giovedì 26 gennaio 2017

Giuseppe Zannini

Il partigiano ritrovato.
Dalla Bari di Aldo Moro al martirio di Mauthausen


Questa storia viene raccontata qui per la prima volta. 
29 marzo 1946, l’ufficio per la Lombardia del Ministero dell’Assistenza Postbellica scrive al sindaco di Bari, riferendo quanto affermato da quattro reduci del campo di concentramento di Mauthausen; fra questi figurano Gianfranco Maris, futuro presidente dell’Aned (l’associazione ex deportati), l’architetto Barbiano di Belgioioso e il designer Germano Facetti. Essi dichiarano che a metà maggio del ‘45, pochi giorni dopo la liberazione del campo, vi è morto «per sfinimento» il barese dott. Giuseppe Zannini. L’ufficio ministeriale chiede che si rintraccino i familiari nel capoluogo pugliese, per dare loro notizia del decesso e per verificare l’informazione. Una coppia di zii consegna al comune una nota poi trasmessa al ministero. Vi si comunica con brevi cenni quanto è a conoscenza dei familiari: Zannini è nato a Bari il 2 febbraio 1917, è stato «partigiano e deportato politico da Bologna», internato nel lager austriaco; si chiede, a nome della madre, di sapere ove sia tumulata la salma. Il carteggio è custodito nell’Archivio di Stato di Bari. Il Ministero dell’Assistenza Postbellica era stato creato dal governo di unità nazionale per coordinare gli immani sforzi di ricerca e assistenza dei prigionieri, internati, dispersi e profughi italiani in un Paese sconvolto dalla guerra.
Questa di Giuseppe Zannini è la vicenda di un «triangolo rosso», da rievocare giustamente in prossimità di quel giorno della memoria che ricorda anche «gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte» (art. 1 legge 211). Notizia del giovane antifascista pugliese è conservata nel capoluogo emiliano, presso l’Istituzione Bologna Musei; schede su di lui sono comprese nel Dizionario Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese e nella banca dati dell’Aned. Ulteriori e sparse reminiscenze ampliano un quadro che resta comunque lacunoso. Lo presentiamo nei tratti essenziali.  
Di famiglia semplice, Zannini si laurea in scienze politiche a pieni voti. Milita nella Fuci, l’associazione degli studenti cattolici, frequenta Aldo Moro facendo propri i nuovi sentimenti antifascisti che si affermano nei tragici anni della guerra. È figlio unico e orfano di padre. Impiegato presso il Credito Italiano, nell’agosto 1943 – durante i 45 giorni di Badoglio – viene trasferito a Bologna, prendendovi alloggio in compagnia della madre Adele Lubrano. E sarà proprio Adele a lasciare una toccante testimonianza sull’impegno del figlio. Dopo l’8 settembre Giuseppe si trova nel cuore della guerra civile. Entra subito nella Resistenza, stimolando la formazione politica e la partecipazione del movimento cattolico alla lotta armata. La sua personalità è quella di un «leader naturale»: lo afferma il sociologo Achille Ardigò, che è al suo fianco in quel momento (con Angelo Salizzoni, futuro costituente, parlamentare democristiano e braccio destro di Moro). Incontra studenti e operai, sollecita il clero antifascista, propugna l’adesione al CLN come guida della Resistenza. È stato riconosciuto combattente della 6a Brigata «Giacomo», collegata alle formazioni partigiane cattoliche Stelle Verdi e confluita agli inizi del ’45 sotto il comando unitario della Divisione Bologna del Corpo Volontari della Libertà. 
Ma Giuseppe è arrestato il 21 maggio ’44. Qui si innesta un’altra testimonianza, depositata presso l’Istituto storico della Resistenza in Toscana: quella di Matilde Camaiori (1920-2007), di Pisa, fidanzata di Zannini. La ragazza si era recata pochi giorni prima a Bologna per incontrare Giuseppe. Viene arrestata con lui; entrambi sono accusati di aver progettato un attentato dinamitardo alla caserma tedesca. Nella brutale retata delle SS vengono coinvolti anche i Servi di Maria del convento vicino alla caserma, ove Zannini era ospitato avendo la casa inagibile per sinistro. Matilde è rilasciata dopo qualche giorno, diventerà una figura stimata di antifascista e di docente. Giuseppe è trattenuto; ha resistito agli interrogatori, viene mandato nel lager di Fossoli in provincia di Modena: un campo di transito, dove gli è impedito di vedere la madre che vuole visitarlo, e dove sfuggirà alla fucilazione di 68 partigiani per rappresaglia (luglio ’44), ma soltanto per continuare la funesta odissea che lo porterà prima a Bolzano e infine a Mauthausen fra gli Schutzhaeftlinge (prigionieri «per motivi di sicurezza»: uno dei tipici eufemismi della burocrazia nazionalsocialista). È con lui un altro eminente triangolo rosso, don Paolo Liggeri, il prete di Milano che pubblicherà un libro sulla propria esperienza di deportato e assisterà al calvario di Zannini nel sottocampo di Gusen I. E chissà se il giovane barese ebbe modo di incontrare un internato più anziano, il grande conterraneo Alfredo Violante, venuto anch’egli da Fossoli e gasato a Mauthausen il 24 aprile ’45. In nove mesi di lager gli aguzzini ammazzano ferocemente Giuseppe di fatica e di tormenti. La vita lo abbandona a 28 anni poco dopo l’arrivo dell’esercito americano. La data approssimativa è il 15 maggio ’45.
La sua città e la regione dovrebbero ricordarlo degnamente, farne conoscere la storia nelle scuole. Nonostante il sollecito ausilio dell’assessorato ai Servizi demografici di Bari, non abbiamo finora rintracciato eventuali parenti del martire antifascista. Grazie all’archivio dell’Università, abbiamo trovato il solo ritratto  fotografico disponibile. La ricerca continuerà; chi ha elementi per aiutarci, scriva al nostro indirizzo: martinopas@virgilio.it.

Pasquale Martino     


«La Gazzetta del Mezzogiorno», 26 gennaio 2017

Immagini: In alto, il solo ritratto fotografico esistente di Zannini (Archivio Uniba). 
In basso, un disegno (probabile autoritratto) di Germano Facetti, testimone della morte di Zannini nel lager di Gusen I.  

La pagina originale di questo articolo, con la fotografia, è allegata alla scheda su Giuseppe Zannini nel sito Storia e Memoria di Bologna, dell'Istituzione Bologna Musei.