Una
sfida per la ricerca e la conoscenza storica
Trentanove
anni ci separano da quel capitolo cruciale della storia di Bari che fu
l’assassinio di Benedetto Petrone (28 novembre 1977). Un quarantennio di trasmissione
della memoria, nelle forme variegate della testimonianza, della elaborazione culturale,
del documento istituzionale. La popolare icona – il ragazzo sorridente e fiero con la bandana – nasce
immediatamente dopo l’omicidio, e così nei giorni successivi compaiono alcuni
slogan scritti sui muri – uno fra tutti: «Benny vive» – che attraverseranno il
tempo pressoché indenni, riprodotti su fotografie e manifesti con variazioni al
tema. Nonostante il tentativo avverso di accreditare uno stereotipo denigratorio
– il “teppistello barivecchiano”, lo “scontro fra bande” – la memoria di
Benedetto e di quei giorni di ribellione popolare è diventata epigrafe, libro, nome
di una via, canzone, film, mostra fotografica, geografia di luoghi della storia
cittadina.
Eppure,
sul piano della conoscenza storica c’è ancora molto da fare. Quest’anno si
colma una lacuna: un convegno ricostruirà il modo in cui gli organi di informazione
dettero conto del delitto e delle memorabili giornate che lo seguirono a
partire dalla «Gazzetta del Mezzogiorno», quotidiano nazionale allora pressoché
unico in Puglia. Ma vi sono almeno altre
due questioni che reclamano un serio e nuovo lavoro storiografico. La prima concerne
l’intreccio fra la peculiarità locale e la dimensione nazionale nella dinamica
che determinò l’assassinio. Che peso ebbe l’intento di colpire particolarmente
Bari Vecchia, e in essa chi si batteva per obiettivi capaci di mettere in
discussione una egemonia sociale e un modello urbanistico dominante? E quanto,
invece, prevalse lo sguardo verso una strategia nazionale, cioè il ruolo che il
neofascismo pugliese ambiva a svolgere in un disegno complessivo di
destabilizzazione del Paese? Che tracce restano della genesi, degli ideatori,
dei mandanti diretti di un crimine così traumatico? Domande cui è sottesa in
qualche modo una intuizione da verificare: che la tragica morte di Petrone
abbia riaperto in un sussulto le ferite di una storia antifascista della città,
intessuta di episodi rilevanti e, insieme, abbia rappresentato una vicenda
paradigmatica tale da proiettare Bari nella grande storia nazionale. Tema
arduo, degno di uno studio da condursi con gli strumenti adeguati della ricerca.
Un’altra
indagine, collegata agli interrogativi precedenti ma contraddistinta da una corposa
specificità, dovrebbe riguardare la rilettura delle carte del processo. L’esito
giudiziario (che, ricordiamolo, sanzionò un solo responsabile dell’omicidio) diventò
uno snodo discriminante della normalizzazione, per cui il racconto ufficiale poté
ricondurre la vicenda al rango di una incresciosa parentesi che aveva
interrotto accidentalmente la routine di un città tranquilla e innocente; ma
il dibattimento fu anche l ’ambito in cui si addensò una mole di documenti, di resoconti
investigativi, di testimonianze, di contraddizioni rimaste inspiegate, che nei
decenni seguenti non hanno mai costituito un oggetto di studio. E invece
sarebbe necessario scandagliare un archivio così ricco, specialmente per
tentare di far luce sulla operosa retrovia di cui l’omicidio poté fruire, prima
e dopo.
Insomma,
la storiografia dovrebbe entrare in campo con tutta la perizia scientifica e la
curiosità di cui gli storici devono dar prova; dovrebbe farlo con mente “giovane”: con uno sguardo che non
sia quello consumato del testimone o di chi è sopraffatto dalla nostalgia, per
cui quella pagina è già cristallizzata nel giudizio stratificatosi attraverso gli
anni. Ma di una simile tendenza di studi non si intravede ancora il segno: sebbene,
paradossalmente, permanga e si arricchisca di anno in anno una narrazione epica
che piace ai giovani, alimentata peraltro dalla freschezza di documenti
fotografici inediti, sapientemente valorizzati; ed è riemersa perfino una grande tela del
compianto Nicola Dentamaro, che, dipinta all’epoca in onore del ragazzo di Bari
Vecchia, ha peregrinato trovando accoglienza in diverse sedi della sinistra
barese. Ma questa è «materia per la storia», non è ancora storia. Un
dipartimento universitario – è il caso di domandarsi – , un istituto di ricerca
storica, una istituzione pubblica hanno l’intelligenza e la volontà di promuovere
ricerche come quelle qui proposte? Coraggiosi ricercatori indipendenti possono
spendersi su questo terreno?
La
nostra è una conclusione aperta, come aperto è il percorso di Benedetto
Petrone, memoria e futuro della città.
Pasquale Martino