L’Italia libera in rivista
Settanta anni ci separano dalle vicende da quel
Movimento di Liberazione (1943-45) che sconfiggendo il fascismo e contribuendo
a cacciare l’invasore tedesco gettò le basi della libera repubblica. È
opportuno che le riflessioni su questo lungo anniversario, di cui si stanno
occupando (a volte un po’ stancamente) i giornali, le istituzioni, il mondo
della cultura, si allarghino a considerare la molteplicità dei fatti che posero
i tasselli al mosaico della nuova Italia
tutta da inventare e ricostruire. Fra questi va annoverata, nel giugno 1944, la
pubblicazione della rivista «Rinascita», che, fondata da Palmiro Togliatti e
rivolta non solo agli iscritti del Pci, il cui numero era in rapida crescita,
ma ai simpatizzanti e agli interlocutori, avrebbe costituito per quasi mezzo
secolo un luogo autorevole di elaborazione politica e culturale.
«I primi quattro numeri – ha scritto Giorgio Bocca
nella sua tutt’altro che apologetica biografia di Togliatti – destano
un’impressione enorme: il livello culturale è alto, il più alto mai toccato da
una rivista politica italiana». Il
titolo – «La Rinascita» (con l’articolo, che sparirà nel 1945) – allude com’è chiaro
a quel “secondo Risorgimento” di cui l’Italia deve rendersi artefice sulle
ceneri del regime mussoliniano, e di cui il movimento operaio sarà finalmente
protagonista. L’operazione politico-culturale assai ambiziosa risponde alla strategia
perseguita da Togliatti dopo l’arrivo a Napoli nel marzo ’44: egli assume la
guida operativa del Pci, sblocca con la «svolta di Salerno» la questione
istituzionale accelerando l’ingresso dei partiti nel governo di unità nazionale
e, mentre i comunisti danno un apporto decisivo alla guerra partigiana, getta
le basi di quel “partito nuovo” che sarà un soggetto politico di massa e un
collettore di energie intellettuali. L’obiettivo del leader comunista è di
mettere in campo un’alternativa credibile non soltanto al ventennio di cultura
fascista, ma anche al pensiero borghese-liberale che proietta sul futuro
post-fascista la propria vocazione egemonica.
«Rinascita» – stampata dapprima a Napoli, poi trasferita a Roma – apre le
sue pagine scagliando quasi programmaticamente un attacco contro Benedetto
Croce, il “papa laico”, accusato di aver
beneficiato di un atteggiamento compiacente da parte della dittatura. Figura di
riferimento dell’antifascismo nel Sud
liberato dagli Alleati, il filosofo abruzzese era stato il capo morale del
Congresso dei CLN a Bari nel gennaio ’44; Croce e Togliatti erano entrambi
ministri del governo Badoglio (fino all’8 giugno) e del governo Bonomi (dal 18
giugno), ma ciò non impedì l’aspra critica del leader comunista nei confronti
dell’anziano senatore. Questi si risentì al punto da far temere una crisi di
governo, tanto che nel numero 2 della rivista Togliatti fu costretto a chiedere
scusa. La critica però non atteneva soltanto all’atteggiamento politico, ma si
estendeva al sistema di pensiero del grande intellettuale meridionale: nel
numero 1 appariva un gruppo di lettere di Antonio Gramsci, scritte in carcere e
incentrate sull’analisi critica del pensiero crociano; e aveva inizio in tal
modo la “scoperta” del pensatore sardo, il capo comunista segregato in prigione
quasi fino alla morte, autore delle lettere e dei quaderni che Togliatti
avrebbe pubblicato negli anni seguenti, presentando Gramsci come l’ “Anticroce”
e facendone il perno di un nuovo progetto intellettuale ispirato al marxismo.
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Gramsci e Togliatti in un disegno de "l'Unità" |
Del resto, la convinzione che le avanguardie operaie dovessero disporre di un
giornale culturale di ampio respiro era già insita proprio ne «L’Ordine Nuovo»
di Gramsci (1919-1925), su cui Togliatti
aveva tenuto una rubrica polemica, «la battaglia delle idee», ora riproposta
con lo stesso titolo in «Rinascita». Nel febbraio ’45 il mensile ristampa Alcuni temi della quistione meridionale,
il saggio gramsciano incompiuto già apparso sul periodico clandestino «Lo Stato
operaio» ma ora messo a disposizione del grande pubblico. Il meridionalismo diventa
un punto di forza di questo marxismo italiano che – senza poter rinunciare allo
stalinismo e a certi cascami dogmatici – inizia nondimeno a fare propria
la lezione critica di Gramsci. Guido
Dorso, il meridionalista “rivoluzionario”, scrive a «Rinascita» e Togliatti
risponde. Al mensile collaborano, sotto la vigile regia del leader comunista,
alcuni dirigenti di vecchia data del Pci (fra cui Di Vittorio, che svolge il
tema dell’unità sindacale), nonché intellettuali di fede comunista antica e
nuova, o vicini al partito, che dibattono su cultura e scuola, su arte e
letteratura, da Concetto Marchesi a Franco Rodano a Lucio Lombardo Radice,
Bianchi Bandinelli, Moravia, Vittorini, Mafai, Sapegno.
Con il suo spessore qualitativo e con la sua storia
non breve (le pubblicazioni cessarono nel 1991) «Rinascita» ha contribuito a
far nascere il mito della presunta «egemonia comunista» nella cultura italiana,
un argomento agitato dalla destra specie in anni recenti. Un’egemonia a ben
vedere inesistente: perché il senso comune popolare è stato in larghissima
maggioranza plasmato dalla cultura cattolica prima, poi dall’immaginario
televisivo; e perché la sinistra italiana e, almeno dagli anni ’60, lo stesso
Pci – una minoranza per quanto significativa – hanno conosciuto un notevole pluralismo di idee, in
cui confluivano le tematiche azioniste, le
varie anime del socialismo e, a seguire, il terzomondismo, la New Left e i
“movimenti” americani. È vero peraltro che l’elaborazione culturale della
sinistra – e «Rinascita» mensile dell’immediato dopoguerra ne è la riprova – ha
saputo lanciare una sfida temibile alla tradizione e ha comprensibilmente
suscitato i timori, le reazioni e anche le recriminazioni postume degli
avversari.
Pasquale
Martino
«La Gazzetta del Mezzogiorno», 27 giugno 2014