domenica 24 aprile 2016

Sinti e rom nella Resistenza



C'è una Liberazione che racconta gli zingari

Non è vero che su alcuni capitoli storici – la Seconda guerra mondiale, i lager, la Resistenza – si sa già tutto, e il resto è noia. C’è un vasto territorio da esplorare, se si hanno domande nuove e se si aprono le molte pagine poco conosciute. Una di queste, ancora ignota al largo pubblico, riguarda l’odissea degli zingari nell’Europa nazista. Da un po’ di tempo, in verità, lo sterminio di rom e sinti è oggetto di un certo interesse, sebbene i lavori storiografici fondamentali siano introvabili nelle librerie. 
Fortunatamente c’è ora il romanzo di Dario Fo Razza di zingaro (Chiarelettere, 2016) che narra la vita di Johann Trolmann, sinto tedesco, campione di boxe assassinato in un campo di concentramento. 
Mancano invece studi complessivi – a quanto sappiamo – sulla partecipazione di rom e sinti alla Resistenza europea: un dato tuttavia inoppugnabile, di cui esistono numerosi riscontri e testimonianze. Hemingway in Per chi suona la campana? raccontava dei gitani attivi nella guerra di Spagna dalla parte repubblicana. Nell’Est europeo e nei Balcani è documentata l’attività partigiana di raggruppamenti zingari che si guadagnarono anche decorazioni al valore, mentre in Francia i rom dettero un contributo importante all’avanzata angloamericana infiltrandosi oltre le linee nemiche e facilitando le comunicazioni. 
Sparse e frammentarie sono tuttora le notizie sull’Italia. Dove, va ricordato, numerosi zingari furono internati dai fascisti in campi di concentramento da cui vennero liberati dopo il 25 luglio ’43. Alcuni di essi si unirono alla lotta partigiana. Fra i «dieci martiri di Vicenza», partigiani fucilati dai tedeschi l’11 novembre ’44, si conta un gruppo di quattro sinti, tutti cittadini italiani, musicisti, circensi e giostrai: Walter Catter (Vampa), Lino Festini (Ercole), Renato Mastini, Silvio Paina. Il ventunenne Giuseppe Catter (Tarzan), cugino di Walter, cadde ad Aurigo (Imperia) e fu decorato alla memoria; nel 2014 l’Arci e l’Istituto storico imperiese lo hanno onorato con una targa. Presenze zingare sono attestate nel movimento partigiano a Genova, in Trentino, nella Divisione Osoppo in Friuli, nella Divisione Modena Armando in Emilia. Una scarna testimonianza orale fornisce elementi per ricostruire la singolare vicenda dei «Leoni di Breda Salini» (una località presso Rivarolo in provincia di Modena, che prende il nome dal vicino stabilimento). Era così chiamata una banda di sinti, professionisti dello spettacolo ambulante, i quali di notte si trasformavano in combattenti mettendo a segno efficaci azioni contro i tedeschi. Peraltro i musicisti di strada erano malvisti e bistrattati, e una sera proprio alcuni di loro furono costretti a improvvisare un concertino a beneficio dei militari germanici, in compagnia – racconta il testimone – del malcapitato maestro Gorni Kramer.

Amilcare Debar
La storia più nota, assai interessante e straordinaria per molti versi, è quella del piemontese Amilcare Debar, detto familiarmente Taro. Nato nel 1927, avendo perso entrambi i genitori viene allevato con la sorellina in un orfanotrofio, dimenticando la propria origine zingara. Nel '44, a 17 anni, si arruola come staffetta partigiana e diventa poi combattente col nome di battaglia di Corsaro nella 48a Brigata Garibaldi al comando di Pompeo Colajanni. L'Istituto piemontese per la storia della Resistenza conserva una scheda a lui dedicata, nella quale si legge fra l'altro: «Figura molto valida. Un uomo naturalmente capo. Notevole la sua capacità di risolvere i problemi da quelli quotidiani della sopravvivenza alimentare alle decisioni operative di guerra». Taro ha modo di conoscere anche Sandro Pertini, che quarant'anni dopo lo riceverà in Quirinale con un gruppo di ex partigiani, riabbracciandolo calorosamente. 
Dopo la Liberazione, Debar entra in polizia come altri reduci del partigianato. Ed è proprio in veste di poliziotto che gli capita, controllando i documenti di alcuni nomadi, di ritrovare i parenti perduti. Si riappropria della identità sinta, va a vivere in un campo con la sua gente, adottandone i mestieri, impegnandosi nella difesa dei diritti del popolo rom e sinto e parlando a suo nome in varie assise internazionali, fra cui le Nazioni Unite.
Partigiano fino alla morte, che lo coglie nel 2010 a 83 anni, Amilcare Debar ci ricorda che la Costituzione italiana, nata anche grazie al suo contributo e al sacrificio di tanti, recita all'art. 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». E che la repubblica dovrebbe rimuovere tutto ciò che ostacola l’uguaglianza e limita la libertà. 

Pasquale Martino 

«La Gazzetta del Mezzogiorno», 24 aprile 2016  

leggi anche:
Porrajmos, il genocidio rom