La
Puglia operaia
che scese in piazza con gli studenti
C’è
stato in Puglia un ’68 operaio: un prologo dell’autunno caldo 1969, una avvisaglia
che si concretizza nella dura vertenza contro le zone salariali e in numerose
lotte aziendali le quali sfociano non di rado in occupazioni di fabbriche. Fin dall’inizio
il ’68 del lavoro si intreccia col movimento studentesco (di cui abbiamo
parlato nella «Gazzetta» del 20 gennaio scorso). Del resto, gli operai giovani hanno
caratteristiche e storie somiglianti a quelle dei loro coetanei studenti. In
una terra in cui soltanto il bracciantato e, in tempi più vicini, i lavoratori
dell’edilizia vantano esperienze sindacali, operai e operaie della recente
industria manifatturiera sono invece novellini apparentemente arrendevoli alla
disciplina padronale. È questo in effetti uno dei criteri che negli anni ’60
sovrintendono alla nascita dei poli di sviluppo industriale nel Meridione e in
Puglia: creare ricchezza e posti di lavoro, certo, ma nel contempo garantirsi
contro il conflitto sociale. Anche a causa del suo entroterra di tradizione
“rossa” (specie nel Nord Barese), probabilmente, Bari non è scelta per grandi
insediamenti come Italsider e Montedison (nati a Taranto e a Brindisi), ma è
preferita come luogo ideale per un’area di piccole e medie fabbriche che – si
ritiene – consentiranno un controllo più capillare della forza lavoro occupata.
Ciononostante l’investimento pubblico nella zona industriale di Bari, voluto
dai conterranei Aldo Moro e Pietro Sette, presidente della finanziaria Breda
controllata dallo Stato, è poderoso e ricco di risultati: una costellazione di
fabbriche a partecipazione statale prevalentemente metallurgiche e meccaniche –
Fucine Meridionali, Breda Hupp, Isotta Fraschini, Pignone Sud, Radaelli Sud e l’industria
di pneumatici Firestone Brema – sorge accanto e intorno a solidi opifici come
la vecchia raffineria Stanic e a industrie private quali le Officine Calabrese,
il Tubificio Scianatico e le Acciaierie di Giovinazzo. La Fiat, che ha
impiantato uno stabilimento a Lecce, preannuncia il suo ingresso nella zona
industriale Bari-Modugno (aprirà nel 1970).
Contrariamente
al pronostico, l’avanguardia della lotta in Puglia nel 1968 è proprio il polo
industriale barese. Ma come in un antefatto, analogamente a quanto è successo all’Università,
il ciclo è aperto nel 1967 dagli operai del Calzaturificio del Sole, che
occupano la fabbrica e ricevono il sostegno di studenti e giovani militanti: è
il laboratorio del ’68. A febbraio sono già in corso vertenze aziendali in
sette fabbriche metalmeccaniche, il clima sindacale si va decisamente
riscaldando; anche gli autoferrotramvieri scendono in sciopero per più
giornate, alla Sud Est e all’Amtab dove i bus vengono sostituiti da automezzi
militari. Parte nel frattempo a livello nazionale la lunga lotta per la riforma
delle pensioni (che otterrà, nel 1969, il sistema retributivo e la pensione
sociale): il 7 marzo a Bari sfilano diecimila lavoratori (cifra della
«Gazzetta»); il primo di tanti cortei sindacali che in quegli anni faranno
risuonare di slogan le vie tranquille del capoluogo. Ma il il clamoroso atto
inaugurale del movimento operaio, a maggio-luglio, sono i 47 giorni di
occupazione delle Fucine Meridionali che pongono con forza il tema della
democrazia nei luoghi di lavoro; e in autunno vengono occupati altri
stabilimenti.
