L’anfiteatro
che vive.
Come Marziale ne raccontò i fasti
Disegno del Colosseo, di autore ignoto |
Nessun
monumento forse, quanto il Colosseo, gode di una permanente vitalità. Sta saldamente nell’immaginario collettivo, ed
è l’oggetto di una discussione sempre aperta sul presente e sul futuro. Un
dibattito che si è interrogato a suo tempo sul destino del «più grande
spartitraffico del mondo» e che oggi –
per citare i passaggi più recenti – va dalla discussa sponsorizzazione privata
dei restauri, all’idea di ripristinare l’arena per farvi svolgere
manifestazioni artistiche (ne ha
parlato Giuliano Volpe su queste pagine qualche mese fa), alle polemiche sulla qualità del lavoro delle imprese edili
non specializzate in restauro, fino alla notizia di qualche settimana fa: l’accordo
sindacale per garantire il contratto e la sicurezza dei lavoratori nel cantiere.
Del
resto, anni or sono il Colosseo si è conquistato un posto fra le Sette
meraviglie del mondo moderno, a differenza del Cupolone; una ricerca con Google
Immagini conferma che il grande monumento
pagano è paradossalmente il simbolo
della Città Eterna ben più delle mirabili architetture cristiane, nonostante la
leggenda nera che lo riguarda (ma non c’è nessuna prova storica che i primi
cristiani siano stati suppliziati là dentro).
La
nascita del Colosseo testimonia una svolta nella storia urbanistica e sociale
di Roma. Il progetto arriva quando la capitale dell’impero è stata sconvolta
proprio nei quartieri centrali da due eventi irreparabili: l’incendio del 64 d.C. che distrusse o
danneggiò dieci rioni su quattordici; e la susseguente operazione speculativa
di Nerone, che si accaparra i suoli devastati a nordest del Palatino per
realizzarvi la Domus Aurea, riservata a
lui solo, con lago artificiale e giardini annessi: un’ enorme villa principesca
in pieno centro. È il primo sventramento su vasta scala di quartieri popolari nella storia di
Roma. Nerone viene rovesciato nel 68; dopo una sanguinosa guerra civile, si
instaura con Vespasiano la dinastia dei Flavi, che presenta un programma
radicalmente nuovo. Proprio nell’area dove
l’ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia aveva privatizzato la città
per innalzare il segno del proprio potere sovrumano, i Flavi restituiscono gli
spazi al pubblico, realizzando uno stabilimento termale – il quotidiano
“dopolavoro” dei Romani – e soprattutto costruendo,
sul perimetro del lago neroniano, il magnifico Antiteatro Flavio. Una tipologia
architettonica inventata dai Romani, che
“raddoppiano” in tal modo lo schema dell’edificio teatrale mutuato dai Greci e modificato
secondo le proprie esigenze. Anfiteatri si vedono dappertutto nel territorio imperiale, dalla
Tunisia a Israele, da Verona a Pozzuoli, ma il più importante è il Colosseo.
Ebbe questo soprannome popolare perché lì nei pressi si trovava la statua
colossale di Nerone, alta 35 metri, che Vespasiano non volle abbattere; si
limitò a cambiarne l’intestazione: non era più l’imperatore artista, bensì il Sole (nel quale peraltro anche
l’estroso figlio di Agrippina aveva inteso identificarsi). A rimuovere il
colosso provvide Adriano mezzo secolo dopo, per far posto al tempio di Venere i
cui i resti dominano l’estremità del Foro.
Ricostruzione ideale dell'Anfiteatro Flavio accanto alla statua colossale |
L’Anfiteatro Flavio era uno degli spazi pubblici principali, ove si radunava gran folla attratta
dalla varietà di spettacoli. Progettato nel 70 da Vespasiano, fu completato
dieci anni dopo dal suo successore Tito. L’inaugurazione, che si protrasse per lunghi
giorni, è raccontata in una singolare cronaca letteraria scritta dal versatile
Marco Valerio Marziale. Poeta povero, immigrato dalla Spagna, sempre in cerca
di sussidi e protezioni, Marziale ottiene la celebrità nell’80 con la
pubblicazione del Liber de spectaculis
dedicato a Tito e incentrato appunto sul grande evento popolare: l’apertura del
Colosseo. L’epigramma di esordio di
questo instant book dell’antichità –
che si suppone sia stato pubblicato poco dopo i festeggiamenti – ha un valore
quasi profetico: il maestoso edificio che ora troneggia in Roma – afferma il poeta – oscurerà
le meraviglie del mondo antico e sopravvivrà a esse. Adesso il popolo –
continua Marziale – può godere di questi spazi, «delizie che prima erano
appartenute a un solo padrone». L’elogio dei Flavi si fa via via più
adulatorio, accompagnato però da una vivace descrizione degli spettacoli. Nella calca che gremisce le conca si
distingue gente di ogni latitudine e si odono risuonare parlate diverse. Si comincia con l’esibizione dei condannati,
uno show molto gradito alla massa giustizialista: sfilano gli ex delatori di
Nerone, che saranno banditi da Roma; uno schiavo omicida e incendiario viene
crocifisso. Poi è la volta della caccia
alle belve esotiche, compresi i leoni e i rinoceronti, e un elefante che sembra
inchinarsi davanti a Tito. E c’è la battaglia navale, per cui l’arena viene
riempita d’acqua. E, naturalmente, i combattimenti gladiatorî. La plebe già
beneficata da largizioni alimentari si abbandona al divertimento: panem et circenses, dirà Giovenale, il
sarcastico erede di Marziale.
Pasquale
Martino
Questo articolo è stato pubblicato da «La Gazzetta del Mezzogiorno» il 19 aprile 2015
Questo articolo è stato pubblicato da «La Gazzetta del Mezzogiorno» il 19 aprile 2015