venerdì 4 novembre 2016

H.-E. Kaminski


Raccontò Barcellona e poi scomparve
Lo scrittore tedesco di cui è incerta la sorte


Vanno per la maggiore le storie di libri scomparsi, ma a volte a sparire sono gli scrittori. Un caso letterario del 2016 è la riedizione del bel romanzo tedesco Fratelli di sangue del 1932, dato al macero dai nazisti, del cui autore semisconosciuto, Ernst Haffner, è ignota la sorte. Alla stessa temperie ci riconduce la vicenda di uno scrittore tedesco piuttosto noto, che esattamente 80 anni fa – alla fine del 1936 – realizzò un reportage sulla guerra di Spagna diventato un libro famoso: Quelli di Barcellona.
Hanss-Erich Kaminski nacque nel 1899 da una famiglia di commercianti ebrei; giornalista e militante socialdemocratico, colse con tempestività il sorgere della minaccia fascista in Europa. Fu tra i primi a scrivere sull’Italia mussoliniana: il suo libro Fascismus in Italien (Berlino 1925) era tuttavia ancora ottimista sulla possibilità che il Belpaese detronizzasse quel tiranno di cui l’autore, al pari di altri osservatori stranieri, evidenziava i tratti buffoneschi. Kaminski, che parlava correntemente italiano, francese e spagnolo, fu in corrispondenza con Piero Gobetti (una sua lettera del 29.1.’25 è conservata nell’archivio dell’intellettuale torinese) e nel ’32 tentò vanamente di portare in Germania l’esule Luigi Sturzo, per dissuadere il Zentrum cattolico dal favorire l’ascesa di Hitler. Attivo sostenitore del fronte unito antifascista, guardava con spirito dialogico alle tendenze politiche radicali – socialista di sinistra, comunista, anarchica – pur comprendendo i difetti di ognuna di esse. Al comunismo staliniano rivolgeva critiche che somigliano a quelle di Trotsky. Nel ’33, quando il nazismo va al potere, H.E. Kaminski emigra a Parigi, dove sostiene la politica del Fronte popolare e si unisce al «circolo di Lutetia» composto da intellettuali tedeschi di opposizione (fra cui Heinrich Mann, Klaus Mann, Lion Feuchtwanger). Continua a lavorare come giornalista: fra il settembre ’36 e il gennaio ’37 è in Catalogna, per raccontare la guerra civile spagnola scoppiata pochi mesi prima e, con essa, l’epopea della rivoluzione sociale e dell’utopia anarchica. Barcellona è infatti la capitale del grande movimento anarchico spagnolo, pilastro indispensabile della repubblica antifascista al punto da diventare necessariamente forza di governo con quattro ministri nel gabinetto di Largo Caballero: e Kaminski ne intervista due, Garcia Oliver e Federica Montseny. Ma gli anarchici vogliono soprattutto la rivoluzione operaia e contadina contro la vecchia Spagna feudale e clericale: ed è questo straordinario momento di partecipazione popolare l’oggetto del racconto che vedrà la luce a Parigi nel maggio successivo col titolo Ceux de Barcelone; il libro sarà pubblicato in Italia dopo il fascismo, da Mondadori nel 1950 e, nel 1966, dal Saggiatore in una fortunata collana economica. Fra gli episodi salienti, il funerale del leggendario comandante Buenaventura Durruti, il cui resoconto sarà ripreso da H. M. Enzesberger (La breve estate dell’anarchia, 1972), e l’incontro con Emma Goldman, icona del femminismo e del movimento anarchico internazionale. In Quelli di Barcellona – che sta alla pari con i libri di Orwell e di Bernanos – non si tacciono le atrocità compiute da ambo le parti, pur se nel tragico bilancio «gli antifascisti restano infinitamente più clementi e umani dei reazionari». È proprio questo il paradosso rilevato da Kaminski: essere contro la guerra e vedersi costretti a fare la guerra. «La rivoluzione non è più la leggiadra giovinetta che sorride da un manifesto al passante. La rivoluzione è divenuta un soldato dalla barba incolta, con l’elmetto, con le bombe alla cintura». Il presentimento di una nuova guerra mondiale chiude cupamente il reportage di Kaminski. Che, negli anni seguenti, pubblicherà una biografia di Bakunin e una confutazione del libello antisemita di Céline Bagatelle per un massacro. Finché la guerra da lui tanto temuta lo sommergerà.
Nel ’39, dopo lo scoppio del conflitto mondiale, lo scrittore e la compagna Anita Karfunkel vengono internati dai francesi in campi di prigionia, in quanto tedeschi. Ed è l’ultima notizia certa. Che cosa avvenne poi? Secondo la quarta di copertina del Saggiatore, Kaminski «scomparve nel 1940 durante l’occupazione nazista». Wikipedia francese e spagnola (la scheda tedesca non esiste!) e Anarcopedia affermano invece che la coppia riuscì a fuggire in Argentina, dove lo scrittore sarebbe morto nel ’63. È tristemente indicativo che le ricerche biografiche scarseggino. Ce n’è anzi una sola, a quanto risulta a noi e allo storico tedesco Gerhard Feldbauer, col quale ci siamo confrontati con il contributo di Nicola Signorile: è un saggio molto datato della ricercatrice francese Sabine Bétoulaud, ripubblicato nel 1989 con una nota di Wolfgang Haug. La Bétoulaud formula diverse ipotesi: che Kaminski e la Karfunkel siano transitati direttamente dai lager francesi a quelli nazisti, dove la loro sorte si sarebbe compiuta; o che si siano rifugiati a Lisbona e da qui in America. Comunque siano andate le cose, vale una considerazione: a distanza di più di 70 anni, il gorgo nero della Seconda guerra mondiale e dei suoi olocausti non cessa di rilasciare indizi sulla distruzione di un’infinità spaventosa di individui, inghiottiti nel nulla, dispersi o distrutti con le persone care, i libri, i poveri averi. Nell’èra dell’informazione globale, del documento archiviato e schedato, si può ignorare il destino e perfino l’immagine fotografica di un testimone significativo del secolo scorso.      

Pasquale Martino    

«La Gazzetta del Mezzogiorno», 3 novembre 2016