Bari
– Bologna – Mauthausen
Una
storia che viene alla luce
Gruppo della Fuci di Bari con Aldo Moro, Pompei 1941. Fotografia inedita, concessa da Ida Lamacchia (seconda da destra in piedi) |
Continua
a riaffiorare la storia sommersa di Giuseppe Zannini, nato a Bari il 2 febbraio
1917, entrato nella Resistenza a Bologna nel 1943, arrestato dai tedeschi il 21
maggio 1944, deportato a Mauthausen dove morì per sfinimento il 15 maggio 1945
(data presunta) subito dopo la liberazione del Lager. Una storia che abbiamo
raccontato su questa pagine («La Gazzetta del Mezzogiorno», 26 gennaio 2017) componendo
per la prima volta le rare e sparse notizie esistenti con alcuni materiali
d’archivio che erano rimasti inesplorati. L’articolo della «Gazzetta» e il
ritratto fotografico che abbiamo rinvenuto con l’archivista dell’Università di
Bari sono stati pubblicati anche nel sito Storia e Memoria di Bologna
della Istituzione Bologna Musei, emanazione del
Comune per la memoria storica, così
importante in quella città dove la guerra, l’occupazione germanica e la lotta
di liberazione hanno lasciato il segno.
Ma la ricerca sta dando ulteriori
frutti. Grazie al liceo scientifico Arcangelo Scacchi di Bari e al suo
dirigente, sono stati trovati nell’archivio della scuola i registri generali
dei voti che permettono di ricostruire gli ultimi anni del curriculum
scolastico di Zannini (1933-1936): un allievo che non è quasi mai assente ed è
promosso con la media del sette, ottenendo la dispensa parziale dalle tasse. Nell’ultimo
anno ha però una defaillance, conseguendo la maturità soltanto nella sessione
autunnale. Iscrittosi a Scienze politiche, ha un vero exploit: supera tutti gli
esami con voti alti e arriva alla laurea, il 6 giugno 1940, con una media di
106,7, ottenendo il punteggio finale di 110 e lode. L’argomento della tesi in economia
politica, Modernità di Galiani nella
teoria del valore, fa comprendere gli interessi di Giuseppe specie se si
pensa che il relatore è Angelo Fraccacreta: docente prestigioso e non allineato,
già firmatario del manifesto antifascista di Benedetto Croce nel 1925 e primo
rettore democratico dell’Ateneo barese dopo la caduta del fascismo. Ma in
facoltà Zannini ha un altro incontro decisivo: quello con il quasi coetaneo
Aldo Moro, giovanissimo docente nonché dirigente della Fuci. La federazione
degli studenti universitari cattolici, in cui milita Giuseppe, è uno spazio relativamente
autonomo dal regime. Ha conservato viva memoria di quegli anni Ida Lamacchia
Mininni (classe 1920), allora studentessa di Lettere a Napoli ma iscritta alla
Fuci di Bari, cara amica di Rina Moro e per suo tramite del fratello Aldo. La
signora Lamacchia, che ha parlato a lungo con noi, non ricorda Zannini (le
sezioni maschili e femminili della Fuci si incontravano solo in alcuni momenti)
ma rievoca le riunioni presso la chiesa dei domenicani, l’attività di
assistenza rivolta ad anziani e infermi, le gite, le conferenze di Moro; in
occasioni speciali, rammenta, comparivano nei dintorni i carabinieri. «Eravamo
sorvegliati», dice. L’amicizia fra Moro e Zannini, attestata dalle memorie
della madre, della fidanzata e dell’amico bolognese Achille Ardigò, è
confermata da quanto è a conoscenza di Renato Moro (nipote dello statista e fra
i maggiori studiosi della sua biografia politica) il quale ci ha scritto
cortesemente dicendosi convinto che il rapporto fra i due giovani possa essere
documentato nelle carte di Moro, tuttora non riordinate e non accessibili come
non lo è al momento l’archivio nazionale della Fuci.
Carta personale del prigioniero Zannini a Mauthausen 1.1.26.3 / 1856431 ITS Archives Bad Arolsen |
È stato invece possibile trovare
un fascicolo di straordinario interesse: i documenti di Mauthausen, conservati
nel grande archivio della deportazione, a Bad Arolsen in Germania. Vi si trova
la «carta personale del prigioniero» (Häftlingspersonalkarte)
con il numero di matricola 82553 e il disegno di un triangolo (che cucito sulla
casacca era di colore rosso), all’interno l’abbreviazione It. (Italia) e, accanto, Sch.
(Schutz, «sicurezza», sigla che
indica i deportati politici). Si leggono poi le generalità di Zannini e la
descrizione (fra cui: altezza 1,77, nessun segno caratteristico, lingue parlate
il tedesco e il francese oltre all’italiano), il luogo di cattura (San Lazzaro
di Savena nella cintura bolognese), e la spedizione verso il Lager il 7 agosto
’44 tramite la Sipo (polizia
politica) di Verona.
Zannini, impiegato in banca, fu
arrestato nel corso di un blitz delle SS che coinvolse il convento di Santa
Maria dei Servi dove il giovane era ospitato. Fu il tentativo di disarticolare
sul nascere il movimento antifascista cattolico che Giuseppe con i suoi amici
della Fuci di Bologna stava costruendo coraggiosamente. Tentativo fallito,
perché il giovane bancario non rivelò nomi, la retata non si allargò, la brigata
partigiana “cattolica” (la 6a Brigata Giacomo) prese il suo posto nella
lotta di liberazione nel capoluogo emiliano. Dopo la guerra fu riconosciuta a
Zannini la qualifica di partigiano. A Bari, lo commemorarono i colleghi di
lavoro del Credito Italiano, pubblicando un necrologio sulla «Gazzetta» del 31
marzo 1946. Fra i parenti rimasti (Giuseppe non aveva fratelli né figli) se ne
perse la memoria, e non abbiamo trovato tracce di altre iniziative in suo
ricordo.
Mentre la ricerca non si ferma, si
sa già quanto basta perché le istituzioni pubbliche (il Comune, la Scuola,
l’Università), e non solo loro, assumano l’impegno della memoria. Giuseppe
Zannini deve tornare a essere conosciuto nella città e nella regione e onorato
per aver dato la vita in nome della libertà.
Pasquale
Martino
«La
Gazzetta del Mezzogiorno», 26 aprile 2017