sabato 22 febbraio 2014

Giuseppe Pinelli

«Quella sera a Milano era caldo...»



Della Ballata del Pinelli circolano parecchie versioni testuali, disponibili nel web, con differenze anche sensibili. Composta di getto nell’ambito del movimento anarchico dopo la morte di Giuseppe Pinelli avvenuta nella notte del 15 dicembre 1969, sulla musica de Il feroce monarchico Bava (1898), è stata rimaneggiata da diversi autori; poi, diventata una canzone popolare fra le più eseguite, ha subito ulteriori modificazioni.
Questa è la versione che ricordo, indelebile nella memoria (ma, in un paio di passi, ricostruita grazie al ricordo di alcuni compagni), precedente al delitto Calabresi e alla fioca verità giudiziaria che comunque confermava la totale innocenza di Pinelli. Il testo è molto simile ma non identico a quello riportato da Giuseppe Vettori (Canzoni italiane di protesta, Newton Compton, Roma, 1974). Pubblico questa canzone come testimonianza e documento. Essa rappresenta uno stato d’animo e un pensiero di quella fase storica. 
Va detto (se ce ne fosse ancora bisogno) che l’assassinio di Luigi Calabresi non può essere in nessun modo considerato una forma se pure distorta di giustizia; e nemmeno può compendiare una storia di ribellione e di lotte: e questo è vero non solo oggi, ma lo fu anche allora, quando la maggioranza della stessa sinistra rivoluzionaria e del movimento non pensò che l'omicidio del commissario fosse attribuibile a una propria componente, ma lo interpretò (con ingenuo schematismo) come un ulteriore passo nella strategia della tensione.  «La vendetta più dura sarà» voleva dire sfiducia nella giustizia "borghese" e speranza in quella "proletaria", che avrebbe affermato la verità attraverso le lotte («questa lotta non avete fermato»). Se qualcuno intese quelle parole come una virtuale condanna a morte - che un giorno qualcun altro avrebbe potuto eseguire - l'ambiguità non venne sciolta.  Ma opinione prevalente a sinistra era che un gesto oscuro, tale da ritorcersi facilmente contro il movimento, non fosse farina del proprio sacco: «un compagno non può averlo fatto»   
Vanno infine ricordate alcune verità semplici e incontrovertibili. Un cittadino (per di più innocente) fu trattenuto nella questura in stato di fermo per due giorni in violazione dei suoi diritti. Un cittadino entrò vivo in un ufficio di polizia e ne uscì morto. Di questi fatti gravissimi – comunque siano andate le cose – c’è una responsabilità morale e politica dei dirigenti della questura, che non può essere elusa e resta indelebile.   

P.M.
16 dicembre 2013



Quella sera a Milano era caldo,
Calabresi nervoso fumava:
«Tu Lograno, apri un po' la finestra».
Ad un tratto Pinelli cascò.

«Commissario io ce l'ho già  detto,
le ripeto che sono innocente:
anarchia non vuol dire bombe,
ma giustizia nella libertà».

«Su confessa, indiziato Pinelli,
c’è Valpreda che ha già parlato:
è l'autore di questo attentato
ed il complice, è certo, sei tu!»

«Impossibile! – grida Pinelli –
Un  compagno non può averlo fatto,
e l'autore di questo delitto
tra i padroni bisogna cercar».

«Poche storie, indiziato Pinelli,
questa stanza è già  piena di fumo;
se tu insisti apriam la finestra,
quattro piani son duri da far».

Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva.
È bastato aprir la finestra,
ad un tratto Pinelli cascò.

L'hanno ucciso perché era un compagno,
non importa se era innocente;
«Era anarchico e questo ci basta!»
disse Guida, il fascista questor.

C'è una bara e tremila compagni,
stringevamo le nostre bandiere,
noi quel giorno l'abbiamo giurato:
«Non finisce di certo così».

Calabresi e tu Guida assassini,
se un compagno ci avete ammazzato
questa lotta non avete fermato,
la vendetta più dura sarà.

Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva.
È bastato aprir la finestra,
una spinta, e Pinelli va giù.