Sulle tracce dei criminali nazisti
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Mappa dell'asse Brema-Bari in Italia (dal romanzo Eva di I. Melchior) |
La
storia della via di fuga di criminali nazisti chiamata «asse BB, Brema-Bari» –
di cui abbiamo incominciato a parlare qui («La Gazzetta del Mezzogiorno», 9.7.2016) – ha l'aria di voler restare a lungo un enigma irrisolto. È esistito realmente
questo asse? Gli ex SS lo percorrevano davvero, per salpare da Bari verso il
Vicino Oriente? Non ebbe dubbi il “cacciatore di nazisti” Simon Wiesenthal, che
ne dà conto nei suoi due libri più significativi. Ma nello stesso Centro
Wiesenthal di Vienna non vi sono documenti a tale proposito. La letteratura
sulle «vie dei ratti» o ratlines, da
noi in larga parte esaminata (con l’aiuto di Giulia Santamaria e Silvia
Scaramuzzi), ignora la pista barese o la menziona con un calco ripetitivo della
notizia wiesenthaliana. Ciò vale anche per la sola opera di storiografia
pugliese – a nostra conoscenza – che vi accenni in nota, il libro di Francesco
Terzulli sul campo di concentramento di Alberobello (La casa rossa, Mursia, 2003). L’eccellente studio di Gerald
Steinacher
sulla «via segreta dei nazisti» (Rizzoli, 2010) certifica che lo snodo
austriaco-sudtirolese era il passaggio essenziale delle fughe – il che risponde
alla tesi di Wiesenthal – ma non sviluppa l’analisi sui “terminali” italiani,
eccetto il porto di Genova. Ciò vuol dire che i principali archivi accessibili
al pubblico non contengono riferimenti immediatamente riconoscibili, tali da
attirare l’interesse degli studiosi.
La
nostra sensazione è che Wiesenthal abbia accolto la notizia sull’«asse BB» da
una fonte dei servizi segreti alleati, o da agenti tedeschi convertiti alla
collaborazione con gli alleati; una fonte analoga, secondo il suo racconto, gli
rivelò l’esistenza della Odessa, la trama clandestina di protezione degli ex SS
che avrebbe sostituito il primitivo asse Brema-Bari con un’organizzazione più sofisticata.
Diversi storici contestano l’esistenza della Odessa dando più rilievo, nel salvataggio
dei criminali di guerra, al ruolo di organismi teoricamente neutrali come la
Croce Rossa e la Pontificia Commissione di Assistenza. Ma è innegabile la parte
attiva svolta dai nazisti stessi, comunque la si chiami. Ed è probabile – e, in
qualche caso, provato – che la rete nazista sia stata infiltrata e utilizzata
in vario modo dai servizi inglesi, americani, sovietici e del nascente Israele.
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Gli assassini sono fra noi di S. Wiesenthal |
Bari
era occupata dagli alleati fin dal settembre ’43: via via più lontana dal
fronte, era il luogo ideale dove sperimentare inedite convergenze per il
futuro, e fu d’altronde un grande imbuto verso cui precipitò il flusso di
profughi dall’Europa. Nel 1943-44 Ivan Babic, ufficiale della Legione Croata,
prende contatti nel capoluogo pugliese con i servizi alleati; il punto è
impedire la vittoria comunista in Iugoslavia, ma sono evidenti i nessi di
questa iniziativa con l’attivismo dei nazisti croati assistiti da strutture
ecclesiastiche, per assicurarsi una protezione nel dopoguerra. Quella croata è una
diramazione non certo piccola del salvataggio dei criminali nazifascisti.
Un’altra notizia vuole che Otto Skorzeny (il liberatore di Mussolini nonché
organizzatore, dopo il ’47, del soccorso ai propri camerati) abbia avuto a Bari
una sorta di “ufficio” della sua rete logistica. Lo sostiene tra gli altri lo
storico tedesco Gerhard Feldbauer (che però, da noi interpellato, non ha potuto
dirci di più). In questo caso la nostra impressione è che la fonte sia di
provenienza sovietica. Che il pezzo grosso SS Walter Rauff sia scappato da Bari
grazie ai buoni uffici dei servizi americani, lo afferma lo storico
statunitense David Talbot (ne abbiamo riferito nel precedente articolo). La via
di fuga attraverso l’Alto Adige in direzione del porto barese è stata attentamente
studiata, per quanto riguarda i profughi ebrei, da Eva Pfanzelter dell’università di Innsbruck,
che ci ha cortesemente scritto: «mi
sembrava ovvio che tutti – anche i nazisti criminali – usavano le stesse vie di
fuga, gli stessi “alberghi“ e organizzazioni che li assistevano». Infine va ricordata la
reclusione di numerosi militari tedeschi, austriaci e altoatesini (fra i quali
si mimetizzavano i criminali) nei campi di Taranto e di Alberobello, da dove ci
si poteva eclissare avendo il sostegno giusto.
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Giustizia, non vendetta di S. Wiesenthal |
Di
tali fatti, classificabili fra le emigrazioni a volte legali ma più spesso clandestine, non vi è
traccia, comprensibilmente, nei fondi della prefettura, della questura e del
comune di Bari, che abbiamo consultato con l’intelligente supporto del
personale dell’Archivio di Stato. Ma questa documentazione è per altri versi
uno straordinario racconto del contesto storico e sociale in cui le emigrazioni
avevano luogo. Dal ’45 al ’48 il capoluogo pugliese è movimentato dall’arrivo –
in certi momenti pressoché quotidiano – di profughi, reduci, ex internati, migranti.
Le strutture di accoglienza sono improvvisate, accanto all’impegno solidale di
alcuni si registrano reazioni negative e ostili di molti altri. Vi sono liste
di rifugiati di varie nazionalità assistiti alla meno peggio; fra questi
figurano austriaci e iugoslavi dai nomi di foggia germanica. L’infiltrazione
con falsi documenti non sarebbe stata per nulla difficile. Alcuni profughi ottengono
in assegnazione appartamenti requisiti dagli angloamericani, i cui proprietari
tentano di recuperarne la disponibilità accusando gli assegnatari di svolgervi
attività illecite. Chi sa che uno di questi alloggi – per esempio – non abbia ospitato
una base logistica come quella attribuita in seguito a Skorzeny. C’è chi sta analizzando
le carte relative agli imbarchi da Bari per l’esodo ebraico verso la Palestina;
non si può escludere che spuntino indizi di presenze “anomale” riferibili alla
rete nazista. È importante che il tema si faccia strada come indice di
attenzione in una pluralità di indagini diversificate.
Pasquale Martino
«La Gazzetta del
Mezzogiorno», 20 gennaio 2017