lunedì 4 gennaio 2021

Nel centenario del Pci

IL SECOLO COMUNISTA

La speranza rivoluzionaria, l’antifascismo, la democrazia repubblicana

 


«Nato male e un po’ per sbaglio nel gennaio 1921, da una scissione di minoranza che presto deluse anche i suoi artefici, seppe trovare la sua strada cammin facendo». Così vent’anni fa lo storico Gianpasquale Santomassimo descriveva la fondazione del Partito comunista italiano. Oggi, il centenario della nascita (il prossimo 21 gennaio) di questo grande protagonista collettivo della storia del Novecento – che ha cessato di esistere nel febbraio del 1991 – è già tema di discussione sui giornali e nei libri.

Nato male per responsabilità molteplici. Nato sbagliando i tempi, in un momento storico di travolgente velocità dei mutamenti, quando poche settimane valgono un cambio d’epoca. È il tempo in cui, per esempio, riformismo e massimalismo – le due anime del Partito socialista – voglion dire per le masse proletarie qualcosa di ben diverso dai significati attuali. La Grande Guerra da poco finita ha abbattuto quattro imperi, generato la prima rivoluzione socialista e messo in crisi gli stati liberali che hanno escluso la partecipazione delle masse popolari (in ciò del tutto differenti dalle democrazie sociali e costituzionali che saranno a loro volta l’esito della guerra antinazista e della Resistenza europea). Dopo l’esempio della Russia di Lenin, il «governo del popolo» appare l’unica soluzione credibile, specialmente nell’Italia del Biennio rosso (1919-1920), grazie al clamoroso successo elettorale del Psi nel 1919 (due milioni di voti su cinque, primo partito alla Camera), ai moti agrari e all’occupazione delle fabbriche, mentre a Est l’Armata Rossa respinge l’assalto di controrivoluzionari bianchi e polacchi (estate del ’20), contrattacca e pare slanciarsi verso la Germania, anch’essa in procinto di fare la sua rivoluzione. L’Internazionale Comunista è la nuova attrice che si impone sul proscenio mondiale, spaventando le classi borghesi.

Ma le cose cambiano, appunto, con impressionante rapidità: in Italia la spinta di lotta si va esaurendo, l’occupazione delle fabbriche si conclude con un insuccesso, manca una guida politica del movimento; contenitore eterogeneo di deputati, sindaci, sindacalisti, il Psi non sa dirigere né un movimento rivoluzionario né una riforma democratica delle anguste istituzioni liberali. L’alternativa comunista affascina col suo progetto di un partito omogeneo, capace di guidare fermamente la necessaria rivoluzione. Non di rado, in Europa, l’idea diventa maggioritaria nei partiti socialisti. In Italia la questione della sinistra non è se accettare o respingere l’opzione comunista: è se tutto il Psi rappresenterà l’Internazionale, come assicura la maggioranza capeggiata da Giacinto Menotti Serrati, o se tale rappresentanza sarà appannaggio della sola frazione comunista intransigente, guidata da Amadeo Bordiga che diventerà il leader carismatico del Pci nei primi anni. Il nodo si scioglie drammaticamente a Livorno, nel XVII congresso del Psi: Serrati non se la sente di rompere con la minoranza “di destra”, che fa capo a Turati; l’estrema sinistra abbandona il congresso e fonda il Partito comunista d’Italia. Ai dirigenti dell’Internazionale resta l’amaro in bocca per una condotta tattica improvvida che ha ottenuto come risultato la nascita di un partito minoritario. Bordiga è invece soddisfatto: ha in mano un’organizzazione compatta, costituita in grandissima parte di operai. Nessuno al momento – né i socialisti, né il Pci, né i cattolici, né il vecchio statista Giolitti – sembra comprendere la vera portata del pericolo fascista: lo squadrismo ha già compiuto i primi assalti nel 1920, ma soltanto nel ’21 dispiega in modo sistematico la sua violenza terrorizzante. Chi vede le ombre della situazione è Antonio Gramsci, capo del gruppo torinese de «L’Ordine nuovo», minoranza nel neonato partito; sarà lui, in un appunto di qualche mese dopo (pubblicato da Togliatti nel 1960), a scrivere che il non aver portato, a Livorno, la maggioranza del proletariato italiano nelle file dell’Internazionale è stato «un trionfo della reazione».

Paradossalmente, nel 1924 lo stesso Serrati, con la frazione dei terzinternazionalisti, finirà con il confluire nel Pci. Ma è già iniziato il profondo lavoro gramsciano di analisi sociale, elaborazione politica, chiarificazione ideologica, che sboccherà nella sostituzione della direzione di Bordiga, viziata da settarismo, e in quella che si può considerare la vera nascita del Pci, il congresso di Lione (1926): il quale si svolge all’estero in piena stretta repressiva del regime fascista. La «dannazione» di Livorno – per usare le parole di Ezio Mauro nel suo ultimo libro – lascerà faticosamente il posto al tentativo di «grande rattoppo» nella sinistra, non ancora concluso. La metafora ripropone l’idea convenzionale di una eterna propensione della sinistra italiana alle divisioni. Va detto piuttosto che proprio i duri anni della clandestinità temprano la capacità del Pci di tenere le fila di un difficilissimo lavoro illegale in Italia, nelle prigioni e nei luoghi di confino, e preparano la terza e definitiva rifondazione, quella della Resistenza e del «partito nuovo», popolare e di massa. E va detto che il legame unitario fra comunisti e socialisti si stabilisce fin dal 1934, vivifica l’antifascismo e la lotta di Liberazione e con intensità alterna dura per tutta la Prima repubblica, fino agli anni di Craxi. Poi entrambi i partiti, separatamente e con epiloghi diversi, scompaiono; e «il modo (questo sì) ancor m’offende».        

 Pasquale Martino

  

Ruggero Grieco

Pugliesi a Livorno

Piccola e qualificata la schiera pugliese che partecipa da subito all’impresa di fondazione del Pci. Nel 1921 sono 655 iscritti su un totale nazionale di circa 40.000. Ecco alcuni nomi. La pioniera è Rita Maierotti, veneta trapiantata a Bari, presente con Bordiga e Gramsci fra la ventina di delegati socialisti che a Firenze nel 1917 getta le basi della frazione comunista (lo racconta Paolo Spriano nella sua storia del Pci). È una delle poche donne agli inizi del partito, con Ortensia De Meo (moglie di Bordiga) e  Camilla Ravera. A Livorno Rita è affiancata dal marito, il gravinese Filippo D’Agostino, consigliere comunale a Bari, futuro martire della Resistenza. Da Taranto arriva Odoardo Voccoli, che sarà il primo sindaco della città ionica dopo la Liberazione. Da Foggia c’è Luigi Allegato, che diventerà sindaco di San Severo e presidente della provincia. L’ispiratore dei comunisti foggiani – lo ricorda lo stesso Allegato – è il conterraneo Ruggero Grieco, figura di spicco del Pci fin dal primo comitato centrale, braccio destro di Bordiga e numero due del partito. In seguito si avvicinerà a Gramsci conservando un ruolo di rilievo nel nuovo gruppo dirigente, tanto da fungere di fatto da segretario del partito e dirigente del centro estero negli anni ’30, mentre Togliatti opera a Mosca per l’Internazionale. Sarà membro della Costituente e senatore della repubblica.  (p.m.)


La Gazzetta del Mezzogiorno, 3 gennaio 2021