mercoledì 5 novembre 2014

Livio 2

I processi degli Scipioni
La lotta politica a Roma negli anni 187-184 a.C.


Con l’espressione «processi degli Scipioni» gli storici si riferiscono alla prolungata battaglia giudiziaria che fu scatenata contro Scipione l’Africano e suo fratello Lucio, e che, al di là degli specifici esiti processuali, provocò la caduta, o per lo meno il ridimensionamento, della potenza scipionica. I termini e i passaggi di questa vicenda non sono completamente chiari, né il racconto di Livio, che in proposito è il piú ampio e dettagliato, appiana tutti i punti controversi. Tuttavia si tratta di una delle pagine piú interessanti dell’Ab Urbe condita per l’obiettiva importanza dell’evento esaminato, per il respiro narrativo che ne rende accattivante la lettura, e infine per lo sguardo che apre sul metodo di lavoro di Livio.
Nella ricostruzione del Nostro, il fatto si svolge in due tempi. In un primo momento, è chiamato in causa Scipione l’Africano, nell’anno 187 a.C. Gli accusatori sono due tribuni della plebe, i Petillii (altre fonti fanno il nome di un singolo tribuno, Nevio); gli addebiti sembrano generici: l’imputato viene accusato di aver avuto rapporti troppo disinvolti con Antioco III di Siria e di avere intascato parte di un’ingente somma versata dal re allo Stato romano. È subito chiaro che questa responsabilità riguarda principalmente il fratello L. Scipione (l’Asiatico), il comandante che ha condotto la guerra contro Antioco; ma tutti sanno che l’Africano, luogotenente del fratello, era il vero capo delle operazioni. La natura politica di questo scontro è evidente: dietro i Petillii – spiegherà Livio (XXXVIII 54, 1-2) – c’è Marco Porcio Catone, l’avversario politico che già diciassette anni prima ha tentato di trascinare Scipione in giudizio. Catone dà voce a quella parte della classe dirigente che si oppone all’imperante egemonia del clan scipionico: nobilitatem et regnum in senatu Scipionum accusabant, «accusavano l’egemonia e il regime regio imposto dagli Scipioni in senato»: (ivi 54,6).
Scipione si presenta in giudizio il giorno fissato dai tribuni, ma non si lascia mettere sotto accusa; anzi, col suo imbattibile carisma, trascina con sé il popolo in una processione religiosa sul Campidoglio, interrompendo il processo (che, essendo «comiziale», si svolgeva davanti al popolo). Dopo questa effimera vittoria personale (che peraltro non annulla il procedimento), Scipione sdegnato abbandona Roma e si ritira nella sua villa di campagna a Literno. Nuovamente convocato dai tribuni, non si presenta; il fratello lo dice ammalato. Apertasi quindi la disputa sull’accoglimento o meno delle motivazioni addotte per giustificare la mancata comparizione, interviene in difesa delle ragioni di Scipione un altro tribuno della plebe, il giovane Tiberio Gracco, che diventerà genero dell’Africano
e padre dei fratelli Gracchi. Livio conclude questa prima parte riportando la morte di Scipione avvenuta nel volontario esilio: adirato con la sua ingrata città, egli rifiuta perfino di farsi seppellire a Roma.
Il secondo tempo della vicenda dei processi scipionici si apre dunque dopo la morte dell’Africano (184 a.C.). Stavolta è chiamato in causa il fratello Lucio, insieme ad altri personaggi che costituiscono una vera e propria associazione a delinquere, rea di peculato e concussione ai danni di Antioco e di altri monarchi orientali. Questa volta il rito giudiziario è piú complicato: gli avversari degli Scipioni fanno approvare dal senato l’istituzione di una commissione inquirente guidata da un pretore, Culleone, che, pur essendo stato amico personale del defunto Africano, manda sotto processo l’Asiatico e lo condanna. In questa parte Livio cita pure l’entità delle somme che gli Scipioni avrebbero percepito illecitamente (nel racconto parallelo di Polibio, frammentario, pare di capire che essi si sarebbero serviti della “tangente” versata da Antioco III per distribuire paghe supplementari ai soldati), e recupera un episodio famoso (lo si può leggere in piú fonti)
che ha come protagonista l’Africano, ma che lo storico ha omesso di citare a suo tempo, nel resoconto del suo processo: richiesto di presentare il rendiconto del denaro avuto personalmente dal re di Siria, Scipione si fa portare il registro dei conti ma lo straccia in pubblico gettandone via i pezzi.
Sempre in questa parte del suo racconto, Livio – che ha finora seguito la ricostruzione dei fatti proposta dall’annalista Valerio Anziate – dà conto dell’esistenza di altre versioni, fra le quali si districa con difficoltà. In particolare, la morte di Scipione potrebbe essere avvenuta a Roma, ed egli potrebbe essere stato sepolto con tutti gli altri Scipioni nel cimitero di famiglia, fuori Porta Capena.

Pasquale Martino

Da Pagina nostra. Storia e antologia della letteratura latina, volume 2, D’Anna, Firenze, 2012, pp. 391-392

Le immagini del sepolcro degli Scipioni sono tratte dal sito 
http://www.sovraintendenzaroma.it/i_luoghi/roma_antica/monumenti/sepolcro_degli_scipioni