domenica 11 aprile 2021

Miti d'Enea

La storia multiforme di Enea

 e il libro di Mario Lentano

 



Esistono molti Enea. In fondo, sono sempre esistiti. L’eroe troiano, di cui Virgilio nel poema a lui intitolato narra che sia stato il progenitore dei Romani, è il «pio Enea» fedele alla missione provvidenziale che gli è stata imposta; è il profugo errabondo che stenta a essere accolto in terre inospitali; è il guerriero triste che ha compassione dei vinti e delle giovani vite stroncate. Ma è d’altronde colui che ha smesso di combattere per la patria, Troia, abbandonandola al suo tragico destino; è colui che ha tradito l’amore di una donna, lasciando Didone disperata che a lui era incondizionatamente devota; ed è infine – si pensi al romanzo di Sebastiano Vassalli, Un infinito numero (1999) – un violento massacratore del popolo da lui aggredito in terra italica. Questa pluralità di anime e di tipi sembra accompagnare quella figura mitica fin dai primordi, ed è potuta coesistere non soltanto in tradizioni parallele, capaci di riprodursi in molte epoche successive, ma talvolta all’interno della stessa opera: come è il caso appunto dell’Eneide, il cui protagonista onora profondamente il padre Anchise e non sa amare una donna che lo ama, compiange il giovane Lauso dopo averlo ucciso in combattimento ma non ferma la propria mano omicida davanti a Turno che lo implora di risparmiarlo. E questa è la fine del poema, quanto mai inquietante e densa di interrogativi.

     Personaggio mitologico e letterario assai complesso e in un certo senso irrisolto, il figlio di Anchise e di Venere fa parlare di sé in più di un libro apparso negli ultimi mesi del 2020: La lezione di Enea di Andrea Marcolongo (Laterza) ne tratteggia l’immagine di eroe sconfitto e, nonostante tutto, costruttore; Enea, lo straniero, di Giulio Guidorizzi (Einaudi) esalta la sua rinuncia anticonvenzionale a perseguire la propria gloria individuale e la scelta di votarsi alla salvezza di una comunità superstite. Filologia, antropologia e critica del mito sono le piste che Mario Lentano percorre simultaneamente nel suo Enea. L’ultimo dei Troiani, il primo dei Romani (Salerno). Laureatosi in letteratura latina a Bari, Lentano ha insegnato nei licei, è docente universitario a Siena e membro del Centro di Antropologia e mondo antico. Ci piace ricordare qui i suoi esordi con volumetti dotti e gustosi (Seneca sul matrimonio, i roghi dei libri a Roma, la poesia “politica” di Catullo) curati per le edizioni Palomar di Bari, che l’intelligente Gianfranco Cosma seppe dotare di un catalogo di tutto rispetto.

     Il suo lavoro sul leggendario capostipite della gens Iulia, antenato di Cesare e Augusto, è frutto di studi che si sono tradotti in numerosi saggi su riviste di antichistica e in un precedente volume, Il mito di Enea, (Einaudi 2013), scritto con Maurizio Bettini – «il mio maestro di sempre», dice Lentano.

     Ciò che distingue il suo ultimo libro dalle precedenti prove è un modello narrativo che ridisegna la vita del personaggio omerico e virgiliano secondo il metodo di una biografia, dalla nascita alla morte; non a caso il volume esce in una prestigiosa collana di profili biografici, fondata da Luigi Firpo e diretta da Andrea Giardina. Solo che il personaggio non vive nella storia, bensì nel mito. Perciò le varianti della paradossale biografia sono molte, quanti furono i racconti nel corso di duemila anni e più. Il mito – scrive Lentano – «rimane permanentemente allo stato fluido, senza mai cristallizzare una versione definitiva». Ogni segmento della vita di Enea, dunque, si misura con fonti letterarie diverse e contrastanti. E se il segmento più noto grazie al poema virgiliano ha acquisito una “ortodossia” che ai nostri occhi è prevalente – Enea vive la sua Odissea nel Mediterraneo e la sua Iliade combattendo nel Lazio per dare ai Troiani una nuova patria, che in prospettiva sarà Roma – è il capitolo precedente, d’altra parte, a comparirci “aperto”, foriero di un futuro del tutto diverso. Che ruolo ebbe Enea durante la decennale guerra di Troia? Perché, davvero, si salvò? E dopo quel miracoloso salvataggio, dove veramente è andato a finire? Mentre la letteratura latina fin da Nevio ed Ennio si appropriava del Fondatore stabilendo una versione “autorizzata” che Virgilio arricchì apportandovi, con Augusto, un crisma ufficiale, per converso in ambito greco persistevano poemi e tragedie di cui non abbiamo più il testo, ma abbiano notizie, i quali dicevano tutt’altro: che Enea era in dissidio col re troiano Priamo (e ciò s’intuisce già nell’Iliade); che il figlio di Anchise tradì la causa e perciò si salvò; che un nucleo troiano rifondò la patria in Troade; che Enea fondò città altrove, non in Lazio.

     Risposte che figurano, in parte, nei resoconti attribuiti a leggendari testimoni della guerra di Troia, Darete Frigio e Ditti Cretese; scritti che ebbero diffusione nell’impero romano: Ditti sarebbe stato riscoperto da Nerone, che lo fece tradurre dal fenicio al greco. Dunque, la “classicità” di Virgilio non era ancora incontrastata, specie nella “anticlassicista” corte neroniana, dove molto si scriveva sulla guerra iliaca, poco e nulla su Enea: eppure Nerone era l’ultimo della gens Iulia! Darete e Ditti arrivano fino al Medioevo con le loro leggende greco-troiane (si pensi al fortunatissimo Roman de Troie del XII secolo), tanto da costituire un “canone” in grado di competere con quello virgiliano fatto proprio da Dante. E poi ancora, saranno i Turchi del potente impero ottomano a proclamarsi discendenti dei Troiani; altro che Roma! Storie di tradizioni che viaggiano, che si travasano di testo in testo, e a seconda della temperie storica assumono valenze pubbliche e politiche. Una vicenda dai tratti avvincenti, che la bella prosa di Mario Lentano restituisce al lettore non necessariamente specialista.  

 

Pasquale Martino   

«La Gazzetta del Mezzogiorno», 11 aprile 2021               

Immagine: Enea fugge da Troia, incisione di Agostino Carracci da Federico Barocci (1595)