venerdì 27 febbraio 2015

Il Colosseo

L’anfiteatro che vive.
Come Marziale ne raccontò i fasti

Disegno del Colosseo, di autore ignoto
Nessun monumento forse, quanto il Colosseo, gode di una permanente vitalità. Sta saldamente nell’immaginario collettivo, ed è l’oggetto di una discussione sempre aperta sul presente e sul futuro. Un dibattito che si è interrogato a suo tempo sul destino del «più grande spartitraffico del mondo»  e che oggi – per citare i passaggi più recenti – va dalla discussa sponsorizzazione privata dei restauri, all’idea di ripristinare l’arena per farvi svolgere manifestazioni artistiche (ne ha parlato Giuliano Volpe su queste pagine qualche mese fa), alle polemiche sulla qualità del lavoro delle imprese edili non specializzate in restauro, fino alla notizia di qualche settimana fa: l’accordo sindacale per garantire il contratto e la sicurezza dei lavoratori nel cantiere. 
Del resto, anni or sono il Colosseo si è conquistato un posto fra le Sette meraviglie del mondo moderno, a differenza del Cupolone; una ricerca con Google Immagini conferma che il grande monumento  pagano  è paradossalmente il simbolo della Città Eterna ben più delle mirabili architetture cristiane, nonostante la leggenda nera che lo riguarda (ma non c’è nessuna prova storica che i primi cristiani siano stati suppliziati là dentro).   
La nascita del Colosseo testimonia una svolta nella storia urbanistica e sociale di Roma. Il progetto arriva quando la capitale dell’impero è stata sconvolta proprio nei quartieri centrali da due eventi irreparabili: l’incendio del 64 d.C. che distrusse o danneggiò dieci rioni su quattordici; e la susseguente operazione speculativa di Nerone, che si accaparra i suoli devastati a nordest del Palatino per realizzarvi la Domus Aurea,  riservata a lui solo, con lago artificiale e giardini annessi: un’ enorme villa principesca in pieno centro. È il primo sventramento su vasta scala di quartieri popolari nella storia di Roma. Nerone viene rovesciato nel 68; dopo una sanguinosa guerra civile, si instaura con Vespasiano la dinastia dei Flavi, che presenta un programma radicalmente nuovo. Proprio nell’area dove l’ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia aveva privatizzato la città per innalzare il segno del proprio potere sovrumano, i Flavi restituiscono gli spazi al pubblico, realizzando uno stabilimento termale – il quotidiano “dopolavoro” dei Romani – e soprattutto costruendo, sul perimetro del lago neroniano, il magnifico Antiteatro Flavio. Una tipologia architettonica inventata dai Romani, che “raddoppiano” in tal modo lo schema dell’edificio teatrale mutuato dai Greci e modificato secondo le proprie esigenze. Anfiteatri si vedono dappertutto nel territorio imperiale, dalla Tunisia a Israele, da Verona a Pozzuoli, ma il più importante è il Colosseo. Ebbe questo soprannome popolare perché lì nei pressi si trovava la statua colossale di Nerone, alta 35 metri, che Vespasiano non volle abbattere; si limitò a cambiarne l’intestazione: non era più l’imperatore artista, bensì il Sole (nel quale peraltro anche l’estroso figlio di Agrippina aveva inteso identificarsi). A rimuovere il colosso provvide Adriano mezzo secolo dopo, per far posto al tempio di Venere i cui i resti dominano l’estremità del Foro.

Ricostruzione ideale dell'Anfiteatro Flavio accanto alla statua colossale
L’Anfiteatro Flavio era uno degli spazi pubblici principali, ove si radunava gran folla attratta dalla varietà di spettacoli. Progettato nel 70 da Vespasiano, fu completato dieci anni dopo dal suo successore Tito. L’inaugurazione, che si protrasse per lunghi giorni, è raccontata in una singolare cronaca letteraria scritta dal versatile Marco Valerio Marziale. Poeta povero, immigrato dalla Spagna, sempre in cerca di sussidi e protezioni, Marziale ottiene la celebrità nell’80 con la pubblicazione del Liber de spectaculis dedicato a Tito e incentrato appunto sul grande evento popolare: l’apertura del Colosseo.  L’epigramma di esordio di questo instant book dell’antichità – che si suppone sia stato pubblicato poco dopo i festeggiamenti – ha un valore quasi profetico: il maestoso edificio che ora  troneggia in Roma – afferma il poeta – oscurerà le meraviglie del mondo antico e sopravvivrà a esse. Adesso il popolo – continua Marziale – può godere di questi spazi, «delizie che prima erano appartenute a un solo padrone». L’elogio dei Flavi si fa via via più adulatorio, accompagnato però da una vivace descrizione degli spettacoli.  Nella calca che gremisce le conca si distingue gente di ogni latitudine e si odono risuonare parlate diverse.  Si comincia con l’esibizione dei condannati, uno show molto gradito alla massa giustizialista: sfilano gli ex delatori di Nerone, che saranno banditi da Roma; uno schiavo omicida e incendiario viene crocifisso. Poi è la volta della caccia alle belve esotiche, compresi i leoni e i rinoceronti, e un elefante che sembra inchinarsi davanti a Tito. E c’è la battaglia navale, per cui l’arena viene riempita d’acqua. E, naturalmente, i combattimenti gladiatorî. La plebe già beneficata da largizioni alimentari si abbandona al divertimento: panem et circenses, dirà Giovenale, il sarcastico erede di Marziale.


Pasquale Martino     

Questo articolo è stato pubblicato da «La Gazzetta del Mezzogiorno» il 19 aprile 2015