giovedì 13 febbraio 2014

Edifici scolastici

Le scuole non sono mai troppe:
chiudere è gettare la spugna

Dal caso della “S. Nicola” di Bari



Uno dei più strani luoghi comuni che, spacciati per certezze, pregiudicano le politiche dell’istruzione pubblica è che vi siano in giro troppi edifici scolastici. Che questi siano semivuoti e inutilizzati e che, pertanto, sarebbe il caso di affidarli a soggetti privati che possano farne migliore uso.  Il luogo comune ha come presupposto l’assioma per cui le compatibilità di bilancio consentono al soggetto pubblico di fornire un limitato servizio scolastico “di base”, e il di più è da  ricercare mediante la libera iniziativa privata. Di conseguenza, in un edificio scolastico contano le aule da adibire a classi (poche e con molti alunni) e non contano gli spazi da adibire a laboratori, biblioteche, mense, palestre, assemblee; se qualcuno se ne può ricavare, bene, se no pazienza. Per intenderci: se c’è un solo laboratorio di lingue, è già molto; pretendere di averne due, perché questo migliorerebbe la qualità didattica potenziando l’accessibilità dell’attività laboratoriale, compromette il rigore dei conti pubblici.  Con questa logica non solo non si costruiscono nuovi spazi scolastici, ma si svuotano quelli esistenti.  Ben altri sono gli sprechi. Basti pensare a quante scuole pubbliche – specialmente nelle città del Sud – sono tuttora in affitto, dislocate in edifici concepiti per altre destinazioni che di scolastico non hanno nulla. Ed è anche vero, per converso, che talora i presidi “imboscano” le aule vuote per non vedersele requisire dall’Ente Locale che è a caccia di vani. Ma purtroppo il meccanismo vigente obbliga i dirigenti a guardare ai problemi del proprio istituto in un’ottica particolaristica. Invece la scuola dovrebbe essere un sistema di governance  articolata e condivisa, la cui legge non sia mors tua vita mea, ma sia l’aiutarsi a risolvere i problemi  e ad arricchire il servizio.

Fatta la somma, dunque, si scoprirebbe che gli edifici scolastici pubblici risultano insufficienti;  e se spazi vuoti vi si aprono, essi dovrebbero ospitare tutte quelle attività didattiche di cui è giocoforza privarsi perché «non ci sono soldi» (sempre che qualcuno i soldi li trovi), e inoltre dovrebbero essere offerti a quelle scuole che non hanno sede in un immobile di proprietà pubblica. Per fare un esempio, la dislocazione di un liceo o di un istituto tecnico nell’immobile di una scuola media semivacante dovrebbe essere cosa fattibile, scontata  e anche virtuosa dal punto di vista della spesa pubblica.  Previo coordinamento fra Provincia e Comune, s’intende, con la sovrintendenza della Regione che dimensiona le scuole e del Ministero che le istituisce.
È in questa chiave che bisognerebbe leggere la vicenda e le prospettive della scuola San Nicola, storica istituzione di Bari Vecchia, la cui sorte è oggetto di discussione nella cittadinanza. Intanto perché non si può sottovalutare la storia altamente paradigmatica di questa struttura. Dopo aver formato varie generazioni di cittadini – per le quali essa rappresenta un realtà della memoria, da non sradicare – la scuola media San Nicola è stata coinvolta negli anni ’90 dalla sanguinosa guerra di criminalità che ha sconvolto l’antico quartiere. Come è accaduto in altri territori meridionali “di frontiera”,  la scuola è diventata un posto di parcheggio dei minori appartenenti alle “famiglie”, un luogo della riproduzione delle gerarchie dei capi, dei gregari, delle donne del clan.
Presidi intelligenti e docenti pressoché eroici hanno fronteggiato la drammatica situazione, tentando di sottrarre quei ragazzi a un destino maledetto, alcune volte riuscendovi.  Ma non è stato possibile fermare la contestuale emorragia di iscritti; i genitori volevano allontanare i loro figli da un ambiente ritenuto incorreggibile.  La scuola San Nicola è entrata in un circolo vizioso che non si è riusciti a invertire. È qui che la logica della competizione fra scuole mostra interamente il suo fiato corto: le famiglie corrono a iscrivere i figli altrove, trovando accoglienza; da un lato c’è il sovraffollamento, dall’altro lo svuotamento e la conseguente ghettizzazione. Difficile negare che tutto ciò sia irrazionalità, spreco. Non “autonomia”, non sana competizione.  Ed è qui invece che la politica, o il soggetto sovraordinato – lo Stato, la Regione, l’Ente Locale – dovrebbero  intervenire, non per assecondare l’andamento delle cose, ma per contrastarlo, preservando le singole scuole dalla guerra fra poveri.  Una diversa destinazione di un immobile scolastico con quella storia emblematica andrebbe comunque discussa pubblicamente in ordine alla sua finalità non di lucro e a una fruizione non privatistica a vantaggio della comunità (altrimenti, il privato ricerchi gli immobili sul mercato). Ma, per quanto interessante e giovevole possa apparire tale destinazione alternativa, la rinuncia, il gettare la spugna, la derubricazione dell’edificio come scuola rischierebbero di apparire di per se stessi come una insperata rivincita postuma della mafia; un relitto simbolico della sua potenza distruttiva; e proprio oggi, quando gli immobili confiscati alla criminalità in molti comuni meridionali, e nella stessa Bari Vecchia, vengono destinati a percorsi pubblici di educazione e di riscatto sociale.  

Pasquale Martino

pubblicato su «La Gazzetta del Mezzogiorno», 15 giugno 2013

Fotografia: Lato Nord della Basilica di Sa Nicola e facciata della scuola media San Nicola.
presa dal sito: http://www.basilicasannicola.it/