venerdì 27 giugno 2014

70 anni di "Rinascita"

L’Italia libera in rivista

Settanta anni ci separano dalle vicende da quel Movimento di Liberazione (1943-45) che sconfiggendo il fascismo e contribuendo a cacciare l’invasore tedesco gettò le basi della libera repubblica. È opportuno che le riflessioni su questo lungo anniversario, di cui si stanno occupando (a volte un po’ stancamente) i giornali, le istituzioni, il mondo della cultura, si allarghino a considerare la molteplicità dei fatti che posero i tasselli al mosaico  della nuova Italia tutta da inventare e ricostruire. Fra questi va annoverata, nel giugno 1944, la pubblicazione della rivista «Rinascita», che, fondata da Palmiro Togliatti e rivolta non solo agli iscritti del Pci, il cui numero era in rapida crescita, ma ai simpatizzanti e agli interlocutori, avrebbe costituito per quasi mezzo secolo un luogo autorevole di elaborazione politica e culturale. 
«I primi quattro numeri – ha scritto Giorgio Bocca nella sua tutt’altro che apologetica biografia di Togliatti – destano un’impressione enorme: il livello culturale è alto, il più alto mai toccato da una rivista politica italiana».  Il titolo – «La Rinascita» (con l’articolo, che sparirà nel 1945) – allude com’è chiaro a quel “secondo Risorgimento” di cui l’Italia deve rendersi artefice sulle ceneri del regime mussoliniano, e di cui il movimento operaio sarà finalmente protagonista. L’operazione politico-culturale assai ambiziosa risponde alla strategia perseguita da Togliatti dopo l’arrivo a Napoli nel marzo ’44: egli assume la guida operativa del Pci, sblocca con la «svolta di Salerno» la questione istituzionale accelerando l’ingresso dei partiti nel governo di unità nazionale e, mentre i comunisti danno un apporto decisivo alla guerra partigiana, getta le basi di quel “partito nuovo” che sarà un soggetto politico di massa e un collettore di energie intellettuali. L’obiettivo del leader comunista è di mettere in campo un’alternativa credibile non soltanto al ventennio di cultura fascista, ma anche al pensiero borghese-liberale che proietta sul futuro post-fascista la propria vocazione egemonica.  «Rinascita» – stampata dapprima a Napoli, poi trasferita a Roma – apre le sue pagine scagliando quasi programmaticamente un attacco contro Benedetto Croce, il “papa laico”,  accusato di aver beneficiato di un atteggiamento compiacente da parte della dittatura. Figura di riferimento  dell’antifascismo nel Sud liberato dagli Alleati, il filosofo abruzzese era stato il capo morale del Congresso dei CLN a Bari nel gennaio ’44; Croce e Togliatti erano entrambi ministri del governo Badoglio (fino all’8 giugno) e del governo Bonomi (dal 18 giugno), ma ciò non impedì l’aspra critica del leader comunista nei confronti dell’anziano senatore. Questi si risentì al punto da far temere una crisi di governo, tanto che nel numero 2 della rivista Togliatti fu costretto a chiedere scusa. La critica però non atteneva soltanto all’atteggiamento politico, ma si estendeva al sistema di pensiero del grande intellettuale meridionale: nel numero 1 appariva un gruppo di lettere di Antonio Gramsci, scritte in carcere e incentrate sull’analisi critica del pensiero crociano; e aveva inizio in tal modo la “scoperta” del pensatore sardo, il capo comunista segregato in prigione quasi fino alla morte, autore delle lettere e dei quaderni che Togliatti avrebbe pubblicato negli anni seguenti, presentando Gramsci come l’ “Anticroce” e facendone il perno di un nuovo progetto intellettuale ispirato al marxismo. 
Gramsci e Togliatti in un disegno de "l'Unità"
Del resto, la convinzione che le avanguardie operaie dovessero disporre di un giornale culturale di ampio respiro era già insita proprio ne «L’Ordine Nuovo» di Gramsci  (1919-1925), su cui Togliatti aveva tenuto una rubrica polemica, «la battaglia delle idee», ora riproposta con lo stesso titolo in «Rinascita». Nel febbraio ’45 il mensile ristampa Alcuni temi della quistione meridionale, il saggio gramsciano incompiuto già apparso sul periodico clandestino «Lo Stato operaio» ma ora messo a disposizione del grande pubblico. Il meridionalismo diventa un punto di forza di questo marxismo italiano che – senza poter rinunciare allo  stalinismo e a certi  cascami dogmatici – inizia nondimeno a fare propria la lezione critica di Gramsci. Guido Dorso, il meridionalista “rivoluzionario”, scrive a «Rinascita» e Togliatti risponde. Al mensile collaborano, sotto la vigile regia del leader comunista, alcuni dirigenti di vecchia data del Pci (fra cui Di Vittorio, che svolge il tema dell’unità sindacale), nonché intellettuali di fede comunista antica e nuova, o vicini al partito, che dibattono su cultura e scuola, su arte e letteratura, da Concetto Marchesi a Franco Rodano a Lucio Lombardo Radice, Bianchi Bandinelli, Moravia, Vittorini, Mafai, Sapegno.
Con il suo spessore qualitativo e con la sua storia non breve (le pubblicazioni cessarono nel 1991) «Rinascita» ha contribuito a far nascere il mito della presunta «egemonia comunista» nella cultura italiana, un argomento agitato dalla destra specie in anni recenti. Un’egemonia a ben vedere inesistente: perché il senso comune popolare è stato in larghissima maggioranza plasmato dalla cultura cattolica prima, poi dall’immaginario televisivo; e perché la sinistra italiana e, almeno dagli anni ’60, lo stesso Pci – una minoranza per quanto significativa – hanno conosciuto un notevole pluralismo di idee, in cui confluivano  le tematiche azioniste, le varie anime del socialismo e, a seguire, il terzomondismo, la New Left e i “movimenti” americani. È vero peraltro che l’elaborazione culturale della sinistra – e «Rinascita» mensile dell’immediato dopoguerra ne è la riprova – ha saputo lanciare una sfida temibile alla tradizione e ha comprensibilmente suscitato i timori, le reazioni e anche le recriminazioni postume degli avversari. 

Pasquale Martino 


«La Gazzetta del Mezzogiorno», 27 giugno 2014