venerdì 14 febbraio 2014

l'Unità


Un giornale nella storia italiana
I 90 anni de "l'Unità"


Il primo numero de "l'Unità"
Il 12 febbraio 1924, 90 anni or sono, il primo numero de «l’Unità» inaugurava un’avventura fra le più straordinarie del Novecento. Quel giornale usciva in un momento di tempesta, mentre la violenza squadrista e il fascismo governativo smantellavano la libertà. Tre quotidiani comunisti, fra cui «L’Ordine nuovo», erano già stati chiusi. Eppure, nel progetto di Antonio Gramsci, il nuovo quotidiano non era un «organo del partito comunista» (definizione che arriverà in seguito), e non solo per un tentativo di sottrarlo alla repressione: quell’«unità» era il programma di una sinistra di classe più avanzata, comprendente la frazione socialista di cui facevano parte Di Vittorio e Li Causi; unità dei lavoratori, di operai e contadini, di Nord e Sud. Era l’ispirazione gramsciana, che interpretava in modo originale, nella situazione italiana, la linea dell’Internazionale Comunista. I primi passi del quotidiano furono accompagnati con fervore dal dirigente sardo: a Milano, dove «l’Unità» aveva sede, Gramsci dormiva su una brandina negli uffici del giornale. Ma il fondatore dovrà presto separarsi dalla sua creatura. E mentre il grande intellettuale, chiuso dietro le sbarre del carcere di Turi, compone i Quaderni che sono oggi studiati in tutto il mondo, «l’Unità» viene stampata con mezzi di fortuna in sottoscala e scantinati, o è trasportata da Parigi in Italia nel doppiofondo di valigie: fa sentire fra mille peripezie e pericoli una voce antifascista proprio quando il regime sembra trionfare.  
Nel novembre del 1942 «l’Unità» clandestina esce col titolo profetico: «Il 28 ottobre è stato l’ultimo anniversario fascista che vede Mussolini al potere». E tuttavia il 25 luglio e poi l’8 settembre del ’43 si incomincia un’altra storia, di lotta armata contro il nazifascismo, che il quotidiano del Pci contribuisce a narrare. Poi viene il tempo della democrazia repubblicana, della ricostruzione dalle macerie, del “partito nuovo” di Palmiro Togliatti: ancora un’Italia tutta da vivere e da raccontare. Ormai la vicenda del quotidiano s’intreccia con quella di un mondo popolare di incredibile vitalità: un «Paese nel Paese», come dirà Pasolini. Ci sono i diffusori dell’«Unità», centinaia di lavoratori che dedicano le loro domeniche alla vendita militante (la polizia di Scelba li perseguita denunciandoli come «ambulanti abusivi», mentre poi i tribunali sono costretti ad assolverli); ci sono le feste de «l’Unità», una kermesse popolare che si snoda lungo lo Stivale fin nei paesini, portando canzoni, idee e salsicciotti. Per un certo periodo c’è perfino un’associazione degli Amici de «l’Unità» con tanto di tessere e congressi. Certo, il rapporto fra il quotidiano e il Pci è strettissimo, e a dirigerlo sono chiamate di volta in volta individualità di primo livello come Amendola e Ingrao; e poi Alfredo Reichlin, che dalla Puglia arriva ai vertici del partito continuando a coltivare intensi rapporti con la sua terra, e un giovane Massimo D’Alema che nella regione del Tacco ha svolto un lungo tirocinio di direzione politica. Ma «l’Unità» non era soltanto portavoce di un partito: era anche un giornale vero, che faceva inchiesta e denuncia, e nel quale si formarono professionisti bravissimi. Per esempio Luigi Pintor, che lo stesso Berlinguer dichiarerà di considerare il miglior editorialista italiano ancora dopo la radiazione di Pintor dal partito e la nascita del «Manifesto». Negli anni ’60, con il «Paese Sera» di Roma e «l’Ora» di Palermo, «l’Unità» dette vita a un giornalismo di sinistra coraggioso e battagliero contro la speculazione edilizia e la corruzione; resta memorabile l’inchiesta di Tina Merlin sulla diga del Vajont.
Ma si distinsero anche le corrispondenze dai teatri di guerra e di resistenza (l’Algeria, la Spagna franchista, la Grecia dei colonnelli, il Vietnam). Meno efficace «l’Unità» era invece nei ritratti dell’Urss e del socialismo reale, temi in cui la venatura critica doveva farsi largo in mezzo a una costante tendenza apologetica. E fu in difficoltà anche a svolgere la politica italiana negli anni ’70, per il cammino incerto scelto dal Pci e per la concorrenza dei nuovi quotidiani di estrema sinistra, poi de «la Repubblica». Ciononostante a metà del decennio ’70 «l’Unità» arrivò a essere il secondo o il terzo quotidiano più venduto in Italia, nei giorni feriali (mentre in quelli festivi diventava il primo per effetto della diffusione militante). E ciò non era soltanto prodotto di una tendenza politica, ma anche di un giornalismo che funzionava. Nonché dei pezzi fulminanti del corsivista Fortebraccio (Mario Melloni).

Giusi del Mugnaio (a destra) 
Una rete efficiente di redazioni periferiche assicurò per molto tempo un’informazione regolare e pressoché unica sulle condizioni sociali e sulle vertenze sindacali in Italia. Negli anni ’60-’70 fu attiva la redazione in Puglia e in Basilicata; molti hanno viva memoria del corrispondente Italo Palasciano, cronista e narratore del mondo bracciantile e contadino. Vi si formarono pubblicisti che poi migrarono altrove. Ma qui vogliamo ricordare una giovane emiliana che venne a Bari negli anni ’80 a lavorare per «l’Unità» seguendo l’amore e la passione politica: la meteora Giusi Del Mugnaio, che fece in tempo a farsi ammirare per l’intelligenza, la modernità del sentire, la serietà dell’impegno professionale, e perse la vita in un terribile incidente stradale. Future personalità della politica pugliese e lucana si cimentarono sulle colonne del quotidiano: fra gli altri Piero Di Siena, che sarà dirigente del Pci di Basilicata e senatore, Nichi Vendola, futuro presidente della Regione Puglia, e Peppino Caldarola, che dell’«Unità» diventerà direttore, quando, però, negli anni ’90, il giornale non sarà più «organo» del Pci, perché il partito non c’è più. Da allora ha inizio un storia molto diversa: quella di un quotidiano politico che cerca sostegno nell’editoria privata, che è diretto e fatto da giornalisti “puri”. Che combatte in un mercato difficile e ha le sue vertenze di lavoro con i dipendenti. Ma che mostra orgogliosamente nella testata la paternità di Gramsci. Ed è ancora qui a raccontarsi e a raccontare il Paese. Buon compleanno «Unità».  

Pasquale Martino


«La Gazzetta del Mezzogiorno», 12 febbraio 2014