L’eredità
discussa del grande intellettuale meridionale, 200 anni dopo
Davvero
un lungo bicentenario, quello della nascita di Francesco De Sanctis (28 marzo
1817-2017). Le celebrazioni inaugurate già da qualche anno con un nutrito
programma – di cui abbiamo dato conto a suo tempo («La Gazzetta del
Mezzogiorno», 17/12/2014) – culminano in questi giorni, nella natia Irpinia e
non solo, visto che il Mibact annuncia l’emissione di una moneta commemorativa
e, per venire a noi, il liceo classico di Trani intitolato allo storico della
letteratura promuove un certame e una giornata di studi. Sembra condivisa
l’opportunità di solennizzare l’anniversario e farne occasione di dibattito;
meno univoca appare la chiave di lettura da utilizzare per intendere, due
secoli dopo, e accostare ai giovani la figura complessa di questo grande
studioso che fu anche uomo d’azione.
È
forse il modello di intellettuale “meridionale” – ci si chiede – capace con la
sua adesione al Risorgimento di fare apparire il Sud più protagonista e meno
subalterno nel controverso processo di unificazione? È il grande innovatore della
critica, l’inventore di un genere letterario – la moderna storia della
letteratura – che egli seppe forgiare narrando come in un romanzo l’epopea delle
lettere italiane in simbiosi con la genesi del sentimento nazionale? O ancora,
è un padre della scuola italiana unitaria, per la quale si batté in qualità di
ministro della pubblica istruzione del primo governo d’Italia, e poi di
parlamentare, sforzandosi di avviarla a un legame fra «scienza e vita», di farne
una scuola di educazione popolare? Certo De Sanctis è tutte queste cose e molto
di più. Egli è innanzitutto, ci pare, una coscienza critica di quella borghesia
ottocentesca che fra incertezze e contraddizioni riuscì a realizzare, quasi del
tutto senza masse popolari, un capolavoro politico ammirato in Europa, l’unità
di Italia. Coscienza critica, perché non gli sfuggivano affatto gli errori e i
limiti del processo compiuto e ancora in via di compimento. Il punto nodale era
per lui l’antica separazione fra intellettuali e popolo, che attraversava la
storia letteraria italiana; una storia dialettica, nel concetto desanctisiano,
caratterizzata da avanzate e ritorni indietro sebbene in una tensione costante
verso il progresso.
Francesco De Sanctis (1817-1883) |
La
formazione di una cultura, letteraria e non solo, che scaturisca da un dialogo
con il sentimento popolare e sappia interpretarlo: questo è il cruccio di De
Sanctis. Schierandosi con la sinistra parlamentare e osservando senza
pregiudizio di classe il nascente movimento socialista, lo studioso irpino configura
un nuovo tipo di intellettuale, antiaccademico, capace – sulle orme di Dante
Alighieri – di estendere il più possibile la comprensione della poesia e il gusto
estetico ai ceti umili. Ciò comporta una concezione diversa della cultura, che non
può sussistere senza essere «lotta culturale», per generare «un’etica, un modo
di vivere, una condotta civile e intellettuale»: sono parole di una celebre
pagina dei Quaderni del carcere
dedicata a De Sanctis. E qui ricordiamo l’altro anniversario in corso, l’80°
della morte di Antonio Gramsci (1937): a lui si deve la riproposizione, nel
Novecento, dell’esempio “militante” di De Sanctis come antitesi di una
concezione distaccata ed elitaria dell’attività intellettuale. Il che non
significava né sancire una volta per sempre una particolare metodologia o ispirazione
estetico-critica, né avallare l’idea che il metodo desanctisiano fosse meno
rigoroso di altri fondati sulla astrazione di uno specialismo incontaminato.
Antonio Gramsci (1891-1937) |
Del
resto, proprio l’anniversario è un’occasione per rivisitare la feconda
produzione critica di uno dei nostri più grandi letterati. Ma qui vogliamo in
conclusione domandarci se la sua figura intellettuale, paradigmatica nella
storia italiana, abbia ancora un vigore e un senso. Se lo abbia, per esempio,
dopo «il grande silenzio» degli intellettuali denunciato anni fa da Alberto
Asor Rosa. E dopo che si va estinguendo una generazione che ha ritenuto inscindibile
il binomio cultura-impegno civile. Pensiamo a Ermanno Rea scomparso di recente,
che ripercorse l’itinerario del Viaggio
elettorale di De Sanctis ricavandone un reportage fotografico – lui divenuto
poi famoso come scrittore (se ne è parlato in un incontro promosso dai
Fotografi di strada a Bari). Se oggi la “democrazia” è quella “del web”, con
tutte le implicazioni nella formazione dell’opinione pubblica, quale
intellettuale – docente, comunicatore, artista – consapevole e responsabile (e
non solo tecnico competente) ne è il corrispettivo? E il sistema scolastico, nella
sua precarietà, è in grado di farsene carico? Il binomio di cui sopra resiste qua
e là a macchia di leopardo: coscienza inquieta di una transizione, non si sa ancora
verso dove.
Pasquale Martino
«La
Gazzetta del Mezzogiorno» 28 marzo 2017