378 d.C., la guerra dei profughi
Quando i migranti cambiarono l'impero
Quando i migranti cambiarono l'impero
Sarcofago Ludovisi, battaglia fra Romani e barbari (presumibilmente Goti), III secolo d.C. |
Ho sognato Edirne è un documentario mandato
in onda di recente da TG2 Dossier. Edirne è l’avamposto europeo della Turchia
al confine con Bulgaria e Grecia: il punto di passaggio scelto dai richiedenti
asilo che dallo scorso anno invocano un corridoio umanitario per entrare in
Europa via terra senza rischiare sui barconi dei trafficanti. Poi la stretta si
è spostata a Idomeni, in Grecia al confine con la Macedonia. Ma il corridoio
non c’è, e l’Europa paga la Turchia perché riprenda i migranti per respingerli
o lasciarli filtrare col contagocce. A Edirne sembra ripresentarsi in forme
nuove una storia iniziata milleseicento anni fa, quando la città di chiamava
Adrianopoli e quella regione era la Tracia, nella parte orientale dell’impero
romano. E proprio lì, presso la città dedicata ad Adriano, il 9 agosto 378
divampò la battaglia che segnò la svolta di un’epoca. Ma tutto era incominciato
con una gestione disastrosa della politica migratoria.
L’impero
romano in verità aveva a che fare già da un bel po’ con migrazioni, scorrerie e
conflitti di frontiera. Attirava i cosiddetti “barbari” con la sua prosperità. La
risposta era stata pragmatica e articolata: lo spostamento in avanti dei
confini, ove possibile; la costruzione di sistemi di fortificazioni come il limes renano-danubiano; gli accordi, i trattati,
il sostegno alla stabilizzazione di barbari lungo il confine esterno; il loro
arruolamento come manodopera, come mercenari e perfino come soldati dell’esercito
imperiale, nel quale alcuni capi erano saliti fino agli alti comandi. Del
resto, l’impero era da lungo tempo un organismo multietnico e almeno bilingue
(latino e greco erano gli idiomi della cultura e degli atti pubblici). E
Caracalla nel 212 aveva concesso la cittadinanza a tutti i suoi abitanti. Una
politica imperialistica, dunque, ma difensiva e militarmente accorta, e nello
stesso tempo capace di includere e di assimilare. L’arrivo di una massa
fuggiasca di Goti sulla sponda sinistra del Danubio, nel 376, sarebbe potuta
essere un’emergenza superabile; anche se essi chiedevano in realtà di essere
accolti pacificamente entro i confini. Erano profughi, un intero popolo che scappava
da guerra e fame, con famiglie, carri e animali. La crisi era effetto finale
della lunga trasmigrazione degli Unni, che, respinti dalla Cina, si riversavano
verso Ovest cacciando i Goti. Il territorio dell’impero era per questi una meta
obbligata; anche nel mondo gotico oltretutto era in corso da decenni un
processo di cristianizzazione. E questi migranti erano “risorse umane”.
Moneta dell'imperatore Valente |
L’imperatore
Valente, a capo delle regioni orientali (suo nipote Graziano governava
l’Occidente), fece organizzare il traghettamento del Danubio su barche. Molti
profughi, impazienti, si tuffarono per passare a nuoto e annegarono. L’operazione
fu condotta nel massimo disordine, ma i veri errori vennero dopo. Non si
provvide alla sistemazione e al vettovagliamento degli esuli; una burocrazia
corrotta si appropriò degli aiuti umanitari, abbandonò i profughi a se stessi e
ne approfittò orribilmente estorcendo schiavi in cambio di poco e vilissimo cibo.
I Goti affamati si misero a percorrere la Tracia in cerca di viveri. Si sparse
la paura e qualcuno soffiò sul fuoco: perfino i vecchi mercenari goti estranei alla
contesa vennero aggrediti da una folla di nativi che un ricco funzionario
imperiale aizzava contro “gli stranieri”. Di conseguenza, costoro si unirono ai
nuovi venuti; si aggiunsero altri connazionali, schiavi e lavoratori maltrattati,
nonché ulteriori profughi che passavano il Danubio illegalmente. Come
risultato, una moltitudine gotica guidata da Fritigerno batteva ora la Tracia saccheggiandola
e disarmando i piccoli presidî romani. L’ultimo e fatale errore di Valente fu
la decisione di rimediare alla catastrofe sfidando i barbari a battaglia
campale. Non volle neppure attendere che sopraggiungesse Graziano con rinforzi:
invidiava i successi militari del giovane collega. Mal consigliato, male
informato (credeva che i Goti fossero in numero inferiore), pensò che lo
schieramento romano avrebbe impaurito il nemico convincendolo a trattare la
resa. Non fu così, e la battaglia di Adrianopoli fu annoverata – secondo
Ammiano Marcellino che la racconta – come la seconda più grave disfatta romana
dopo Canne. Due terzi dell’armata furono distrutti; di Valente non si trovò più
nemmeno il cadavere.
Il
nuovo imperatore di Oriente, Teodosio, fece pace con i Goti e li accolse come
«federati», utilizzandoli per missioni militari in altre regioni. Era un passo significativo
verso quella “barbarizzazione” dell’impero che si sarebbe imposta in
particolare a Occidente, e di cui tutti in questa parte del globo, italiani,
tedeschi, francesi, siamo alla lontana i figli. Il sogno di Edirne diventava
realtà.
Pasquale Martino
«La
Gazzetta del Mezzogiorno», 6 aprile 2016