come in Norvegia; oppure di alimentare le ventate populiste e nazionaliste che spazzano l’Europa inveendo contro presunti complotti internazionali di poteri oscuri, strumentalizzando il disagio sociale e protestando contro “destra e sinistra”; o infine di supportare le avanzate elettorali di una demagogia di estrema destra che per esempio porta al governo dell’Ungheria una inquietante maggioranza apertamente autoritaria e razzista. Vicende prossime a noi, e vicende anche italiane. La fenomenologia dei gruppi neofascisti – come quelli di cui si parla nel dossier dell’Anpi Ombre nere* – è solo la punta dell’iceberg, dove la celebrazione del culto mussoliniano rivive in simbiosi col fascismo “sociale” di Salò appena dissimulato. Ancor più grave sarebbe se, come è accaduto in passato, da alcune parti politiche si lisciasse il pelo al fenomeno, forse per la mai morta convinzione che possa tornare utile ad accrescere i consensi o a compiere operazioni ancor più spregiudicate. 

Pasquale Martino
pubblicato su «La Gazzetta del Mezzogiorno» 18 gennaio 2013
* Il dossier Ombre nere sulle attività neofasciste in Puglia è stato presentato durante una manifestazione dell'Anpi a Bari, il 18.1.2013, alla presenza del presidente nazionale Carlo Smuraglia.