Un Sioux in carcere, icona della resistenza indiana
«L’unico
indiano buono è quello morto», è il celebre aforisma attribuito al generale P.
H. Sheridan, veterano delle guerre indiane negli Usa del XIX secolo; si
potrebbe aggiungere: se non morto, almeno in galera. Tali concetti non sembrano
del tutto sorpassati. Il caso emblematico è quello di Leonard Peltier: nativo
americano del Nord Dakota, 71 anni, attivista dell’AIM (American Indian
Movement), Peltier sconta da 39 anni l’ergastolo sotto l’accusa – mai provata,
secondo molti osservatori indipendenti fra cui Amnesty International – di aver
ucciso due agenti dell’FBI il 26 giugno 1975, esattamente quarant’anni fa. L’anniversario della sparatoria di Pine Ridge
che è all’origine della condanna spinge i difensori dei diritti dei nativi a tentare
di riaprire il caso e di ottenere la grazia dal presidente Obama: cosa assai
difficile, visto che quindici anni fa l’orientamento di Clinton favorevole alla
scarcerazione fu revocato dopo un raduno di protesta (sedizioso, verrebbe da
dire) di 500 agenti federali davanti alla Casa Bianca.
Tutta
la vicenda si presta a molte riflessioni. Incominciamo dall’AIM: associazione
militante, fondata nel 1968, raccoglie le mai sopite istanze di riscatto delle
comunità superstiti di nativi confinati nelle riserve-ghetto dove regnano
povertà e disoccupazione; l’AIM rilancia l’orgoglio indiano ispirandosi alla
radicalità dei nuovi movimenti politici e sociali degli anni ’60, a partire da
quello afroamericano. I leader neri Malcolm X e Luther King avevano guardato con interesse alla convergenza fra i due movimenti. L’AIM viene subito classificata come
associazione sovversiva al pari del Black Panther Party ed entra nel mirino
dell’FBI, che J. Edgar Hoover (morto nel 1972) ha plasmato come gendarme della
maggioranza bianca anglosassone protestante. I federali sono coadiuvati dal BIA
(Bureau of Indian Affairs), che, capeggiato da cricche clientelari e
autoritarie di nativi, funge da agente del governo per il controllo e la
repressione nelle riserve indiane. È proprio il malcontento contro le
vessazioni dei rappresentanti ufficiali che induce l’AIM a promuovere nel 1973
la più grande rivolta indiana del XX secolo: Wounded Knee II. Circa 200 indiani
Oglala, membri della nazione Sioux, occupano il sito della riserva di Pine
Ridge in Sud Dakota, proprio dove ottantatre anni prima, nel 1890, le truppe
statunitensi avevano compiuto l’ultimo massacro di nativi (Wounded Knee I). la
rivendicazione è, sulla carta, assai poco radicale: si chiede il rispetto dei
trattati e un contatto diretto con il
governo, che esautori gli odiati rappresentanti. Gli occupanti resistono 71 giorni all’assedio della polizia; in
questo frangente si mette in luce il ventinovenne Leonard Peltier, che organizza
azioni di supporto ai ribelli. Pur senza esiti pratici significativi, la
rivolta costituisce una prova di forza e un esempio per tutte le tribù indiane.
Nello stesso anno Marlon Brando non ritira l’Oscar del Padrino per solidarietà con i nativi. Il bilancio delle vittime è
relativamente modesto (due attivisti uccisi), ma nel biennio successivo 60 attivisti
vengono assassinati uno alla volta, senza dar luogo a indagini; pare evidente
che essi siano vittime di una sorta di squadrone della morte dotato di ampie coperture.
È
in questo contesto di vendetta e di autodifesa che si verifica l’«incidente di
Oglala» del 1975. Due agenti federali entrati nella riserva di Pine Ridge per
arrestare un piccolo delinquente – è la spiegazione fornita dall’FBI – vengono
bersagliati da un gruppo di nativi a colpi di arma da fuoco. Nella sparatoria
restano uccisi, oltre ai due agenti, anche un attivista dell’AIM. Prima
stortura giudiziaria: per la morte dell’indiano non si indaga, mentre per
quella dei federali vengono incriminati tre nativi fra cui Peltier. Questi
fugge in Canada; gli altri due vengono processati e assolti. Seconda
aberrazione: estradato in Usa, Peltier è processato separatamente in base allo stesso materiale probatorio, ma
da una giuria diversa, ed è condannato. Nessuno
testimonia di averlo visto uccidere; perfino la testimonianza in base alla
quale gli Usa avevano ottenuto l’estradizione viene ritirata, ma il tribunale
non consente alla difesa di utilizzare questa circostanza.
Nel
1992 venne realizzato il film-inchiesta Incident
at Oglala, prodotto da Robert Redford che prestò anche la voce narrante, e
diretto da Michael Apted, già allora famoso come
regista di Gorky Park e di Gorilla nella nebbia. Recensendo il documentario il Washington Post commentò: «è difficile
vedere il film senza concludere che Leonard Peltier è innocente. Solo chi è
volutamente fazioso negherebbe che il suo processo sia stato altro che una
parodia orchestrata dal governo».
Nella
sua lunga prigionia Peltier ha sempre proclamato la propria innocenza, pur affermando di essere
presente a Pine Ridge durante i fatti, e ha continuato a battersi per i diritti
dei nativi americani, diventando quasi un simbolo e un’icona della loro fiera resistenza.
Sperare in un atto di clemenza è d’obbligo, ma il pessimismo è pure
giustificato quando si considera che le prigioni statunitensi traboccano di
poveri, di afroamericani e – in proporzione al piccolo numero – di indiani. Né
maggior fortuna ha avuto il tema della memoria storica: in Usa esiste un grande
memoriale della Shoah, ma nessun monumento pubblico che ricordi lo sterminio
degli indiani o la schiavitù degli afroamericani. Da oltre mezzo secolo i Sioux vanno faticosamente realizzando in Sud
Dakota un enorme monumento a Cavallo Pazzo, il vincitore del generale
Custer.
Pasquale
Martino
«La Gazzetta del Mezzogiorno», 27 giugno 2015
www.whoisleonardpeltier.info/home/resources/blog/
www.whoisleonardpeltier.info/home/resources/blog/