domenica 18 febbraio 2018

Il ’68 in Puglia/2


La Puglia operaia 
che scese in piazza con gli studenti


C’è stato in Puglia un ’68 operaio: un prologo dell’autunno caldo 1969, una avvisaglia che si concretizza nella dura vertenza contro le zone salariali e in numerose lotte aziendali le quali sfociano non di rado in occupazioni di fabbriche. Fin dall’inizio il ’68 del lavoro si intreccia col movimento studentesco (di cui abbiamo parlato nella «Gazzetta» del 20 gennaio scorso). Del resto, gli operai giovani hanno caratteristiche e storie somiglianti a quelle dei loro coetanei studenti. In una terra in cui soltanto il bracciantato e, in tempi più vicini, i lavoratori dell’edilizia vantano esperienze sindacali, operai e operaie della recente industria manifatturiera sono invece novellini apparentemente arrendevoli alla disciplina padronale. È questo in effetti uno dei criteri che negli anni ’60 sovrintendono alla nascita dei poli di sviluppo industriale nel Meridione e in Puglia: creare ricchezza e posti di lavoro, certo, ma nel contempo garantirsi contro il conflitto sociale. Anche a causa del suo entroterra di tradizione “rossa” (specie nel Nord Barese), probabilmente, Bari non è scelta per grandi insediamenti come Italsider e Montedison (nati a Taranto e a Brindisi), ma è preferita come luogo ideale per un’area di piccole e medie fabbriche che – si ritiene – consentiranno un controllo più capillare della forza lavoro occupata. Ciononostante l’investimento pubblico nella zona industriale di Bari, voluto dai conterranei Aldo Moro e Pietro Sette, presidente della finanziaria Breda controllata dallo Stato, è poderoso e ricco di risultati: una costellazione di fabbriche a partecipazione statale prevalentemente metallurgiche e meccaniche – Fucine Meridionali, Breda Hupp, Isotta Fraschini, Pignone Sud, Radaelli Sud e l’industria di pneumatici Firestone Brema – sorge accanto e intorno a solidi opifici come la vecchia raffineria Stanic e a industrie private quali le Officine Calabrese, il Tubificio Scianatico e le Acciaierie di Giovinazzo. La Fiat, che ha impiantato uno stabilimento a Lecce, preannuncia il suo ingresso nella zona industriale Bari-Modugno (aprirà nel 1970).
     Contrariamente al pronostico, l’avanguardia della lotta in Puglia nel 1968 è proprio il polo industriale barese. Ma come in un antefatto, analogamente a quanto è successo all’Università, il ciclo è aperto nel 1967 dagli operai del Calzaturificio del Sole, che occupano la fabbrica e ricevono il sostegno di studenti e giovani militanti: è il laboratorio del ’68. A febbraio sono già in corso vertenze aziendali in sette fabbriche metalmeccaniche, il clima sindacale si va decisamente riscaldando; anche gli autoferrotramvieri scendono in sciopero per più giornate, alla Sud Est e all’Amtab dove i bus vengono sostituiti da automezzi militari. Parte nel frattempo a livello nazionale la lunga lotta per la riforma delle pensioni (che otterrà, nel 1969, il sistema retributivo e la pensione sociale): il 7 marzo a Bari sfilano diecimila lavoratori (cifra della «Gazzetta»); il primo di tanti cortei sindacali che in quegli anni faranno risuonare di slogan le vie tranquille del capoluogo. Ma il il clamoroso atto inaugurale del movimento operaio, a maggio-luglio, sono i 47 giorni di occupazione delle Fucine Meridionali che pongono con forza il tema della democrazia nei luoghi di lavoro; e in autunno vengono occupati altri stabilimenti.
     Nel frattempo – mentre dilagano lotte aziendali in fabbriche finora assopite (Balsamo, Uniblok, Pollice, Palumbo) – s’è aperta la grande vertenza nazionale per abolire le odiose “gabbie” salariali (a Bari il salario è inferiore del 13% ai minimi tabellari) e conquistare finalmente la parità di retribuzione fra Nord e Sud. Alla prima giornata di sciopero generale (24 ottobre) aderiscono tutti i settori produttivi, sono paralizzati il porto e i trasporti di terra. Ancora due scioperi generali e cortei nel centro cittadino: il 14 novembre per la riforma previdenziale (in mattinata, tensione e scontro davanti a Calabrese e alla fabbrica tessile Hettemarks con manodopera femminile) e il 12 dicembre, con adesione anche di braccianti, poligrafici, lavoratori Amiu, Amgas, Sip, Poste e ferrovie in concessione. Esplode pure il movimento degli studenti medi nelle scuole di Bari e provincia, per ottenere il diritto d’assemblea – impensabile fino allora – e fra gli istituti ce n’è uno molto particolare: il Ciapi, Centro interaziendale di addestramento professionale per l’industria, attivo dal 1965 nel cuore della zona industriale, fiore all’occhiello della Cassa per il Mezzogiorno con i suoi 840 allievi che, sottoposti a un regime da caserma, dovranno diventare operai bravi e obbedienti. Al Ciapi scoppia una ribellione fra le più aspre, che si protrae per tutto il 1969 sostenuta da studenti universitari e medi. Nel ’68 il movimento studentesco aiuta gli operai nei picchetti davanti ai cancelli: senza queste barriere viventi molti lavoratori entrerebbero intimiditi dallo sguardo minaccioso degli addetti alle portinerie, che spesso agiscono da braccio armato delle direzioni aziendali. Organizzare picchetti e gruppi che vanno da una fabbrica all’altra per sostenere gli scioperanti è un compito dei sindacati metalmeccanici che nascono e crescono in breve tempo: il segretario della Fim-Cisl Franco Filieri tiene comizi volanti contro dirigenti e guardiani, che chiama con buffo epiteto «reazioncelli»; nel duro confronto con le squadre anti-sciopero spicca la determinazione del leader della Fiom-Cgil Paolo Pellicano. Emerge una giovane leva operaia che costruirà il sindacato: Giuseppe De Filippo della Isotta Fraschini, Margherita Di Ronzo e Caterina Spinelli della Hettemarks, e tanti altri.
     L’accordo per l’abolizione delle zone salariali è raggiunto a dicembre con le aziende pubbliche e a marzo ’69 con la Confindustria. Intanto, proprio nell’Università di Bari è attiva una illuminata scuola di diritto del lavoro guidata da Gino Giugni, fra i principali artefici del nuovo statuto dei diritti dei lavoratori che diventerà legge nel 1970. 

