martedì 8 aprile 2014

Caserma Rossani

Urbanistica contrattata e urbanistica partecipata
Racconto di una città

Prefazione a Diario Rossani di Nicola Signorile (Caratteri Mobili, Bari, 2014)

La Caserma Rossani negli anni '50 (www.artribune.com)




















Non è di poco conforto sapere che il principale quotidiano pugliese – quello più letto, sfogliato e sgualcito da tante mani sui tavoli di tutti i bar – ospita settimanalmente una rubrica di critica dell’architettura e dell’urbanistica. Da un po’ di anni l’appuntamento con «Piazza Grande» di Nicola Signorile è diventato un’occasione stimolante per imparare qualcosa; soprattutto, per guardare Bari e la sua area metropolitana in uno spettro di luce dispiegato, nella sua realtà plurima e nelle sue potenzialità spesso nascoste o misconosciute. Autore di libri agili e dotti sulla storia dell’architettura contemporanea nel capoluogo pugliese, Signorile si districa con una carta nautica rigorosa nel mare del tessuto urbano in via di trasformazione – e dei soggetti che vi operano e vi si scontrano: i costruttori, i proprietari di suoli, i cittadini, gli enti pubblici – mettendo in campo indagini e riflessioni interdisciplinari che intrecciano storia, arte, sociologia e politica. Già di per sé, dunque, «Piazza Grande»  è il diario avvincente di una città che cambia, di una vicenda urbanistica complicata in cui le aperture suggestive verso il primato del bene comune si alternano alle deludenti ricadute verso soluzioni affaristiche; è la cronaca ragionata di una quotidiana lotta sui temi degli spazi pubblici, della qualità urbana, della memoria storica.
E tuttavia, quando si legge Diario Rossani, estrapolazione e raccolta dei resoconti critici incentrati sulla grande questione del riuso della caserma abbandonata al centro di Bari, si ha l’impressione di avere a che fare non con il montaggio di materiali preesistenti, ma con un altro genere letterario: un opus che trascendendo le cronache di architettura e urbanistica, sostanziate di cultura e di tensione civile, diventa racconto di una città; romanzo di una storia in corso, in divenire. Perché la discussione, le intenzioni e i fatti relativi al vasto quadrilatero di proprietà pubblica incastrato fra i quartieri Murat, Carrassi e San Pasquale, e destinato a verde urbano per oltre metà dal piano regolatore, hanno assunto il valore emblematico di una narrazione che riguarda il presente e il futuro della città, e che, comunque si evolva, parlerà a tutta la Puglia e in buona misura all’intero Paese. La questione ha finito infatti col catalizzare tutti i filoni del dibattito urbanistico e politico-culturale dell’ultimo decennio a Bari: fin dall’avvio della prima amministrazione comunale di centrosinistra (2004-2009), cui Signorile non risparmia critiche – che ovviamente mi toccano, visto il mio contributo a quella esperienza. (E qui apriamo una parentesi. Forse per questo Nicola ha coinvolto proprio me per introdurre il suo racconto, considerando l’antica amicizia che ci lega, la condivisione di tutte le cose essenziali, e insieme sollecitando un punto di vista non discordante, ma prospetticamente sfasato rispetto al suo.) 
Torniamo ai primi cinque anni. Una pagina complessa, in cui si videro alcuni atti significativi, rispondenti agli impegni assunti – tali furono la demolizione dei palazzi di Punta Perotti e l’inizio della bonifica del sito Fibronit – e più in generale coerenti con l’ispirazione del progetto politico – e qui penso alla decisione sia pure sofferta e faticosa di sbarrare la strada alla Cittadella della Giustizia. Tutte questioni che suscitarono dibattito, entusiasmi e feroci polemiche, nonché i noti contenziosi di giustizia amministrativa e penale (da uno dei quali proprio l’autore di Diario Rossani, chiamato in causa per essere una voce scomoda, è uscito con una limpida vittoria). Ma in quel quinquennio iniziale fu anche dischiusa la porta (con sottovalutazione, con battaglia interna insufficiente, con qualche disattenzione di troppo) ai primi passi di un metodo che nel mandato successivo sarebbe diventato un tenace filo conduttore sebbene solo parzialmente attuato: stiamo parlando dell’«urbanistica contrattata», quella prassi amministrativa adottata da molti comuni italiani che configura una sostanziale rinuncia a porre rigidi vincoli di interesse pubblico sul territorio.


