Un giornale nella storia italiana
I 90 anni de "l'Unità"
Il primo numero de "l'Unità" |
Il 12 febbraio 1924, 90 anni or
sono, il primo numero de «l’Unità» inaugurava un’avventura fra le più
straordinarie del Novecento. Quel giornale usciva in un momento di tempesta, mentre
la violenza squadrista e il fascismo governativo smantellavano la libertà. Tre
quotidiani comunisti, fra cui «L’Ordine nuovo», erano già stati chiusi. Eppure,
nel progetto di Antonio Gramsci, il nuovo quotidiano non era un «organo del
partito comunista» (definizione che arriverà in seguito), e non solo per un
tentativo di sottrarlo alla repressione: quell’«unità» era il programma di una
sinistra di classe più avanzata, comprendente la frazione socialista di cui
facevano parte Di Vittorio e Li Causi; unità dei lavoratori, di operai e
contadini, di Nord e Sud. Era l’ispirazione gramsciana, che interpretava in
modo originale, nella situazione italiana, la linea dell’Internazionale
Comunista. I primi passi del quotidiano furono accompagnati con fervore dal
dirigente sardo: a Milano, dove «l’Unità» aveva sede, Gramsci dormiva su una
brandina negli uffici del giornale. Ma il fondatore dovrà presto separarsi
dalla sua creatura. E mentre il grande intellettuale, chiuso dietro le sbarre
del carcere di Turi, compone i Quaderni che sono oggi studiati in tutto il mondo, «l’Unità» viene stampata con mezzi di
fortuna in sottoscala e scantinati, o è trasportata da Parigi in Italia nel
doppiofondo di valigie: fa sentire fra mille peripezie e pericoli una voce
antifascista proprio quando il regime sembra trionfare.
Nel novembre del 1942 «l’Unità» clandestina
esce col titolo profetico: «Il 28 ottobre è stato l’ultimo anniversario
fascista che vede Mussolini al potere». E tuttavia il 25 luglio e poi l’8
settembre del ’43 si incomincia un’altra storia, di lotta armata contro il
nazifascismo, che il quotidiano del Pci contribuisce a narrare. Poi viene il
tempo della democrazia repubblicana, della ricostruzione dalle macerie, del
“partito nuovo” di Palmiro Togliatti: ancora un’Italia tutta da vivere e da
raccontare. Ormai la vicenda del quotidiano s’intreccia con quella di un mondo
popolare di incredibile vitalità: un «Paese nel Paese», come dirà Pasolini. Ci
sono i diffusori dell’«Unità», centinaia di lavoratori che dedicano le loro
domeniche alla vendita militante (la polizia di Scelba li perseguita
denunciandoli come «ambulanti abusivi», mentre poi i tribunali sono costretti
ad assolverli); ci sono le feste de «l’Unità», una kermesse popolare che si snoda lungo lo Stivale fin nei paesini,
portando canzoni, idee e salsicciotti. Per un certo periodo c’è perfino
un’associazione degli Amici de «l’Unità» con tanto di tessere e congressi. Certo,
il rapporto fra il quotidiano e il Pci è strettissimo, e a dirigerlo sono
chiamate di volta in volta individualità di primo livello come Amendola e
Ingrao; e poi Alfredo Reichlin, che dalla Puglia arriva ai vertici del partito
continuando a coltivare intensi rapporti con la sua terra, e un giovane Massimo
D’Alema che nella regione del Tacco ha svolto un lungo tirocinio di direzione
politica. Ma «l’Unità» non era soltanto portavoce di un partito: era anche un
giornale vero, che faceva inchiesta e denuncia, e nel quale si formarono
professionisti bravissimi. Per esempio Luigi Pintor, che lo stesso Berlinguer
dichiarerà di considerare il miglior editorialista italiano ancora dopo la
radiazione di Pintor dal partito e la nascita del «Manifesto». Negli anni ’60, con
il «Paese Sera» di Roma e «l’Ora» di Palermo, «l’Unità» dette vita a un
giornalismo di sinistra coraggioso e battagliero contro la speculazione
edilizia e la corruzione; resta memorabile l’inchiesta di Tina Merlin sulla
diga del Vajont.
Ma si distinsero anche le corrispondenze dai teatri di guerra
e di resistenza (l’Algeria, la Spagna franchista, la Grecia dei colonnelli, il
Vietnam). Meno efficace «l’Unità» era invece nei ritratti dell’Urss e del
socialismo reale, temi in cui la venatura critica doveva farsi largo in mezzo a
una costante tendenza apologetica. E fu in difficoltà anche a svolgere la
politica italiana negli anni ’70, per il cammino incerto scelto dal Pci e per
la concorrenza dei nuovi quotidiani di estrema sinistra, poi de «la
Repubblica». Ciononostante a metà del decennio ’70 «l’Unità» arrivò a essere il
secondo o il terzo quotidiano più venduto in Italia, nei giorni feriali (mentre
in quelli festivi diventava il primo per effetto della diffusione militante). E
ciò non era soltanto prodotto di una tendenza politica, ma anche di un
giornalismo che funzionava. Nonché dei pezzi fulminanti del corsivista
Fortebraccio (Mario Melloni). Giusi del Mugnaio (a destra) |
Una rete efficiente di redazioni
periferiche assicurò per molto tempo un’informazione regolare e pressoché unica
sulle condizioni sociali e sulle vertenze sindacali in Italia. Negli anni
’60-’70 fu attiva la redazione in Puglia e in Basilicata; molti hanno viva
memoria del corrispondente Italo Palasciano, cronista e narratore del mondo
bracciantile e contadino. Vi si formarono pubblicisti che poi migrarono altrove.
Ma qui vogliamo ricordare una giovane emiliana che venne a Bari negli anni ’80 a
lavorare per «l’Unità» seguendo l’amore e la passione politica: la meteora
Giusi Del Mugnaio, che fece in tempo a farsi ammirare per l’intelligenza, la
modernità del sentire, la serietà dell’impegno professionale, e perse la vita
in un terribile incidente stradale. Future personalità della politica pugliese
e lucana si cimentarono sulle colonne del quotidiano: fra gli altri Piero Di
Siena, che sarà dirigente del Pci di Basilicata e senatore, Nichi Vendola,
futuro presidente della Regione Puglia, e Peppino Caldarola, che dell’«Unità»
diventerà direttore, quando, però, negli anni ’90, il giornale non sarà più
«organo» del Pci, perché il partito non c’è più. Da allora ha inizio un storia
molto diversa: quella di un quotidiano politico che cerca sostegno
nell’editoria privata, che è diretto e fatto da giornalisti “puri”. Che
combatte in un mercato difficile e ha le sue vertenze di lavoro con i
dipendenti. Ma che mostra orgogliosamente nella testata la paternità di
Gramsci. Ed è ancora qui a raccontarsi e a raccontare il Paese. Buon compleanno
«Unità».
Pasquale Martino
«La Gazzetta del Mezzogiorno», 12
febbraio 2014