Raccontò Barcellona e poi scomparve
Lo scrittore tedesco di cui è incerta la sorte
Vanno per la maggiore le storie di libri scomparsi,
ma a volte a sparire sono gli scrittori. Un caso letterario del 2016 è la
riedizione del bel romanzo tedesco Fratelli
di sangue del 1932, dato al macero dai nazisti, del cui autore
semisconosciuto, Ernst Haffner, è ignota la sorte. Alla stessa temperie ci
riconduce la vicenda di uno scrittore tedesco piuttosto noto, che esattamente
80 anni fa – alla fine del 1936 – realizzò un reportage sulla guerra di Spagna
diventato un libro famoso: Quelli di
Barcellona.
Hanss-Erich Kaminski nacque nel 1899 da una
famiglia di commercianti ebrei; giornalista e militante socialdemocratico,
colse con tempestività il sorgere della minaccia fascista in Europa. Fu tra i
primi a scrivere sull’Italia mussoliniana: il suo libro Fascismus in Italien (Berlino 1925) era tuttavia ancora ottimista
sulla possibilità che il Belpaese detronizzasse quel tiranno di cui l’autore,
al pari di altri osservatori stranieri, evidenziava i tratti buffoneschi. Kaminski,
che parlava correntemente italiano, francese e spagnolo, fu in corrispondenza
con Piero Gobetti (una sua lettera del 29.1.’25 è conservata nell’archivio dell’intellettuale
torinese) e nel ’32 tentò vanamente di portare in Germania l’esule Luigi
Sturzo, per dissuadere il Zentrum
cattolico dal favorire l’ascesa di Hitler. Attivo sostenitore del fronte unito
antifascista, guardava con spirito dialogico alle tendenze politiche radicali –
socialista di sinistra, comunista, anarchica – pur comprendendo i difetti di ognuna
di esse. Al comunismo staliniano rivolgeva critiche che somigliano a quelle di
Trotsky. Nel ’33, quando il nazismo va al potere, H.E. Kaminski emigra a Parigi,
dove sostiene la politica del Fronte popolare e si unisce al «circolo di
Lutetia» composto da intellettuali tedeschi di opposizione (fra cui Heinrich Mann,
Klaus Mann, Lion Feuchtwanger). Continua a lavorare come giornalista: fra il
settembre ’36 e il gennaio ’37 è in Catalogna, per raccontare la guerra civile
spagnola scoppiata pochi mesi prima e, con essa, l’epopea della rivoluzione
sociale e dell’utopia anarchica. Barcellona è infatti la capitale del grande
movimento anarchico spagnolo, pilastro indispensabile della repubblica
antifascista al punto da diventare necessariamente forza di governo con quattro
ministri nel gabinetto di Largo Caballero: e Kaminski ne intervista due, Garcia
Oliver e Federica Montseny. Ma gli anarchici vogliono soprattutto la
rivoluzione operaia e contadina contro la vecchia Spagna feudale e clericale:
ed è questo straordinario momento di partecipazione popolare l’oggetto del
racconto che vedrà la luce a Parigi nel maggio successivo col titolo Ceux de Barcelone; il libro sarà
pubblicato in Italia dopo il fascismo, da Mondadori nel 1950 e, nel 1966, dal
Saggiatore in una fortunata collana economica. Fra gli episodi salienti, il
funerale del leggendario comandante Buenaventura Durruti, il cui resoconto sarà
ripreso da H. M. Enzesberger (La breve
estate dell’anarchia, 1972), e l’incontro con Emma Goldman, icona del
femminismo e del movimento anarchico internazionale. In Quelli di Barcellona – che sta alla pari con i libri di Orwell e di
Bernanos – non si tacciono le atrocità compiute da ambo le parti, pur se nel
tragico bilancio «gli antifascisti restano infinitamente più clementi e umani
dei reazionari». È proprio questo il paradosso rilevato da Kaminski: essere
contro la guerra e vedersi costretti a fare la guerra. «La rivoluzione non è
più la leggiadra giovinetta che sorride da un manifesto al passante. La
rivoluzione è divenuta un soldato dalla barba incolta, con l’elmetto, con le
bombe alla cintura». Il presentimento di una nuova guerra mondiale chiude
cupamente il reportage di Kaminski. Che, negli anni seguenti, pubblicherà una
biografia di Bakunin e una confutazione del libello antisemita di Céline Bagatelle per un massacro. Finché la
guerra da lui tanto temuta lo sommergerà.
Nel ’39, dopo lo scoppio del conflitto
mondiale, lo scrittore e la compagna Anita Karfunkel vengono internati dai francesi in campi di prigionia, in
quanto tedeschi. Ed è l’ultima notizia certa. Che cosa avvenne poi? Secondo la
quarta di copertina del Saggiatore, Kaminski «scomparve nel 1940 durante
l’occupazione nazista». Wikipedia francese e spagnola (la scheda tedesca non
esiste!) e Anarcopedia affermano invece che la coppia riuscì a fuggire in
Argentina, dove lo scrittore sarebbe morto nel ’63. È tristemente indicativo
che le ricerche biografiche scarseggino. Ce n’è anzi una sola, a quanto risulta
a noi e allo storico tedesco Gerhard Feldbauer, col quale ci siamo confrontati con il
contributo di Nicola Signorile: è un saggio molto datato della ricercatrice
francese Sabine Bétoulaud, ripubblicato nel 1989 con una nota di Wolfgang Haug.
La Bétoulaud formula diverse ipotesi: che Kaminski e la Karfunkel siano transitati
direttamente dai lager francesi a quelli nazisti, dove la loro sorte si sarebbe
compiuta; o che si siano rifugiati a Lisbona e da qui in America. Comunque
siano andate le cose, vale una considerazione: a distanza di più di 70 anni, il gorgo nero della Seconda
guerra mondiale e dei suoi olocausti non cessa di rilasciare indizi sulla
distruzione di un’infinità spaventosa di individui, inghiottiti nel nulla,
dispersi o distrutti con le persone care, i libri, i poveri averi. Nell’èra
dell’informazione globale, del documento archiviato e schedato, si può ignorare
il destino e perfino l’immagine fotografica di un testimone significativo del
secolo scorso.
Pasquale
Martino
«La Gazzetta del Mezzogiorno», 3 novembre
2016