Nel
frattempo – mentre dilagano lotte aziendali in fabbriche finora assopite (Balsamo,
Uniblok, Pollice, Palumbo) – s’è aperta la grande vertenza nazionale per
abolire le odiose “gabbie” salariali (a Bari il salario è inferiore del 13% ai
minimi tabellari) e conquistare finalmente la parità di retribuzione fra Nord e
Sud. Alla prima giornata di sciopero generale (24 ottobre) aderiscono tutti i
settori produttivi, sono paralizzati il porto e i trasporti di terra. Ancora
due scioperi generali e cortei nel centro cittadino: il 14 novembre per la
riforma previdenziale (in mattinata, tensione e scontro davanti a Calabrese e
alla fabbrica tessile Hettemarks con manodopera femminile) e il 12 dicembre, con
adesione anche di braccianti, poligrafici, lavoratori Amiu, Amgas, Sip, Poste e
ferrovie in concessione. Esplode pure il movimento degli studenti medi nelle
scuole di Bari e provincia, per ottenere il diritto d’assemblea – impensabile
fino allora – e fra gli istituti ce n’è uno molto particolare: il Ciapi, Centro
interaziendale di addestramento professionale per l’industria, attivo dal 1965
nel cuore della zona industriale, fiore all’occhiello della Cassa per il
Mezzogiorno con i suoi 840 allievi che, sottoposti a un regime da caserma,
dovranno diventare operai bravi e obbedienti. Al Ciapi scoppia una ribellione
fra le più aspre, che si protrae per tutto il 1969 sostenuta da studenti
universitari e medi. Nel ’68 il movimento studentesco aiuta gli operai nei
picchetti davanti ai cancelli: senza queste barriere viventi molti lavoratori
entrerebbero intimiditi dallo sguardo minaccioso degli addetti alle portinerie,
che spesso agiscono da braccio armato delle direzioni aziendali. Organizzare
picchetti e gruppi che vanno da una fabbrica all’altra per sostenere gli
scioperanti è un compito dei sindacati metalmeccanici che nascono e crescono in
breve tempo: il segretario della Fim-Cisl Franco Filieri tiene comizi volanti
contro dirigenti e guardiani, che chiama con buffo epiteto «reazioncelli»; nel
duro confronto con le squadre anti-sciopero spicca la determinazione del leader
della Fiom-Cgil Paolo Pellicano. Emerge una giovane leva operaia che costruirà
il sindacato: Giuseppe De Filippo della Isotta Fraschini, Margherita Di Ronzo e
Caterina Spinelli della Hettemarks, e tanti altri.
L’accordo
per l’abolizione delle zone salariali è raggiunto a dicembre con le aziende
pubbliche e a marzo ’69 con la Confindustria. Intanto, proprio nell’Università
di Bari è attiva una illuminata scuola di diritto del lavoro guidata da Gino
Giugni, fra i principali artefici del nuovo statuto dei diritti dei lavoratori
che diventerà legge nel 1970.
Pasquale Martino
L’occupazione della fabbriche a Bari
A
Bari c’è l’occupazione delle fabbriche. Nel 1967 un centinaio di ragazzi e
ragazze che lavorano come operai con paghe di apprendisti negli ambienti
insalubri del Calzaturificio del Sole sciopera chiedendo il rispetto del
contratto di lavoro; la proprietà reagisce minacciando fallimento e
licenziamenti; l’opificio viene occupato per 40 giorni, e i lavoratori fanno
entrare studenti solidali, giovani militanti della sinistra e delle Acli.
L’occupazione più dirompente è alle Fucine Meridionali, fabbrica metallurgica
del gruppo Breda (oggi privatizzata col nome di Fonderie Meridionali): le
maestranze chiedono miglioramenti economici e salute in fabbrica. Agli scioperi
la direzione risponde con la serrata dello stabilimento e con provvedimenti
disciplinari tra cui il licenziamento in tronco del segretario della
commissione interna Antonio Continisio. Di qui i 47 giorni di occupazione (27
maggio-11 luglio 1968) che impongono un tema inedito, il potere operaio che
diventerà asse strategico di tutto il movimento in Italia fino alla istituzione
dei consigli di fabbrica. La lotta unitaria – chiusa con un successo quasi
completo (Continisio sarà comunque riassunto in un’altra azienda del gruppo
Breda) – cementa il rapporto fra i tre sindacati confederali di categoria che
daranno vita alla Flm, Federazione lavoratori metalmeccanici, e ottiene la
mobilitazione per solidarietà delle altre fabbriche baresi nonché l’appoggio
del movimento studentesco.
Circa 80
operai dell’Ati (Azienda tabacchi italiana) attuano uno sciopero a singhiozzo
per ottenere aumenti salariali; per tutta risposta tre di loro vengono sospesi;
dal 18 settembre lo stabilimento viene occupato per 43 giorni; infine i
monopoli di Stato ne concedono la gestione a una cooperativa degli stessi
lavoratori. All’Ucci (Unione cartaia e cartotecnica italiana) 34 dipendenti
ricevono un preavviso di licenziamento: si decide l’occupazione della fabbrica,
che dura 40 giorni a partire dal 13 ottobre, fino alla promessa di nuove
commissioni che incrementeranno la produzione.
Durante le occupazioni gli operai si barricano dietro i cancelli, le
famiglie portano generi di sussistenza, si attivano reti di solidarietà
politiche e istituzionali, la «Gazzetta» e «l’Unità» scrivono cronache quotidiane.
(P.M.)
«La
Gazzetta del Mezzogiorno», 18 febbraio 2018
Leggi anche:
Il '68 in Puglia/1. Potere studentesco a Bari e a Lecce
Il '68 in Puglia/3. La rivolta delle campagne