giovedì 26 marzo 2015

I manifesti del 1925



La battaglia di Croce e Gentile.
Gli intellettuali di fronte al fascismo





"Il Mondo" con la risposta di Croce al manifesto di Gentile 
Il 1925, novanta anni fa: un anno cruciale del regime fascista si apre col discorso del 3 gennaio, in cui Mussolini assumendo la responsabilità politica e morale del delitto Matteotti sancisce la sconfitta dell’Aventino, e si conclude con la prima delle leggi eccezionali (24 dicembre) che attribuisce al duce un potere inaudito. Fu anche l’anno di un tentativo ambizioso del fascismo di chiamare a raccolta gli intellettuali attorno a un manifesto scritto da Giovanni Gentile, cui si oppose il manifesto antifascista redatto da Benedetto Croce: i due promotori della filosofia idealistica italiana, amici e a lungo uniti nella rivista «La Critica» edita da Laterza, si schieravano da quel momento su fronti avversi. 
La battaglia dei due manifesti ebbe inizio con il congresso degli «intellettuali aderenti al fascismo» (Bologna, 29-30 marzo); la stampa comunicò i nomi di 250 presenti, che poi figurarono anche quali firmatari del manifesto scaturito dall’incontro e apparso il 21 aprile. Fra questi c’erano le due personalità che, con Gentile, rappresenteranno gli intellettuali di maggiore statura del fascismo, il giurista Alfredo Rocco e lo storico Gioacchino Volpe; vi comparivano inoltre Marinetti e Soffici – lo stato maggiore del Futurismo – , scrittori come Salvatore Di Giacomo, Malaparte, Ojetti, Panzini, il compositore Ildebrando Pizzetti, Margherita Sarfatti biografa del duce, Luigi Pareti storico di Roma antica e Nicola Pende futuro teorico della razza. Pirandello mandò una lettera di adesione. Firmava anche lo storico dell’arte Lionello Venturi, che in seguito diventò antifascista e rifiutò di prestare giuramento nel 1931.
Fu Giovanni Amendola, uno dei capi dell’Aventino, a sollecitare Croce perché scrivesse un “contromanifesto”, che apparve in effetti il 1° maggio sul «Mondo» col titolo di «risposta» al manifesto fascista. Tra i primi firmatari oltre a Croce e Amendola figuravano Emilio Cecchi, Luigi Einaudi, Giustino Fortunato, Rodolfo Mondolfo, De Ruggiero, Salvatorelli e Matilde Serao. Nelle settimane successive si aggiunsero numerose adesioni per un totale di circa 260, fra cui quelle di Sibilla Aleramo, Montale, Marino Moretti, e di una nutritissima schiera di docenti di tutte le università italiane (la piccola università di Bari, nata da poco, fu rappresentata solo dal botanico abruzzese Vincenzo Rivera). Spicca, in compagnia di molti altri, quasi tutta l’esigua pattuglia di professori che non giureranno fedeltà al regime.
Nel manifesto gentiliano colpisce l’assenza di riferimenti a un ruolo specifico degli intellettuali e dell’attività culturale. Rispondente anche a uno scontro interno al PNF contro l’ala radicale che affermava l’inutilità della cultura, il manifesto non si spinge oltre l’identificazione militante dell’intellettuale con il fascismo, con il suo «carattere religioso e perciò intransigente». Nato come «fede energica, violenta, non disposta a nulla rispettare che opponesse alla vita, alla grandezza della Patria», il fascismo è «subordinazione di ciò che è particolare ed inferiore a ciò che è universale ed immortale»; esso si esprime nell’azione, «non distingue la teoria dalla pratica, il dire dal fare». Erede delle minoranze del Risorgimento, la minoranza squadrista ha combattuto per inverare un nuovo ideale di Stato corporativo che rispecchia lo Stato etico hegeliano.
Al contrario, il documento scritto da Croce era incentrato su una ribadita distinzione fra politica e cultura e sulla responsabilità degli intellettuali innanzitutto verso il libero pensiero. «Varcare questi limiti dell'ufficio a loro assegnato – si leggeva nel manifesto – , contaminare politica e letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi nemmeno un errore generoso». La separazione crociana appare invero “ottocentesca”: la lotta antifascista richiederà nel ventennio seguente ben altra capacità degli intellettuali di spendersi in un impegno militante, nel cercare un legame politico con la popolazione; lo stesso Croce diventerà nel 1944 guida politica e non solo morale dell’antifascismo, aprendo a Bari il congresso dei CLN. E tuttavia si deve rendere merito al rigore con cui il manifesto respinge il fascismo – duramente, per la prima volta da parte liberale, dopo le illusioni dialogiche persistenti fino a poco tempo prima – e all’asprezza con cui i sottoscrittori del testo gentiliano vengono sferzati: «nobilitare col nome di religione il sospetto e l'animosità sparsi dappertutto […] è cosa che suona, a dir vero, come un'assai lugubre facezia».  

Mussolini visita l'istituto Treccani (1931)
La storia successiva provò che una ferma dichiarazione di scrittori e docenti non sarebbe bastata a intralciare il regime. Mostrò altresì che una cultura integralmente fascista non nacque mai. La stessa azione di Gentile come organizzatore culturale – lontana da imposizioni totalitarie nei contenuti disciplinari – sta a dimostrarlo. L’alta cultura continuò a vivere per conto suo, sebbene umiliata da esteriori atti di sudditanza. Una maggiore interazione si sviluppò al livello della cultura di massa, nel cinema, nella letteratura popolare, nei littoriali, nel giornalismo, dove la ripetitività sloganistica sembrò dare corpo a un modello di intellettuale-funzionario. La cultura alternativa al fascismo invece si esprimeva al livello più alto, negli anni della dittatura, in un’opera che – per citare Norberto Bobbio – «fu scritta non in una delle dotte e gloriose università ma in una prigione di Stato», in terra di Bari, a Turi. 

Pasquale Martino   

«La Gazzetta del Mezzogiorno», 25 marzo 2015