IL QUINDICENNE CHE FERMÒ I TEDESCHI
Il giorno eroico (9 settembre 1943)
e la lunga giovinezza del comunista di Bari Vecchia
Ho
avuto per mia fortuna l’amicizia e la stima di Michele Romito, il ragazzo che
fermò l’esercito tedesco a colpi di bombe a mano, il 9 settembre 1943 a Bari.
Ho potuto dargli un ultimo saluto in ospedale, il giorno prima che morisse, a
ottantadue anni, il 31 agosto 2009. Sono trascorsi dieci anni, e volgere il
pensiero alla memoria di Michele è doveroso, tanto più nella circostanza del
76° anniversario di quella vicenda straordinaria nella storia di Bari. Fu un
tempo drammatico in tutta Italia, l’8 settembre e i giorni che seguirono:
quando lo Stato e l’esercito italiani si sfaldarono, il re e il governo
fuggirono, le truppe tedesche dilagarono e sembrò arrivata – come è stato detto
– la morte della Patria. Se la Patria non morì, lo si deve ad alcune migliaia
di persone, che in modo pressoché spontaneo reagirono, fecero scelte cui
pochissime di loro erano preparate, salvando soldati fuggiaschi, opponendosi nei
modi possibili ai nazisti e ai fascisti redivivi, impugnando un’arma. Fu uno di
quei passaggi sconvolgenti in cui – per opera di una minoranza non sparuta – un
popolo e una nazione che erano sul punto di morire invece rinascono, si
riconoscono, si rifondano come ex novo.
Successe anche a Bari, dove protagonista
fu un miscuglio estemporaneo di popolo, soldati, marinai, postelegrafonici,
donne, ragazzi che soprattutto nella città vecchia e nel porto trovarono la
scena del loro imprevisto momento di gloria, ed ebbero la loro rappresentazione
in due figure emblematiche: il generale Nicola Bellomo, che senza ordini
superiori (anzi, contro la riluttanza di buona parte dei comandi) diresse
l’azione improvvisata di una compagnia eterogenea di militari e seppe
coinvolgere anche i civili, impedendo alle truppe tedesche di distruggere le
installazioni portuali; e il quindicenne Michele Romito, a capo di una banda di
ragazzini che, sostenuti da numerosi altri scugnizzi e ragazze, si unirono ai soldati,
si armarono di bombe e dall’alto della Muraglia bersagliarono l’autocolonna
della Wehrmacht che tentava, penetrando in Bari Vecchia, di prendere alle
spalle chi combatteva al porto. Fu proprio Romito a fare centro, causando
l’incendio di un autocingolato che bloccò l’intera colonna tedesca, mentre i
combattimenti continuavano davanti all’arco di San Nicola. Nel tardo pomeriggio
i tedeschi dovettero ritirarsi, per seminare distruzione lungo il loro cammino
verso Nord; si concluse così, con sei morti italiani sul terreno, una giornata
violenta e tempestosa che è stata più volte raccontata ma sulla quale molto si
vorrebbe ancora sapere.
Michele Romito riceve la medaglia dal sindaco Vernola. Fra i due nella foto, Tommaso Sicolo e Arrigo Boldrini. |
Chi era Michele Romito? Apparteneva a una
numerosa famiglia “barivecchiana”, 7 figli maschi e 3 femmine; aveva poca
istruzione, si arrangiava in lavori portuali saltuari. Non saprei dire se nella
scelta di campo istantanea di quel 9 settembre – cui non fu estraneo, certo,
l’istinto popolare di autodifesa del proprio territorio – influì già un
orientamento politico; forse sì, visto che nel dopoguerra Michele seguirà il
fratello maggiore Antonio, suo punto di riferimento, nella adesione al Partito
comunista. La famiglia Romito gravitava verso le due grandi istituzioni sociali
e formative di Bari Vecchia: da una parte il Pci, dall’altra la Cattedrale.
Michele crebbe lavorando nel porto e nei cantieri edili. Non si sposò, visse
con i familiari nella casa madre del quartiere San Marco. Gli anni si
allontanavano dall’epica giornata del ’43, e Bari era smemorata.
Il tempo di gloria tornò dopo il ’68,
quando studenti di idee rivoluzionarie entrarono a frotte in Bari Vecchia per
cercare le proprie ragioni interrogando la città proletaria che fino a quel
momento ignoravano. Solidarizzarono con molti loro coetanei, ma in Michele
Romito, quarantenne, trovarono insieme un padre e un compagno da ammirare: un
ragazzo cresciuto e rimasto ribelle, insofferente, critico verso il Pci. La mia
amicizia con lui non fu solo mia, ma fu quella di una comunità, specialmente il
Circolo Lenin, che si strinse intorno a lui, facendosi raccontare in un estroverso
dialetto barese non solo la storia emozionante di quelle bombe, ma tanti
episodi della sua vita di lavoratore. Erano gli anni delle stragi e dello
squadrismo nero, del nuovo antifascismo; l’Italia riscopriva la Resistenza, e
Bari riscoprì gli insorti del settembre ’43. Il 25 aprile 1974 Romito riceve
dal sindaco Nicola Vernola la medaglia d’oro della civica amministrazione, nel
teatro Petruzzelli, alla presenza del
presidente nazionale dell’Associazione Partigiani, Arrigo Boldrini. La sera,
una festa di giovani abbraccia l’“eroe” (titolo che Romito mai avrebbe pensato
di attribuirsi). È merito indubbio dell’ANPI l’aver dato il dovuto rilievo alla
figura di Romito, l’aver fatto conoscere la sua testimonianza, come anche l’aver
valorizzato in anni recenti i “ragazzi” di Bari Vecchia che sono ancora fra noi
e possono raccontare quei fatti.
Romito a una manifestazione dell'Anpi a Bari |
In seguito Michele frequentò la comunità
di Santa Chiara, gruppo cristiano di base, si riavvicinò al Pci e, dopo lo
scioglimento, a Rifondazione Comunista. Non mancava mai alle celebrazioni
antifasciste; era a suo modo un personaggio: un giorno anche Moni Ovadia andò a
trovarlo. Ma visse poveramente, come custode dei bagni comunali, infine come
modestissimo pensionato. La sua ultima apparizione pubblica risale a due mesi
prima della morte: fisicamente malandato, non volle mancare nel giugno 2009
alla manifestazione per i quaranta anni del Circolo Lenin di Puglia, nella
Vallisa, dove fu calorosamente riabbracciato da quei giovani con i capelli ormai
imbiancati che lo avevano avuto amico e compagno.
Due anni dopo, nel 2011, venne deposta la
“pietra d’inciampo” che lo ricorda, nel luogo che era stato teatro del gesto di
coraggio per il quale Bari gli è debitrice.
Pasquale Martino
«La
Gazzetta del Mezzogiorno», 9 settembre 2019