mercoledì 6 aprile 2016

Adrianopoli / Edirne


378 d.C., la guerra dei profughi
Quando i migranti cambiarono l'impero



Sarcofago Ludovisi, battaglia fra Romani e barbari (presumibilmente Goti), III secolo d.C. 

Ho sognato Edirne è un documentario mandato in onda di recente da TG2 Dossier. Edirne è l’avamposto europeo della Turchia al confine con Bulgaria e Grecia: il punto di passaggio scelto dai richiedenti asilo che dallo scorso anno invocano un corridoio umanitario per entrare in Europa via terra senza rischiare sui barconi dei trafficanti. Poi la stretta si è spostata a Idomeni, in Grecia al confine con la Macedonia. Ma il corridoio non c’è, e l’Europa paga la Turchia perché riprenda i migranti per respingerli o lasciarli filtrare col contagocce. A Edirne sembra ripresentarsi in forme nuove una storia iniziata milleseicento anni fa, quando la città di chiamava Adrianopoli e quella regione era la Tracia, nella parte orientale dell’impero romano. E proprio lì, presso la città dedicata ad Adriano, il 9 agosto 378 divampò la battaglia che segnò la svolta di un’epoca. Ma tutto era incominciato con una gestione disastrosa della politica migratoria.
L’impero romano in verità aveva a che fare già da un bel po’ con migrazioni, scorrerie e conflitti di frontiera. Attirava i cosiddetti “barbari” con la sua prosperità. La risposta era stata pragmatica e articolata: lo spostamento in avanti dei confini, ove possibile; la costruzione di sistemi di fortificazioni come il limes renano-danubiano; gli accordi, i trattati, il sostegno alla stabilizzazione di barbari lungo il confine esterno; il loro arruolamento come manodopera, come mercenari e perfino come soldati dell’esercito imperiale, nel quale alcuni capi erano saliti fino agli alti comandi. Del resto, l’impero era da lungo tempo un organismo multietnico e almeno bilingue (latino e greco erano gli idiomi della cultura e degli atti pubblici). E Caracalla nel 212 aveva concesso la cittadinanza a tutti i suoi abitanti. Una politica imperialistica, dunque, ma difensiva e militarmente accorta, e nello stesso tempo capace di includere e di assimilare. L’arrivo di una massa fuggiasca di Goti sulla sponda sinistra del Danubio, nel 376, sarebbe potuta essere un’emergenza superabile; anche se essi chiedevano in realtà di essere accolti pacificamente entro i confini. Erano profughi, un intero popolo che scappava da guerra e fame, con famiglie, carri e animali. La crisi era effetto finale della lunga trasmigrazione degli Unni, che, respinti dalla Cina, si riversavano verso Ovest cacciando i Goti. Il territorio dell’impero era per questi una meta obbligata; anche nel mondo gotico oltretutto era in corso da decenni un processo di cristianizzazione. E questi migranti erano “risorse umane”.  
   
Moneta dell'imperatore Valente
L’imperatore Valente, a capo delle regioni orientali (suo nipote Graziano governava l’Occidente), fece organizzare il traghettamento del Danubio su barche. Molti profughi, impazienti, si tuffarono per passare a nuoto e annegarono. L’operazione fu condotta nel massimo disordine, ma i veri errori vennero dopo. Non si provvide alla sistemazione e al vettovagliamento degli esuli; una burocrazia corrotta si appropriò degli aiuti umanitari, abbandonò i profughi a se stessi e ne approfittò orribilmente estorcendo schiavi in cambio di poco e vilissimo cibo. I Goti affamati si misero a percorrere la Tracia in cerca di viveri. Si sparse la paura e qualcuno soffiò sul fuoco: perfino i vecchi mercenari goti estranei alla contesa vennero aggrediti da una folla di nativi che un ricco funzionario imperiale aizzava contro “gli stranieri”. Di conseguenza, costoro si unirono ai nuovi venuti; si aggiunsero altri connazionali, schiavi e lavoratori maltrattati, nonché ulteriori profughi che passavano il Danubio illegalmente. Come risultato, una moltitudine gotica guidata da Fritigerno batteva ora la Tracia saccheggiandola e disarmando i piccoli presidî romani. L’ultimo e fatale errore di Valente fu la decisione di rimediare alla catastrofe sfidando i barbari a battaglia campale. Non volle neppure attendere che sopraggiungesse Graziano con rinforzi: invidiava i successi militari del giovane collega. Mal consigliato, male informato (credeva che i Goti fossero in numero inferiore), pensò che lo schieramento romano avrebbe impaurito il nemico convincendolo a trattare la resa. Non fu così, e la battaglia di Adrianopoli fu annoverata – secondo Ammiano Marcellino che la racconta – come la seconda più grave disfatta romana dopo Canne. Due terzi dell’armata furono distrutti; di Valente non si trovò più nemmeno il cadavere.    
Il nuovo imperatore di Oriente, Teodosio, fece pace con i Goti e li accolse come «federati», utilizzandoli per missioni militari in altre regioni. Era un passo significativo verso quella “barbarizzazione” dell’impero che si sarebbe imposta in particolare a Occidente, e di cui tutti in questa parte del globo, italiani, tedeschi, francesi, siamo alla lontana i figli. Il sogno di Edirne diventava realtà.      

Pasquale Martino
«La Gazzetta del Mezzogiorno», 6 aprile 2016