venerdì 26 gennaio 2024

Internati Militari Italiani

Un'altra deportazione e un'altra Resistenza 

La tragica guerra degli "invisibili"


«Internati militari italiani». Italienische Militärinternierte, IMI. È il nome imposto dai nazisti ai soldati italiani presi prigionieri dopo l’8 settembre 1943, in Italia e all’estero. Furono circa 800.000: un numero esorbitante, che si spiega soltanto con l’impreparazione cui le truppe italiane, tenute all’oscuro dell’imminente armistizio, furono abbandonate dal re e dal governo Badoglio. La Wehrmacht invece, ben preparata, riuscì quasi dappertutto ad aver ragione delle difese italiane mandate allo sbando. 

     Internati militari – una definizione coniata per loro – e non prigionieri di guerra: non dovevano godere dei diritti e del trattamento prescritti dalla convenzione di Ginevra. Agli occhi dell’ex alleato germanico gli italiani erano traditori, e soprattutto erano – i militari di truppa – ulteriore massa da schiavizzare al servizio della insaziabile economia bellica del Reich. Almeno la grande maggioranza di essi. Gli IMI furono infatti posti di fronte a un’alternativa: arruolarsi nelle forze armate della neonata RSI, il governo fantoccio creato in Italia dai tedeschi, o restare a marcire nei Lager. Non furono proprio pochissimi quelli che andarono con i fascisti (quasi 200.000), anche se una parte di questi, rientrata in patria, disertò. Il che aggiunge valore alla scelta dei 600.000 e più, che preferirono dire no restando dietro il filo spinato ad affrontare la sofferenza, la malattia e non di rado la morte. In quasi 50.000 morirono, senza contare i tanti che tornarono dai Lager affetti da malattie incurabili e in fin di vita. Al sacrificio degli IMI ogni regione, ogni città d’Italia ha dato un doloroso contributo. L’apporto della Puglia è stato messo in evidenza, di recente, da una bella mostra allestita a Lecce: si calcola che almeno 30.000 siano stati gli internati pugliesi, e fra i 12.000 circa di cui si ha documentata notizia quasi 3.000 sono i caduti. Fra i pugliesi vogliamo citare una delle figure eminenti: il colonnello Francesco Grasso, che guidò la resistenza militare a Barletta l’11 settembre ’43, e il giorno dopo fu arrestato dai tedeschi, quindi deportato in Germania, riuscendo a tenere clandestinamente un diario che è stato pubblicato dalla figlia e poi dal nipote.

     Questa storia enorme – storia nazionale e collettiva – è stata a lungo poco studiata, sebbene incrociasse la memoria familiare di qualche milione di persone (protagonisti, figli, nipoti); memoria essa stessa riluttante ad esprimersi , perché «la guerra è acqua passata», e «questa brutta cosa è meglio dimenticarla». Né si è valutato, per molto tempo, che quella degli IMI fosse una vicenda che incontrava la Resistenza patriottica contro il nazifascismo; che l’internato militare fosse – per dirla con Alessandro Natta, reduce del Lager – «una via di mezzo tra il prigioniero di guerra e il perseguitato politico». Proprio il libro di Natta, dirigente comunista di spicco, costituisce un caso esemplare: scritto negli anni ’50, rifiutato allora da una casa editrice pur vicina al PCI, dové attendere quarant’anni per essere infine pubblicato da Einaudi (nel 1997) col titolo emblematico L’altra Resistenza. Perché, appunto, anche la reclusione degli IMI – animata da cosciente motivazione ideale in alcuni, da istintiva ripulsa in altri – fu espressione di quella Resistenza di cui si vanno riscoprendo da tempo le molteplici forme, armate e disarmate. Dopo gli studi pioneristici degli anni ’80-’90 (alcuni dei quali, fra i più notevoli, si devono a studiosi tedeschi: citiamo per tutti il saggio di Gerhard Schreiber edito nel 1992 dall’Ufficio storico dell’Esercito italiano), e dopo la messe di lavori biografici curati da parenti e amici che hanno scandagliato archivi privati e di famiglia oltre a quelli pubblici, il tema degli IMI ha conquistato un posto consolidato nella storiografia e in alcune sintesi di storia della Resistenza (si veda quella di Santo Peli, Einaudi 2006). 

     Giustamente atteso, dunque, è il convegno di studi che l’Associazione nazionale partigiani d’Italia e l’Istituto nazionale Ferruccio Parri (rete degli istituti storici della Resistenza) hanno deciso di svolgere a Bari il 17 e 18 novembre, chiamando al confronto alcuni dei più qualificati studiosi e studiose di quella vicenda, provenienti da varie università italiane (per l’Università di Bari, che patrocina l’evento con il Comune e la Regione, c’è lo storico Carlo Spagnolo che presiederà la sessione inaugurale) e chiedendo a Nicola Labanca dell’Università di Siena, fra i massimi studiosi di storia militare, di proporre l’introduzione generale ai lavori. Segno, la scelta del capoluogo pugliese, di attenzione verso la città e la regione, che stanno sviluppando un programma di celebrazione degli 80 anni della Resistenza senza dimenticare quanto di importante accadde allora in Puglia, parte integrante di quella grande storia.        

Pasquale Martino

"La Gazzetta del Mezzogiorno" 17 novembre 2023  

L'immagine è tratta dalla mostra Il treno degli IMI (Lecce, gennaio-marzo 2023)