Il Capitale,
Cafiero,
i rivoluzionari meridionali
Il
«ritorno a Marx» è una costante ciclica del dibattito filosofico, economico e
politico. Un pensiero la cui inesausta forza analitica resta attrattiva anche
quando gli eredi politici della sua tradizione sembrano scomparsi. Tanto più si
vorrebbe riscoprirne la prorompente freschezza degli albori, della nascita e
divulgazione, in quella seconda metà dell’Ottocento che fu età di rivoluzioni
borghesi ancora in corso e di insorgenti lotte di classe capaci di incrinare le
certezze del capitalismo trionfante. Nell’Italia appena unificata erano proprio
i primi apostoli del movimento operaio a credere che le plebi del Nord e del
Sud potessero associarsi nella ribellione contro l’ingiustizia, ispirate di
volta in volta dal mazzinianesimo, dal radicalismo di Pisacane, dalla anarchia di
Bakunin e dal socialismo scientifico di Marx ed Engels.
Molti intellettuali
meridionali militavano nella nuova impresa, e fra questi alcuni pugliesi che rinunciarono
a facili carriere perseguendo il riscatto delle classi lavoratrici. Il più
generoso e culturalmente vivace fu Carlo Cafiero, nato nel 1846 da una ricca
famiglia di Barletta, amico del pittore Giuseppe De Nittis suo concittadino, formatosi
nel seminario di Molfetta e poi a Napoli: a lui, espressione di un
“proto-marxismo libertario” (la definizione è di Gian Mario Bravo), va il
merito di aver fatto conoscere per primo a un largo pubblico italiano la dottrina
di Marx.
Recatosi a Londra,
Cafiero stabilì un legame soprattutto con Friedrich Engels, col quale restò in
corrispondenza epistolare. Tornato in Italia, si adoperò con due conterranei,
il tranese Enrico Covelli suo compagno di studi e Carmelo Palladino di Cagnano
Varano, per riorganizzare a Napoli la prima sezione che sotto la guida di un
altro pugliese, il sarto Stefano Caporusso di Modugno, aveva aderito alla
Associazione internazionale dei lavoratori (la Prima Internazionale). È il
1871, il tempo della Comune di Parigi, quando la rivoluzione proletaria sembra
incombere sull’Europa. Marx ed Engels guardano con interesse alle potenzialità
dell’Italia, ma lo stesso fa l’ormai rivale Bakunin, che ha vissuto nella
penisola e vi annovera numerosi seguaci. Pure Cafiero abbandona la linea
marxista per abbracciare l’idea bakuniniana: finanzia l’acquisto della
Baronata, una villa presso Locarno dove vive con la moglie Olimpia
Kutuzova e che mette a disposizione di
Bakunin, ma in seguito prende le distanze dal leader anarchico; la vicenda è
narrata nel romanzo di Riccardo Bacchelli Il
diavolo al Pontelungo (1927).
Dopo aver promosso sfortunate insurrezioni a
Castel del Monte e nel Matese, Cafiero si dedica alla sua opera più importante:
la riduzione in agile compendio del libro I di Das Kapital, la grande summa teorica di Marx. Il volumetto esce nel
1879, rivolto non solo a lavoratori e a borghesi illuminati, ma, con
lungimiranza, anche alla «prima gioventù delle
scuole». Karl Marx in persona scrive a Cafiero per lodare la superiore qualità
della nuova epitome rispetto a precedenti tentativi altrui e non solo in Italia.
Efficacia e chiarezza connotano l’excursus
come in questo passo: «La nascita del capitale si
risolve nell'altra questione […]: trovare una merce che ci dia più di quanto ci
è costata; […] la quale […] possa crescere di valore […] Questa merce tanto
singolare esiste davvero e si chiama potenza del lavoro, o forza del lavoro».
Opera mai tramontata: Il Capitale
compendiato da Cafiero in edizione del 1913 è fra i libri di Gramsci, che nei Quaderni auspica possa realizzarsi una
sintesi di pari utilità per le giovani generazioni; l’edizione Samonà e Savelli
del 1970 rifornisce le biblioteche dei sessantottini; il compendio è stato
sempre ripubblicato ed è disponibile come ebook.
Prima di morire proprio
nell’anno di fondazione del partito socialista (1892), Cafiero – che ha scritto
saggi non irrilevanti su comunismo e anarchia – fa in tempo a maturare
posizioni pragmatiche, sulla scia di Andrea Costa staccatosi dall’insurrezionalismo
anarchico per sostenere il movimento socialista organizzato. Contribuisce alla
diffusione dei testi marxisti anche il socialista beneventano Pasquale
Martignetti, lui pure corrispondente di Engels (al quale inoltre pervengono lettere
da semplici militanti e simpatizzanti di Trani e Molfetta); tuttavia, mentre Il Capitale viene pubblicato a dispense a
Torino, sulla rivista borghese «Bilbioteca dell’Economista», nel socialismo italiano
l’assimilazione della teoria di Marx è superficiale e venata di positivismo.
Toccherà al pensatore napoletano Antonio Labriola dare impulso alla fine del
secolo a una rigorosa conoscenza del marxismo e dello stesso Manifesto di Marx ed Engels. La
traduzione e pubblicazione delle opere dei due tedeschi sarà intrapresa nel
1899 da un altro valoroso intellettuale delle nostre terre, il “professore
socialista” cioè il potentino Ettore Ciccotti, in collaborazione con la moglie
Ernestina D’Errico. E siamo ormai alla prima delle – anch’esse cicliche –
“crisi del marxismo”, addirittura alla “morte del marxismo teorico” proclamata
da Benedetto Croce al sorgere del Novecento.
Invece il “secolo breve” segna
l’avventura drammatica di un movimento storico di grandi masse che in tutto il pianeta
ha nelle idee di Marx il proprio vessillo. Concluso quel secolo con dolorosi fallimenti
ma con una inevasa domanda di eguaglianza e libertà, rimane il fascino di un
pensatore radicalmente critico, che nel Bicentenario della nascita è forse ancora
il più studiato nel mondo, e grazie a un intelligente regista haitiano (Raoul
Peck) fa ora discutere il pubblico del grande schermo.
Pasquale Martino
"La Gazzetta del Mezzogiorno", 5 maggio
2018