La via di fuga che passava per Bari
L'imboccatura del porto di Bari, veduta serale |
Per
due anni dopo la Seconda guerra mondiale, nel ’45-47, Il porto di Bari fu uno snodo
cruciale nella fuga dei criminali nazisti dall’Europa. Ad affermarlo autorevolmente
è Simon Wiesenthal, il cacciatore di nazisti, nel suo libro più noto, Gli assassini sono fra noi (1967). In
proposito, l’uomo che fece catturare Adolf Eichmann è estremamente preciso:
esisteva una linea di fuga principale, denominata in codice «asseB-B, Brema-Bari»,
che raccoglieva i fuggiaschi dalle varie città tedesche e li convogliava verso
Memmingen in Baviera; da qui la «linea dei ratti» (Rattenlinie in tedesco, Ratline
in inglese, così definita dagli anglo-americani) si volgeva a Innsbruck in
Austria, quindi penetrava in Italia attraverso il Brennero, percorrendo infine
la costa adriatica sino a Bari. Una variante – si apprende da altra fonte – era
il passaggio attraverso il Territorio Libero di Trieste, allora controllato
dagli Alleati, con prosecuzione verso il capoluogo pugliese.
Per
quanto riportata in un testo di quasi mezzo secolo fa, questa notizia non è mai stata ripresa né ha dato spunto a ricerche storiche specifiche,
tanto meno nella città direttamente coinvolta. Vero è che verso la fine degli
anni ’40 e nei primi ’50 l’asse B-B era in disuso: le partenze dei gerarchi in
incognito avvenivano soprattutto da Genova. Si era ormai strutturata la
cosiddetta «Odessa», l’organizzazione clandestina di protezione delle ex SS,
resa celebre da un romanzo di Frederick Forsyth (cui Wiesenthal fece da
consulente). Da Genova si levava l’ancora verso il Sud America, dove
specialmente l’Argentina peronista dava ospitalità ai rifugiati del Terzo
Reich. Gli studi sulle Ratlines prendono
in esame per lo più il porto ligure oltre che la rete di appoggi supportata dal
Vaticano e da varie strutture conventuali. Lo stesso centro di documentazione
di Vienna, possessore dell’archivio di Wiesenthal – ci scrive Michaela Vocelka che
lo dirige e alla quale ci siamo rivolti – contiene «alcuni materiali sulla via
di fuga nazista e sulle Ratlines, ma
nessun documento su Bari».
Simon Wiesenthal |
Ma
i riscontri ci sono, e sembrano pervenire dagli ambienti dei servizi segreti
anglo-americani. Il volume di David Talbot su Allen Dulles e sulla nascita
della Cia, The Devil’s Chessboard
(«La scacchiera del diavolo», New York, 2015), racconta le attenzioni riservate
ai pezzi grossi delle SS da parte del capo dell’Oss (Office of Strategic Services) in Europa e negoziatore della resa germanica in Italia. Dulles era lungimirante:
tornava utile arruolare i nazisti sconfitti, per la nuova guerra che si andava
profilando contro l’Unione sovietica. Un simile calcolo ispirava il Vaticano o
quanto meno importanti settori ecclesiastici, che non dimenticavano il nemico di
sempre, la Russia atea. Del resto nell’anno convulso seguito al maggio ’45 il
Vecchio Continente era un immenso campo profughi di tutte le nazionalità:
c’erano molti ex prigionieri di guerra tedeschi, e molte SS che era
praticamente impossibile trattenere in detenzione; il dileguamento era facile se
si godeva di appoggi efficaci. Fra i criminali cui fu riservato dai servizi
americani un trattamento di favore vi fu Walter Rauff, tenente colonnello delle SS in Italia, che partì da Bari per Alessandria in Egitto; lo afferma Talbot, comprovando così che Bari era il porto privilegiato per il Vicino e Medio Oriente.
Rauff
visse in Siria e in Libano, ma operò anche per i servizi segreti israeliani –
lo rivelò nel 2007 il quotidiano israeliano «Haaretz» basandosi su fonti Cia –
e si guadagnò il viaggio verso il Cile dove concluse la sua carriera come
consigliere della Dina, la polizia politica del dittatore Pinochet. Clamorosa
poi (ma priva di controprove) è la testimonianza di Ian Bell, agente inglese –
la si può ascoltare anche su Youtube – che afferma di aver rintracciato a Bari
nientemeno che Martin Bormann, il braccio destro del Führer, e di averlo visto salire su una nave senza poter intervenire, a causa di ordini superiori. Ma la sparizione di Bormann fa parte della mitologia del post-nazismo, che si nutre di supposizioni suggestive. Fiction dichiarata è il romanzo Eva (1984) di Ib Melchior, scrittore danese-statunitense, che immagina il salvataggio di Eva Braun, consorte di Hitler, incinta, lungo l'asse B-B fino al porto pugliese. Melchior è stato un membro dell'Oss e del Cic (Counter Intelligence Corps) e sulle vie di fuga dei nazisti mostra di saperne parecchio.
Walter Rauff |
Un tassello importantissimo e inesplorato si congiunge, dunque, al mosaico della Bari di quegli anni: città internazionale dove vivono e agiscono inglesi, americani, neozelandesi, iugoslavi, polacchi, oltre agli immigrati dalle colonie; dove sorge un campo profughi per gli ebrei, che vengono dall'Europa sconvolta nella speranza di partire per la Terra promessa. È l'amara ironia della Storia: dallo stesso porto (con le stesse navi?) salpano le vittime e i carnefici. Toccata non di rado dalla Grande Storia, Bari è spesso smemorata, incuriosa del proprio passato, o incline a leggerlo in chiave celebrativa e acritica. Ma questa è un'indagine doverosa, da farsi: come e grazie a chi funzionava il terminale della Ratline in Puglia? Occorrerebbe cercare negli archivi vaticani, suggerisce Enzo Collotti, con il quale abbiamo avuto la possibilità di confrontarci. e innanzitutto – aggiunge il grande studioso della Germania nazista e dei suoi rapporti con l'Italia – si dovrebbe passare al setaccio la letteratura su Odessa e le vie di fuga. Da parte nostra, sappiamo che alcuni ricercatori indipendenti e part time della "diaspora barese" sono già all'opera in Germania. E siamo convinti che tracce di questo traffico giacciano anche in fondo a qualche polveroso archivio locale. Questa ricerca è appena all'inizio.
Pasquale
Martino