Nel contesto barese l’urbanistica contrattata ha assunto fra l’altro la fisionomia del «credito edilizio», un presunto diritto di costruire, “a prescindere”, da parte di chi è proprietario di suoli: per cui, se, per esempio, una legge nazionale vieta di edificare sulla costa, chi detiene i suoli resi inedificabili diventa titolare di un «credito», che il Comune gli riconoscerà in altre sezioni della maglia urbana da definire per via contrattuale. Per questo la Caserma Rossani, l’incredibile vuoto nel cuore della città, a un passo dalla stazione ferroviaria, diventa un bel pezzo di suolo appetibile. Specie se il suo valore viene associato a quello delle aree del centro che saranno rese disponibili in seguito all’attuazione dell’annoso progetto del Nodo ferroviario. In tal modo il tema Caserma Rossani invade la prospettiva di tutti i quartieri centrali, poiché si connette inevitabilmente a quello della sistemazione del quartiere Murat – la riqualificazione di via Sparano (per ora dormiente) che non potrà escludere via Argiro e tutte le aree adiacenti – , al destino del teatro Margherita (riguardo al quale è stato imbastito un discusso accordo pubblico-privato per trasformarlo in un museo d’arte contemporanea) e del magnifico complesso della Manifattura che – disusato dall’Università e sottoutilizzato dal Comune – potrebbe cambiare la storia del quartiere Libertà ricucendolo virtuosamente al murattiano. Basti pensare che per la galleria d‘arte contemporanea sono state avanzate anche le proposte di collocarla nella Rossani o nella Manifattura dei Tabacchi (ubicazioni entrambe ben più congeniali del Margherita).
L’altro Leitmotiv di questo racconto è l’urbanistica partecipata; di fatto, l’esatto opposto di quella contrattata: in quanto presuppone l’intervento nel dibattito pubblico da parte dei soggetti che non sono portatori di un interesse privato di tipo economico ancorché legittimo, ma di bisogni sociali, di visioni collettive, di azioni che tendono a rendere effettiva la fruizione sociale di un bene generale, a non privatizzarlo. L’urbanistica partecipata diventa una forma essenziale della democrazia nella città che cambia, affinché questo cambiamento non sia frutto di un’opaca negoziazione di élites economiche e di vertici tecnico-burocratici. E anche qui la Rossani è un caso paradigmatico: fin da quando il Comune ne ottenne la proprietà dal demanio statale scambiandola con la Chiesa Russa da consegnare al patriarcato ortodosso (un’altra operazione in cui, a conti fatti, le ombre sembrano prevalere sulle luci, visto che ha comportato lo sfratto non solo degli uffici circoscrizionali, ma anche della biblioteca del quartiere Carrassi). Dagli albori della questione, una rete di associazioni si è costituita in comitato per discutere con la parte pubblica (Comune e Regione) sul progetto di riapertura e riuso dell’ex caserma. Il Comitato Rossani è riuscito nel 2012 a ottenere il ritiro della delibera comunale che prevedeva un project financing indirizzato a realizzare in quell’area alberghi, residenze e parcheggi sotterranei. Le prime due cose, ma non la terza, sono poi scomparse nella proposta di Massimiliano Fuksas che, vincendo il concorso di idee «Baricentrale», ha immaginato la spazio pubblico della Rossani in relazione alla ferrovia e al murattiano. Di nuovo, il Comitato Rossani ha riaperto la questione. Nel frattempo, l’urbanistica partecipata dimostrava le sue possibilità virtuose nel caso di San Marcello, “periferia” di San Pasquale (non certo lontana dalla Rossani), dove un laboratorio urbano con il protagonismo dei residenti aveva come esito una modifica profonda del programma di riqualificazione, accantonando la demolizione e ricostruzione e sostituendola col risanamento del costruito.
Poi è arrivata l’occupazione della Rossani. L’azione è partita dai giovani che in precedenza avevano rivitalizzato il rudere di villa Roth, un manufatto tardo-ottocentesco con parco annesso, ubicato a San Pasquale e di pertinenza della Provincia. Dopo lo sgombero voluto dall’ente provinciale, il gruppo ha rilanciato il tema degli spazi pubblici “riaprendo” l’ex caserma. Questa esperienza si è allargata alla rete del Comitato Rossani, ad altri soggetti e a una numerosa cittadinanza, famiglie, anziani, bambini, che stanno dando una mano alla riappropriazione civica dello spazio verde compreso fra i vecchi edifici militari.

L'area della Caserma Rossani oggi
Il Comune e il soggetto assembleare che anima la Rossani si sono per un po’ di tempo soltanto sfiorati: sopralluoghi, la mediazione di alcuni politici, contatti tecnici, la messa in sicurezza di qualche fabbricato. Poi è arrivato un dialogo più sostanziale. La scelta giusta da parte del Comune non sarebbe certo quella di prendere tempo in attesa che questo esperimento si consumi da solo. Va colta invece  l’occasione per incominciare davvero quel laboratorio di partecipazione democratica, assumendo la sperimentazione in atto come orientamento e come partnership; allargando, certo, l’arco della cittadinanza attiva da convocare. Facendo dell’ex caserma il punto di partenza qualificante per una nuova relazione con la città.
L‘instant book di Nicola Signorile si ferma qui, in un frangente critico e aperto verso scenari contrastanti. Le scorciatoie non funzionano e i nodi non risolti vengono al pettine (lasciatemi ripetere questa banale verità). Nel nostro caso il nodo è un rapporto di forza: da un lato i poteri pubblici (con le coalizioni che li esprimono), i quali vogliono almeno in teoria migliorare il vivere civile, e a tal fine dovrebbero farsi forti di un consenso attivo, non solo elettorale, evitando di offrire ai cittadini il surrogato di una partecipazione da semplici spettatori; dall’altro un certo modo di fare impresa, che ha corsie preferenziali negli uffici tecnici e in molti anfratti della politica: per cui tutto si decide in una dimensione separata, dove si gioca a memoria da sempre  e ognuno sa già che cosa deve fare. Se la dialettica fra guida pubblica e impresa privata si chiude per cedere il passo all’uniformità di vedute e interessi, allora si ha il patto oligarchico che uccide ogni speranza. Bari che osserva i grandi modelli urbani d’Europa non dovrebbe ignorare che da una soluzione democratica della questione Rossani e dei nodi connessi dipende molto dell’identità che sta cercando, di città amica, di città intelligente e città di cultura.


Pasquale Martino