Pasquale Martino  


L’occupazione della fabbriche a Bari


A Bari c’è l’occupazione delle fabbriche. Nel 1967 un centinaio di ragazzi e ragazze che lavorano come operai con paghe di apprendisti negli ambienti insalubri del Calzaturificio del Sole sciopera chiedendo il rispetto del contratto di lavoro; la proprietà reagisce minacciando fallimento e licenziamenti; l’opificio viene occupato per 40 giorni, e i lavoratori fanno entrare studenti solidali, giovani militanti della sinistra e delle Acli. 
     L’occupazione più dirompente è alle Fucine Meridionali, fabbrica metallurgica del gruppo Breda (oggi privatizzata col nome di Fonderie Meridionali): le maestranze chiedono miglioramenti economici e salute in fabbrica. Agli scioperi la direzione risponde con la serrata dello stabilimento e con provvedimenti disciplinari tra cui il licenziamento in tronco del segretario della commissione interna Antonio Continisio. Di qui i 47 giorni di occupazione (27 maggio-11 luglio 1968) che impongono un tema inedito, il potere operaio che diventerà asse strategico di tutto il movimento in Italia fino alla istituzione dei consigli di fabbrica. La lotta unitaria – chiusa con un successo quasi completo (Continisio sarà comunque riassunto in un’altra azienda del gruppo Breda) – cementa il rapporto fra i tre sindacati confederali di categoria che daranno vita alla Flm, Federazione lavoratori metalmeccanici, e ottiene la mobilitazione per solidarietà delle altre fabbriche baresi nonché l’appoggio del movimento studentesco.  
     Circa 80 operai dell’Ati (Azienda tabacchi italiana) attuano uno sciopero a singhiozzo per ottenere aumenti salariali; per tutta risposta tre di loro vengono sospesi; dal 18 settembre lo stabilimento viene occupato per 43 giorni; infine i monopoli di Stato ne concedono la gestione a una cooperativa degli stessi lavoratori. All’Ucci (Unione cartaia e cartotecnica italiana) 34 dipendenti ricevono un preavviso di licenziamento: si decide l’occupazione della fabbrica, che dura 40 giorni a partire dal 13 ottobre, fino alla promessa di nuove commissioni che incrementeranno la produzione.  Durante le occupazioni gli operai si barricano dietro i cancelli, le famiglie portano generi di sussistenza, si attivano reti di solidarietà politiche e istituzionali, la «Gazzetta» e «l’Unità» scrivono cronache quotidiane. 
(P.M.)


«La Gazzetta del Mezzogiorno», 18 febbraio 2018

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