I processi degli Scipioni
La lotta politica a Roma negli anni 187-184 a.C.
La lotta politica a Roma negli anni 187-184 a.C.
Con l’espressione «processi degli Scipioni» gli storici si riferiscono
alla prolungata battaglia giudiziaria che fu scatenata contro Scipione
l’Africano e suo fratello Lucio, e che, al di là degli specifici esiti
processuali, provocò la caduta, o per lo meno il ridimensionamento, della
potenza scipionica. I termini e i passaggi di questa vicenda non sono completamente
chiari, né il racconto di Livio, che in proposito è il piú ampio e dettagliato,
appiana tutti i punti controversi. Tuttavia si tratta di una delle pagine piú
interessanti dell’Ab Urbe condita per l’obiettiva importanza dell’evento esaminato, per il respiro narrativo
che ne rende accattivante la lettura, e infine per lo sguardo che apre sul
metodo di lavoro di Livio.
Nella ricostruzione del Nostro, il fatto si svolge in due tempi. In un
primo momento, è chiamato in causa Scipione l’Africano, nell’anno 187 a.C. Gli
accusatori sono due tribuni della plebe, i Petillii (altre fonti fanno il nome
di un singolo tribuno, Nevio); gli addebiti sembrano generici: l’imputato viene
accusato di aver avuto rapporti troppo disinvolti con Antioco III di Siria e di
avere intascato parte di un’ingente somma versata dal re allo Stato romano. È
subito chiaro che questa responsabilità riguarda principalmente il fratello L.
Scipione (l’Asiatico), il comandante che ha condotto la guerra contro Antioco;
ma tutti sanno che l’Africano, luogotenente del fratello, era il vero capo
delle operazioni. La natura politica di questo scontro è evidente: dietro i
Petillii – spiegherà Livio (XXXVIII 54, 1-2) – c’è Marco Porcio Catone,
l’avversario politico che già diciassette anni prima ha tentato di trascinare
Scipione in giudizio. Catone dà voce a quella parte della classe dirigente che
si oppone all’imperante egemonia del clan scipionico: nobilitatem
et regnum in senatu Scipionum accusabant, «accusavano
l’egemonia e il regime regio imposto dagli Scipioni in senato»: (ivi 54,6).
Scipione si presenta in giudizio il giorno fissato dai tribuni, ma non
si lascia mettere sotto accusa; anzi, col suo imbattibile carisma, trascina con
sé il popolo in una processione religiosa sul Campidoglio, interrompendo il
processo (che, essendo «comiziale», si svolgeva davanti al popolo). Dopo questa
effimera vittoria personale (che peraltro non annulla il procedimento),
Scipione sdegnato abbandona Roma e si ritira nella sua villa di campagna a Literno.
Nuovamente convocato dai tribuni, non si presenta; il fratello lo dice
ammalato. Apertasi quindi la disputa sull’accoglimento o meno delle motivazioni
addotte per giustificare la mancata comparizione, interviene in difesa delle
ragioni di Scipione un altro tribuno della plebe, il giovane Tiberio Gracco,
che diventerà genero dell’Africano e padre dei fratelli Gracchi. Livio conclude questa prima parte
riportando la morte di Scipione avvenuta nel volontario esilio: adirato con la
sua ingrata città, egli rifiuta perfino di farsi seppellire a Roma.
Il secondo tempo della vicenda dei processi scipionici si apre dunque
dopo la morte dell’Africano (184 a.C.). Stavolta è chiamato in causa il
fratello Lucio, insieme ad altri personaggi che costituiscono una vera e
propria associazione a delinquere, rea di peculato e concussione ai danni di
Antioco e di altri monarchi orientali. Questa volta il rito giudiziario è piú
complicato: gli avversari degli Scipioni fanno approvare dal senato
l’istituzione di una commissione inquirente guidata da un pretore, Culleone, che,
pur essendo stato amico personale del defunto Africano, manda sotto processo
l’Asiatico e lo condanna. In questa parte Livio cita pure l’entità delle somme
che gli Scipioni avrebbero percepito illecitamente (nel racconto parallelo di
Polibio, frammentario, pare di capire che essi si sarebbero serviti della
“tangente” versata da Antioco III per distribuire paghe supplementari ai
soldati), e recupera un episodio famoso (lo si può leggere in piú fonti)
che ha come protagonista l’Africano, ma che lo storico ha omesso di
citare a suo tempo, nel resoconto del suo processo: richiesto di presentare il
rendiconto del denaro avuto personalmente dal re di Siria, Scipione si fa
portare il registro dei conti ma lo straccia in pubblico gettandone via i
pezzi.
Sempre in questa parte del suo racconto, Livio – che ha finora seguito
la ricostruzione dei fatti proposta dall’annalista Valerio Anziate – dà conto
dell’esistenza di altre versioni, fra le quali si districa con difficoltà. In
particolare, la morte di Scipione potrebbe essere avvenuta a Roma, ed egli
potrebbe essere stato sepolto con tutti gli altri Scipioni nel cimitero di
famiglia, fuori Porta Capena.
Pasquale Martino
Da Pagina nostra. Storia e
antologia della letteratura latina, volume 2, D’Anna, Firenze, 2012, pp.
391-392
Le immagini del sepolcro degli Scipioni sono tratte dal sito
http://www.sovraintendenzaroma.it/i_luoghi/roma_antica/monumenti/sepolcro_degli_scipioni
Le immagini del sepolcro degli Scipioni sono tratte dal sito
http://www.sovraintendenzaroma.it/i_luoghi/roma_antica/monumenti/sepolcro_degli_scipioni