Il giovane favoloso di una Spagna martoriata
Storia e morte di un grande poeta senza tomba
«La Spagna il cuore antico seppellisce e calpesta, / il suo cuore ferito di
penisola errante, / e bisogna salvarla, con le mani e coi denti». Così scriveva
profeticamente Federico Garcia Lorca in Mariana
Pineda (1927), nove anni prima di essere ucciso come la sua eroina e
conterranea (Mariana de Pineda Muñoz, la nobildonna liberale giustiziata a
Granada nel 1831). La Spagna da «salvare con le mani e coi denti» diventerà per
il poeta andaluso quella dell’estate 1936, appena precipitata nell’incubo della
guerra civile. Una guerra “senza prigionieri” scatenata a luglio dalle forze
armate del generale Francisco Franco, dalla destra monarchica, falangista e
fascista, contro la giovane repubblica spagnola e contro il governo legittimo
del Fronte Popolare che aveva vinto le elezioni a febbraio. Le violenze degli
anarchici e delle sinistre non erano che un pretesto per inaugurare la lunga limpieza, la cruenta «pulizia»
antirepubblicana messa in atto dai franchisti dovunque presero subito il
potere. E Garcia Lorca, a 38 anni, fu una delle prime e più illustri vittime.
Tratto in arresto il 16 agosto, venne fucilato forse il 18 (data dubbia, come
si vedrà più avanti). Sono dunque passati 80 anni dalla morte, sulle cui
circostanze il vittorioso regime franchista stese una coltre pesante che solo
parecchi decenni dopo è stata parzialmente sollevata. La prima edizione delle
opere complete (1949) uscì a Buenos Aires, non in patria.
Garcia Lorca con Salvador Dalì |
Sarebbe fuorviante alludere al poeta come alla vittima occasionale e magari
ingenua di una dolorosa fatalità. L’assassinio di Lorca ha una logica: quella
appunto di un fuoco epuratore che fa tabula rasa del rinnovamento progressista
e rivoluzionario, travolgendo anche una giovane generazione di artisti. La
«generazione del ’27», magnificamente impersonata da quei ventenni che si
riunirono a Madrid nella Residencia de Estudiantes: Garcia Lorca e Salvador
Dalì, protagonisti di un’amicizia appassionata, il regista Luis Buñuel, il poeta
Rafael Alberti. Lorca e Alberti: i due enfants
prodiges – tali li dice Vittorio Bodini che li ha tradotti entrambi per la
sua memorabile Antologia dei poeti
surrealisti spagnoli (Einaudi, 1963). E qui ci sia consentito un ricordo
personale: quella volta che Rafael Alberti, esule, strinse la mano nella
libreria Adriatica a Bari ad alcuni di noi giovani, che gli furono presentati
enfaticamente come «nuestros compañeros en la lucha».
Con il surrealismo – l’estrema sfida lanciata dalle avanguardie artistiche
– e con le connotazioni ideologiche e politiche dei surrealisti francesi, i giovani
della Residencia fanno i conti fino in fondo; anche se Lorca resta radicato nella
cultura andalusa e gitana che si esprime in una raccolta poetica di immediato successo,
il Romancero gitano. Ma nel ’29, a
New York, narra in versi stravolti la metropoli della modernità e delle
disuguaglianze, realizzando il suo capolavoro surrealista. Tornato in patria, saluta
la nascita della repubblica democratica (1931) prodigandosi con fervore nel
progetto di educazione pubblica della Barraca,
un gruppo di teatro universitario itinerante che fa conoscere al popolo i
classici della drammaturgia spagnola. Il teatro è l’ultimo grande capitolo
della sua arte creativa, che ripropone – è ancora Bodini a rilevarlo – il
paradigma della tragedia greca al capo opposto del Mediterraneo e con
personaggi del mondo popolare.
Garcia Lorca con Rafael Alberti |
Ha appena finito di
scrivere La casa di Bernarda Alba
quando i generali golpisti attaccano la repubblica. Soltanto Dalì, fra i
giovani artisti, rifiuta di difenderla e finirà con l’adattarsi al franchismo.
Federico torna nella sua città natale, dove crede, sbagliando, di essere al
sicuro. «Sappiate che il delitto fu a Granada!» scriverà il vecchio poeta
Antonio Machado: «povera Granada – nella sua Granada…». È nota la catena di
comando – dai vertici locali della Falange fino ai singoli esecutori – che portò la escuadra negra (sorta di battaglione
della morte) a catturare il poeta e a liquidarlo; anche se non è chiaro chi
prese la decisione finale di ucciderlo e se su di essa influirono vecchi rancori
e odio omofobo. Il giorno preciso è ignoto: alcune biografie indicano il 27 agosto,
altre più verosimilmente il 19 o il 18 (quest’ultima è la data che si legge nel
sito della Fundación Garcia Lorca istituita nel 1984 dalla sorella del poeta,
Isabel), e lo studio più recente, del 2011, conclude che egli fu assassinato le
notte successiva all’arresto, alle 4 del 17 agosto. Caddero con lui –
emblematica compagnia – due banderilleros
iscritti al sindacato anarchico CNT e un maestro di idee liberali. I loro resti
giacciono tuttora in una fossa comune che, nonostante i ripetuti tentativi, non
è mai stata rinvenuta. Erano giorni di intenso “lavoro” per gli squadroni neri:
il reporter americano Robert Neville raccontò sull’«Herald Tribune» di aver
visto, con un gruppo di turisti in visita all’Alhambra, passare camion
presidiati da militari e carichi di civili, e averli poi visti tornare vuoti.
Lo
storico Paul Preston, assiduo studioso di quello che chiama l’«olocausto
spagnolo» (2011) ha calcolato che, oltre a 300.000 morti in combattimento, vi
furono in tutto il paese 200.000 vittime di esecuzioni extragiudiziali. Hugh
Thomas (1961) ne aveva contate 100.000, cui aggiungeva però 200.000 morti per
fame e malattia nel corso della guerra, aprendo così lo scenario dei costi
sociali spaventosi di un conflitto che prefigurava l’imminente carneficina
mondiale. Drammatiche aporie della storia del Novecento, epoca di rigorosi
studi scientifici, condotti con metodi tecnologici: molte sono le fosse comuni franchiste
risapute, raramente cercate e mai trovate; del massimo poeta spagnolo del
secolo è incerta la data di morte, non c’è una tomba su cui deporre un fiore.
Pasquale Martino
«La Gazzetta del Mezzogiorno», 17 agosto 2016