La stagione creativa dell'antifascismo barese
Un uomo magro dalla barba bruna, vestito di bianco, il 28 luglio del 1943 è alla guida, con altri, della prima manifestazione autoconvocata che attraversa le vie di Bari dopo vent’anni di dittatura: è Fabrizio Canfora, trentenne, professore di filosofia e storia nel liceo classico Quinto Orazio Flacco. Suoi allievi sfilano fra i dimostranti; e molti guardano a lui come a un leader, un punto di riferimento morale e politico. Incitato e quasi sospinto da quei giovani, dalla finestra di una sede fascista occupata dagli antifascisti deve rivolgere brevi parole a quanti si sono radunati per manifestare; e anche questa è una prima volta in assoluto: un discorso di libertà risuona in pubblico nel capoluogo pugliese, tre giorni dopo la destituzione e l’arresto di Mussolini. La scena, che riprendiamo dal racconto dello scrittore Vito Maurogiovanni, allora diciassettenne, precede di pochi minuti la tragedia. La festosa giornata di liberazione e speranza precipita nella sventura: in via Niccolò dell’Arca i soldati, coadiuvati da provocatori fascisti, sparano sui dimostranti uccidendone almeno venti e ferendone molte decine. Tra i feriti Canfora, che sarà anche arrestato nel suo letto d’ospedale. L’antifascismo fa paura al re e a Badoglio; e il fascismo non è morto.L’esperienza
drammatica di una libertà intravista ma ancora tutta da conquistare, di un
fascismo caduto ma tuttora vivente, sarà il rovello del giovane professore nei
mesi che seguono. Lunghi mesi di intenso impegno per la ricostruzione
democratica, mentre al Nord divampa la guerra di Liberazione. A quel discrimine
Canfora era arrivato attraversando un tempo non breve di formazione
intellettuale e politica: decisiva era stata la scuola di Benedetto Croce (periodicamente
ospite a Bari dell’editore Giovanni Laterza) e di Tommaso Fiore,
l’intellettuale altamurano (che perderà un figlio nell’eccidio del 28 luglio
’43) animatore del gruppo liberalsocialista barese confluito poi nel Partito
d’Azione. Entrambi, Fiore e Canfora – e non solo loro – perseguitati dalla
polizia fascista.
Già nei primi anni ’40 Canfora, immaginando la fine del regime, propugna il superamento del liberalismo classico in direzione di un’apertura sociale e democratica, i cui termini si scorgono nel suo libro su Lo spirito laico (Laterza 1943). Ma gli scritti del fervido periodo venuto dopo l’8 settembre ’43, che si potrebbe definire come la stagione creativa dell’antifascismo barese – creativa in quanto si misura con l’azione pratica finalizzata a una radicale svolta politica – sono raccolti nel volume edito nel 1945 e intitolato Tra reazione e democrazia. Stampato nella tipografia Leonardo da Vinci (che diventerà casa editrice con lo stesso nome e in seguito darà luogo alla prestigiosa De Donato), il prezioso libro era andato quasi perduto, disperso in pochissime biblioteche pubbliche; viene ora opportunamente riedito in ristampa anastatica da Mario Adda, per la cooperazione virtuosa di Città Metropolitana, Museo civico di Bari e ANPI; presenta in appendice una riflessione dello stesso autore scritta a distanza di un trentennio, nel 1974, e una illuminante postfazione di Luciano Canfora, figlio di Fabrizio. A Luciano Canfora, con scelta assai congrua, il Comune di Bari ha affidato la lectio svolta a gennaio nel teatro Piccinni alla presenza del presidente della Repubblica, per celebrare gli 80 anni del Congresso dei CLN (28-29 gennaio 1944). Congresso che fu il risultato politico più importante ottenuto dall’antifascismo barese – nonostante la tenace ostilità del re e la diffidenza degli Alleati – e da quel nucleo azionista che ne era la componente più attiva. Con grande profitto si rileggono i testi di Fabrizio Canfora – accompagnati da alcuni articoli firmati da Domenico Pàstina, l’antifascista tranese legato a lui da intenso sodalizio – apparsi per lo più in L’Italia del Popolo, primo organo di stampa che, pubblicato a Bari, espresse tra mille difficoltà finalmente una voce libera. La chiave di volta della lotta politica di quel momento fu – per adoperare le parole dello stesso Canfora – l’organizzazione della «anti-Vandea» nel Mezzogiorno, capace di contrastare il tentativo in atto di restaurazione monarchico-fascista e di prospettare un’uscita democratica dalla catastrofe italiana, una soluzione in armonia con la lotta partigiana che si combatteva nelle regioni settentrionali.
Il che, sia pure al termine di un percorso più complesso di quanto quegli antifascisti pensassero, fu ciò che si realizzò con la Repubblica e con l’Assemblea costituente, che l’Italia non aveva avuto nel 1861.
Pasquale Martino
"La Gazzetta del Mezzogiorno", 14 aprile 2024
Immagini:
Fabrizio Canfora con la moglie Rosa Cifarelli nel giorno del matrimonio, 24 aprile 1940 (courtesy Luciano Canfora).
Copertina dell'edizione 1945 di Tra reazione e democrazia.