L’abate che
inventò la storia della letteratura
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Ritratto giovanile di Gimma |
Giacinto
Gimma (1668-1735) è uno degli intellettuali di maggiore rilievo nella storia di
Bari; forse il più importante, se si considerano sia la pioneristica impresa di
scrivere la prima storia della letteratura italiana, sia le intense relazioni
con i più influenti circoli intellettuali di tutta la penisola, la presenza
attiva nel rinnovamento culturale che si pone a cavallo fra la Nuova Scienza
galileiana e l’Illuminismo.
E pensare
che era di origini sociali modeste, essendo figlio di un calzolaio. Ma chi
intuì il suo ingegno lo indusse a frequentare il locale seminario e poi il
collegio gesuitico, unici luoghi, per lo più, di formazione ed emancipazione
culturale. Fu avviato dunque alla
carriera sacerdotale: «abate» indicava all’epoca una condizione ecclesiastica a
prescindere dal grado, dalla funzione e dal reddito; erano così designati soprattutto
gli studiosi e i letterati. Abati erano, fra gli altri, il poeta Metastasio e
l’economista Ferdinando Galiani. «La sola figura di ecclesiastico – ha scritto
lo storico della scienza Ugo Baldini – compatibile con un ruolo del tipo
accennato [di chierici innovativi sul piano filosofico e scientifico] fu quella
dell’abate, una cui storia sociale sarebbe di alto interesse, costituente un
tramite tra clero e società civile, in quello spazio mondano del dibattito che
avendo come sfondo costante le accademie va dalla corte secentesca al salotto
settecentesco».
Prima di
ricevere l’ordinazione sacerdotale Gimma si trasferisce a Napoli per studiare
diritto all’Università. Ma qui imbocca ormai la strada dell’erudizione
enciclopedica, segnata da spiccati interessi scientifici, dalla passione per la
matematica, la fisica, l’astronomia. Comporrà anche un trattato di «fisica
sotterranea» o mineralogia. Nell’epoca di Gimma – l’età della «crisi della
coscienza europea» (Paul Hazard) – si passa quasi impetuosamente
dall’obbedienza dogmatica al pensiero critico. E il Regno di Napoli è una punta
di diamante di tale evoluzione. Nella città partenopea vive il genio di
Giambattista Vico; vi muove i primi passi la corrosiva critica storica di
Pietro Giannone, perseguitato esponente dell’anticurialismo. Si celebrano gli
ultimi processi a carico di membri della disciolta accademia degli
Investiganti, sospettati di ateismo. Questo sodalizio accademico era stato
influenzato dal pensiero del calabrese Tommaso Cornelio, che, seguace della
filosofia naturalista di Bernardino Telesio, aveva introdotto nella cultura
meridionale il razionalismo di Cartesio e l’atomismo di Gassendi con le
inclinazioni al libertinismo filosofico. Influenze e contatti ben documentati
anche nello studioso barese. Il quale però, prudentemente come Vico, distingue
e concilia verità di fede (sebbene razionalmente insostenibile) e verità di
ragione filologicamente provata.
Gimma si
muove con energia nel mondo delle accademie: associazioni culturali che, sparse
sul territorio italiano, costituiscono una fitta rete di relazioni
intellettuali configurando quella «repubblica delle lettere» vagheggiata da
Ludovico Antonio Muratori, quasi un embrione di Stato nazionale composto dai
soli letterati. È membro autorevole di numerosi sodalizi accademici, fra cui
ricordiamo quello dei Pigri a Bari (città
in cui un volumetto di Pasquale Sorrenti edito nel 1965 registra l’esistenza di
dieci accademie, mentre in tutta la Puglia erano una settantina), nonché
l’accademia più famosa e potente, l’Arcadia con sede centrale a Roma (della
quale l’abate fu «procustode» pugliese con il nome arcadico di Liredo Messoleo) e soprattutto l’accademia
degli Spensierati di Rossano Calabro, da lui diretta e riformata col titolo di
accademia degli Incuriosi: un nome antifrastico come quello del cenacolo barese e di tanti
altri. Fecero parte degli Incuriosi il Muratori (col quale Gimma fu in
corrispondenza epistolare), il futuro papa Benedetto XIII (il gravinese
Vincenzo Maria Orsini) e la poetessa Maria Selvaggia Borghini, allieva a Pisa di
Alessandro Marchetti, scienziato e traduttore del De rerum natura, il poema atomista di Lucrezio.
L’abate
barese sa inoltre destreggiarsi con un nuovo strumento culturale: il giornale; pubblica
infatti corrispondenze sul periodico veneziano «La Galleria di Minerva» e
progetta una rivista dell’accademia rossanese. Rientrato a Bari, è nominato
canonico della cattedrale ma in seguito rinuncia alla carica per eludere i
controlli dell’arcivescovato sulla sua attività intellettuale.
Nella
città natale compone l’opera più nota: l'Idea
della storia dell'Italia letterata (stampata a Napoli in due volumi nel
1723). La concezione del ponderoso lavoro è doppiamente nuova: per la prima
volta appare una storia letteraria estesa a tutta la penisola; in secondo
luogo, l’attività delle lettere non vi abbraccia solo la poesia o la prosa
narrativa, ma ogni testo scritto, inclusi i trattati storici e scientifici.
Ampio spazio vi trovano la Nuova Scienza, Galilei, il metodo sperimentale, nonché
la storia generale della cultura e delle istituzioni culturali: scuole,
accademie, biblioteche, stamperie e case editrici. Il disegno storico di Gimma
– che apre la strada alla similare e più fortunata storia della letteratura
scritta mezzo secolo dopo dal gesuita bergamasco Girolamo Tiraboschi – intende
affermare la continuità e il primato della cultura italiana, polemizzando in
maniera programmatica e quasi ossessiva con i denigratori francesi. Il suo
punto di riferimento però, diversamente dalla storiografia romantica e da De
Sanctis, non è l’unità linguistica, bensì quella geografico-culturale: che
parte dagli Etruschi, dalla Magna Grecia e dai Latini. Ciò non toglie che la
storia di Gimma sia stata interpretata come un’avvisaglia del Risorgimento: per
celebrare i 150 anni dell’Unità nazionale (2011) l’editore Cacucci ne ha
pubblicato un’ampia silloge a cura di A. Iurilli e F. Tateo.
Pasquale
Martino
«La
Gazzetta del Mezzogiorno» 17 agosto 2014
(serie «Ritratti e radici» dedicata a personaggi della storia di Bari)