80 anni fa, dieci prima della Costituente
La guerra fascista, "moderna" e globale
Obice italiano e reparto di artiglieria in Etiopia |
Celebriamo
a giusta ragione il 70° della repubblica e della Costituente, ma facciamo
fatica a pensare, nonché a ricordare, che cos’era l’Italia soltanto dieci anni
prima: ottanta anni fa, nel 1936, a monte di un decennio terribile. Eppure
senza questa memoria non capiremmo davvero il prezzo pagato per la libertà.
Quell’anno infatti l’Italia monarchica e fascista – che registrò allora il
massimo consenso al regime (lo ha spiegato Renzo De Felice) – dette il suo fattivo
contributo alla spinta verso la Seconda guerra mondiale.
Il
9 maggio, di fronte a una «adunata oceanica», Mussolini proclama la nascita
dell’impero. È la vittoria sull’Etiopia: ultima e anacronistica impresa
coloniale di una potenza europea, realizzata quando il colonialismo occidentale
è in declino e si intravedono ormai quei processi di decolonizzazione che prenderanno
piede dopo il ’45. Ma quel conflitto è altresì straordinariamente nuovo e
“moderno”: per l’organizzazione logistica meticolosa, per la massiccia mobilitazione
(quasi mezzo milione di uomini) e per l’uso spietato della superiorità tecnica
sull’avversario (unità motorizzate, carri armati, artiglieria, aviazione, gas letali).
Fu «la prima guerra scatenata da un regime fascista europeo», e fu «un evento
di portata globale» (Nicola Labanca, La
guerra d’Etiopia, Il Mulino, 2015). Una guerra “industriale” – con una sconvolgente
sproporzione di caduti fra le due parti
– e un esperimento del grande massacro a venire. Un anno dopo Walter Benjamin
concludeva il suo saggio più famoso citando proprio la conquista dell’Etiopia
come esemplare riprova della tendenza dei regimi fascisti a fondare il consenso
su un’estetica della guerra. Il futurismo di Marinetti incontrava la demagogia
mussoliniana del popolo “proletario” che finalmente conquista lo spazio a lui
finora negato. Senza contare la svolta razzista che perverrà alle leggi del
’38. Il paradosso è che lo sforzo immane del conflitto abissino, oltre a
dissestare il bilancio dello Stato per generazioni (che continueranno a pagare
le accise sulla benzina per quella spesa), consegnerà un’Italia militarmente
sfibrata e inefficiente all’irresponsabile decisione di condividere la sfida hitleriana.
E la prima a cadere sarà proprio la colonia etiope, snervata da indomite
formazioni partigiane e, nel 1941, dissolta dall’avanzata inglese.
Manifesto spagnolo contro l'intervento italiano |
Ma
intanto, nel ’36, il duce si sente un protagonista agli occhi del mondo ed è
pronto per un’altra avventura bellica: l’appoggio all’insurrezione franchista
in Spagna, due mesi dopo l’ingresso di Badoglio ad Addis Abeba. Già a fine
luglio l’aviazione italiana – l’arma considerata “fascista” per eccellenza – protegge
il trasferimento delle truppe di Franco, che appoggerà costantemente fino a
partecipare con l’aviazione tedesca al bombardamento terroristico di Guernica
nel ’37. Senza l’aiuto italiano dei primi mesi, è dubbio che la sedizione
militare avrebbe attecchito. Nel corso del ’36 arrivano dall’Italia anche le
truppe di terra: composte da “volontari” che non portano le stellette, in
omaggio alla finzione di neutralità. Un corpo di spedizione di 50.000 uomini
che però finirà sconfitto a Guadalajara, nel marzo ’37.
L’Europa
corre ormai verso la guerra e il conflitto spagnolo ne è il banco di prova.
L’Italia è stata la prima a destabilizzare la Società delle Nazioni e
l’equilibrio precario della pace di Versailles. Nel ‘36 Hitler, emulo di
Mussolini, manda l’esercito a occupare la Renania, stracciando il trattato di
pace, e minaccia l’Austria con il tacito avallo del duce, che è disposto a
cedere molto all’accordo col Terzo Reich. Si arriva, il 25 ottobre, alla
nascita dell’«asse» Roma-Berlino, cui si affiancherà a novembre il patto
anti-Comintern fra Germania e Giappone (la potenza militarista che nel ’31,
invadendo la Manciuria, ha posto un altro tassello della futura guerra
globale). Infatti l’unificazione tra le forze nazifasciste mondiali avviene
sotto il segno della lotta al principale nemico: il bolscevismo, di cui le
democrazie capitalistiche sarebbero – secondo i fascisti – oppositrici pusillanimi
se non addirittura complici. Queste sono le basi di una guerra civile
internazionale, che sembra ormai in pieno svolgimento: il fronte popolare delle
sinistre vince le elezioni del ’36 in Francia oltre che in Spagna, e ad agosto
il VII congresso del Comintern propone il fronte popolare antifascista. Ma le
democrazie occidentali non aiutano la repubblica spagnola e dialogano con
Mussolini e Hitler, nella colpevole presunzione di giocarli concedendo loro
qualcosa e con la speranza che essi scarichino la loro aggressività contro la
Russia sovietica.
Combattenti antifascisti in Spagna: al centro Ilio Barontini con Luigi Longo alla sua destra |
Per converso, l’antifascismo italiano si getta nel cimento,
vincendo la demoralizzazione causata tra le sue file dal successo africano del
regime (si pensi al disorientamento che traspare nel ’36 dall’infelice appello
comunista ai «fratelli in camicia nera»). Molti esuli italiani si arruolano
subito nelle brigate internazionali, formatesi per combattere contro i
franchisti, seguendo l’intuizione ben espressa dallo slogan del leader di
Giustizia e Libertà, Carlo Rosselli: «Oggi in Spagna, domani in Italia». Fra
questi c’è Ilio Barontini, il “garibaldino” comunista che due anni dopo sarà
con alcuni compagni in Etiopia a dar man forte alla guerriglia e poi prenderà
parte alla Resistenza italiana. A uomini e a donne di tal fatta – inclusi
quelli che, anonimi, resistettero in patria con la muta testimonianza e con
qualche forma di disobbedienza – si deve se l’Italia del 1936 non fu soltanto quella
delle imprese belliche fasciste, della retorica antipacifista e degli osannanti
raduni di massa; se, in quell’anno sanguinoso, furono comunque preservati e
difesi un pensiero e una moralità che nel ’46 si sarebbero tradotti in un fatto:
la nostra pur difettosa democrazia.
Pasquale Martino
«La
Gazzetta del Mezzogiorno», 4 giugno 2016